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Ingegnere può fare la bidella ma non il tecnico di laboratorio

Altra uscita con la mia amica ingegnere disoccupata, vorrei confortarla ma sinceramente di questi tempi anche il mio morale è posizionato verso il basso, un bel po' sotto la sufficienza. In realtà non avevo granché voglia ma al telefono la sua voce mi è sembrata così affranta che ho messo da parte il mio malumore per sforzarmi di incoraggiarla ad una uscire per un tour fra le vetrine già addobbate per Natale. Incontro fissato al centro, arriviamo entrambe con i mezzi pubblici. La giornata è freddina ed assolata, l'ideale per distrarre la mente. Lei è già lì all'angolo. La vedo dall'autobus e non posso non notare la gigantesca nuvola nera che la sovrasta. Vedendola mi rendo conto che il suo stato è persino peggio rispetto al tono della voce. Occhi spenti ed assenti, guarda fisso davanti a lei restando appoggiata alla colonna di sostegno del porticato, incurante dell'evidente stato di sporcizia che l'avvolge. Scendo venti metri più avanti e torno indietro a passo sostenuto quasi potesse svanire da un momento all'altro.

“Ma che fai? Ti appoggi a quella schifezza?” Neanche la saluto, penso subito a redarguirla ben conscia che indossa un capotto nero. L'afferro per un braccio e la giro per controllarle la schiena come si fa con i bambini, il mio è un gesto istintivo che sicuramente irriterebbe qualsiasi adulto in grado di reagire, non lei. Mi guarda mi saluta e incomincia a muovere il braccio come a ripulirsi chissà da quale stratto di polvere.

“Fortunatamente non hai nulla” Continuo io ancora trascurando il saluto “Ma non ti sei accorta che la colonna e lercia?” Lei guarda la colonna e poi nuovamente me e poi come in trance continua

“No, non avevo neanche visto che ci fosse una colonna.”

Mi viene voglia di risponderle che c'è lì da sempre, ci siamo nate e cresciute qui, ma poi non capisco perché mi stia montando così tanta rabbia. Lei non è una bambina e tutto sommato il capotto è suo e può sporcarselo come vuole. Tiro un respiro e mi chiedo a cosa devo questo atteggiamento e nel guardarla mi rendo conto che forse non è stata una buona idea, forse anche io non ho abbastanza forza per reggere il pessimo umore di entrambe. Sembra riprendersi, mi sorride e mi dice semplicemente che era sovrappensiero. Anche io mi calmo e finalmente la saluto. Mi scuso per la reazione dando la colpa al degrado della città e bla bla bla...

“Dai facciamo quattro passi e dimmi cosa ti è successo, non ti ho mai vista conciata così” Non ho un approccio corretto, me ne rendo conto, ma la sua tristezza sta minando le poche risorse umorali messe da parte per chiudere la giornata.

“Non sono sicura di riuscire a parlarne” Dice lei con un filo di voce. “Andiamo bene!” penso io e sento nuovamente l'impazienza salirmi in testa.

“Dai fatti coraggio, sputa il rospo e vedrai che la cosa è meno tragica di come te la stai raffigurando.” Ho il tono secco ed autoritario, lei è come il vitello al macello: incapace d'opporsi. “Ne hai viste tante e ne hai superate altrettante. Sono certa che parlandone trovi già la soluzione” In realtà sto solo straparlando, ho voglia di ascoltarla esattamente come lei ha voglia di parlare. Metto una frase fatta in fila all'altra con lo stesso entusiasmo di chi vorrebbe essere da tutt'altra parte. Lo faccio come un automa, andando contro quelli che sono i miei desideri, ma lei è una mia amica ed è troppo provata per accorgersi dei miei modi. Probabilmente li scambia per incoraggiamento o forse semplicemente anche lei non può opporsi al rituale della confidenza, consapevole che siamo uscite per questo.

“Ho bisogno di sedermi” sussurra ed io incomincio davvero a spaventarmi. Penso il peggio e so anche che non sono in grado di ricevere brutte notizie. Istintivamente mi guardo intorno cercando una via di fuga, invece le afferro nuovamente il braccio e la faccio entrare nel primo bar che mi capita a tiro.

Ci sediamo in un tavolino non proprio fiammante di pulizia ed ordino due aperitivi leggermente alcolici nella speranza che ci aiutino più della nostra stessa amicizia.

“Non ti ho mai visto così.” Pronuncio ancora la frase che non volevo dire. La bocca si è aperta ed è venuta fuori tutta la mia preoccupazione. Mi chiedo che faccia stia facendo, non vorrei sconvolgerla più di quanto non sia. Mi guardo intorno cercando una superficie riflettente, in genere i locali ne sono strapieni tranne questo.

