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Ovosodo, nulla è cambiato

Domenica sera sono rientrata a casa dopo un weekend passato a casa di amici. Quelli che ami ma che vedi poco perché abitano troppo lontano. Ci si ripromette sempre di vedersi più spesso ma occorre affidarsi alle "cause di forza maggiore" come compleanni speciali, lauree, assunzioni (queste per la verità specialissime e ancora più rare), battesimi (matrimoni no, perché non li fa più nessuno) o altre amenità riconosciute dal gruppo di amici sparsi valide per convenire che è giunto il momento di incontrarsi. Per la verità in questo caso c'è stato un incredibile passarsi, cioè dribblare l'invito anteponendo una quantità di impegni improrogabili mai visti e inusitati. Alla fine l'unica entusiastica adesione degli appartenenti alla mia zona è stata solo la mia.

I chilometri da sciropparsi sono tanti, nessun problema per il sabato pomeriggio, assolato e notoriamente scarico di vetture, ma la domenica sapevo che li avrei percorsi a ritroso al buio e con il cosiddetto traffico del rientro. Ma il raggiungimento degli "anta" non poteva essere trascurato e così dopo la nottata di baldoria e la giornata passata davanti al camino a mangiare avanzi, cibi scampati alla mattanza, frutta secca, dolci, nostalgie, rimpianti del tempo passato, ma forse anche sollievo che lo sia, mi sono armata della dovuta pazienza e all'ora cruciale mi sono infilata in macchina.

Il buio acuisce sempre la sensazione di "festa è finita", niente alcool per alleviarla, devo guidare. Così accendo subito la radio, o meglio la radio si accende con la macchina, devo solo incominciare il frenetico zapping sul volante alla ricerca della stazione perfetta. La sindrome del telecomando non ci abbandona mai. Sono in auto da sola e qualsiasi emitente mi sembra che spari musica irritante mentre ho bisogno di compagnia. Così incappo su Rai Tre e mi accorgo subito che c'è in piedi una sorta di sceneggiato radiofonico. Bingo! Esattamente quello che mi serve. In realtà raccontano il film di Virzì, Ovosodo del 1997. La trasmissione si sviluppa prendendo brani originali cucendoli insieme con il racconto delle parti mancanti e l'aggiunta di spiegazioni ed interpretazioni. Praticamente colmando le lacune di comprensione che normalmente si ha seguendo un film. É piacevole e coinvolgente e perdo completamente il senso della distanza, spero solo di non arrivare prima che la trasmissione sia ultimata. Nella spiegazione è compresa anche la scelta di un finale piuttosto che un altro ed è proprio questa la parte che mi resta impressa. Il racconto della trama è funzionale alla compagnia richiesta per il viaggio, ma le motivazioni di una scelta di sceneggiatura piuttosto che un'altra mi stimola la riflessione.

Il film è uscito vent'anni fa e si sviluppa raccontando la storia di Piero dalla sua triste infanzia fino a quando mette su famiglia trovando posto come operaio, uno dei baciati dall'assunzione fra il milione di posti di lavoro promessi nel lontano 1994. Sembrerebbe un finale positivo, e probabilmente lo è comparata all'elevata percentuale di disoccupazione giovanile attuale, ma le capacità intellettuali del protagonista facevano presagire un futuro con un impiego differente. Non solo il miglior amico di Piero é Tommaso, figlio di facoltoso industriale, che non ha voglia di seguirne le orme ma neanche rinunciare totalmente ai vantaggi che soldi e posizione sociale danno. Perciò lui resta sempre un ricco viziato e ignorante che gioca alla ribellione potendo fare tranquillamente esperienze alternative con i soldi di papà, mentre Piero, mente brillante, si adagia sulla fortuna d'aver trovato un impiego da operaio, pagando con il taglio d'aspirazioni più alte un moto di ribellione adolescenziale. Non ha alle spalle la famiglia in grado di ammortizzare un passaggio a vuoto dell'esistenza.

Ed è proprio questo il nodo essenziale del racconto: la mancanza di mobilitànella società italiana. Ci scandalizziamo delle caste indiane ma da noi sono altrettanto presenti anche se non codificate. Il figlio del notaio fa il notaio o comunque sarà sicuramente piazzato bene, il salto di casta non