“Si hai ragione, ma mi sento così amareggiata e delusa...” parla con gli occhi bassi, la voce un sospiro. Io mi chiedo quanto ci impiegano a portare l'ordinazione e se forse non sia il caso di prendermi qualcosa di più forte, tanto sono con i mezzi pubblici, ma non saprei neanche che ordinare. Gli alcolici non sono il mio forte.

“Dai, respira!” Prendo tempo e anche io cerco di respirare profondamente. Forse l'incoraggiamento è rivolto a me più che a lei. “Sono sicura che una volta che ne avrai parlato non sarà più così grave.” Continuo ma non ne sono sicura neanche io.

“Sono così demoralizzata e frustrata. Ho studiato tanto ed invece ho solo buttato tempo e soldi. Se avessi la forza me ne andrei, ma non so neanche da che parte guardare.” I suoi occhi sono tristi e privi di energia. Già andarsene! Ma non tutti sono in grado di fare queste scelte drastiche, a volte occorre davvero la disperazione per giocarsi tutto o semplicemente avere una occasione.

“Beh anche l'ultima volta che ci siamo viste la situazione era questa, cosa è successo che ti ha trasformato in un mocio vileda?” Vado dritta al sodo cercando di usare un po' di ironia nel tentativo di alleggerire la drammaticità del momento. Lei mi guarda per un istante poi aggrotta le sopracciglie con una smorfia, come se reagisse ad una fitta improvvisa da qualche parte del corpo, distoglie lo sguardo, respira ed apre le labbra per parlare. Ma in realtà esce solo un lungo sospiro. Silenzio! Arrivano gli spritz che ingolliamo tutte e due senza sentirne il gusto, neanche se fossimo due abitudinarie delle bettole. L'alcol arriva subito al nostro cervello, poco avvezzo alla sua frequentazione, sciogliendo lingue e pensieri il tanto giusto per superare il momento di imbarazzo.

“Ho fatto la domanda per le sostituzioni ATA” Inizia a spiegare.

“Eh?” Chiedo io.

“La domanda per entrare in graduatoria per la sostituzione del personale ATA nelle scuole cioè personale non docente” Continua lei mentre la mia faccia si trasforma ancora di più in un punto interrogativo. Insomma la mia amica ingegnere ha fatta la domanda per entrare in una graduatoria per istituto al fine di poter fare le sostituzioni del personale di segreteria, oppure nei laboratori ovvero come collaboratore scolastico cioè bidella. Il meccanismo della domanda non è semplice, sono previsti dei punteggi in funzione di eventuali precedenti e ci sono dei precisi parametri. Una volta in graduatoria in caso di assenza dei titolari si viene chiamati secondo l'ordine. Mi spiega la cosa ed io mi distraggo pensandola con il camice da bidella che grida dietro ai ragazzini maleducati che passano sul bagnato. Penso che la sua frustrazione sia dovuta a sentirsi obbligata a fare questo genere di domande e sperare anche che ti chiamino, ma non è così.

“Dai magari vai a sostituire un tecnico di laboratorio e scopri che ti piace” Cerco di trovare l'aspetto positivo.

“É proprio questo che mi ha creato ancora più frustrazione, non mi hanno accettato nella lista degli addetti di laboratorio perché ho la maturità classica e non importa che poi sia diventata ingegnere. Posso pulire i cessi con la laurea ma non entrare nei laboratori!” La guardo con la bocca spalancata.

“In questa nazione di merda le regole sono assurde e senza senso, dovrei fare ricorso ma non ho più la forza di lottare per ogni cosa. Dovrei sbattermi per entrare in una lista e poi non è neanche detto che ti chiamino mai, visto che si tratta solo di poter accedere alle sostituzioni se qualche titolare si assenta.”

Non riesco a chiudere la mandibola e mi sento salire la rabbia dentro e penso a questa nazione che si può permettere di schifare la presenza di un ingegnere laureato con il massimo dei voti in un laboratorio scolastico. Penso che in questo momento avrei bisogno io di quella colonna dove l'ho vista appoggiata, o forse anche di un whisky, che mi ha schifo ma forse è davvero la sola cosa che consenta di accettare una nazione ormai allo sfascio.

“Dai pensa che almeno puoi sostituire la bidella e a quel punto non sarà più vera la battuta di Woody Allen in Manhattan.” La butto sul comico.

“E cioè?” domanda lei smemorata

“Non ricordi? Quando l'amico insegnante se lo trova dentro scuola gli chiede come avesse fatto a superare il bidello e lui risponde: 'che domande? culturalmente'. Nessuno potrà superarti neanche così”

Ridiamo, anche se siamo nella realtà e c'è davvero poco da ridere.


Amanda Decori pubblicato il 27.11.2017 [ Riflessioni ]


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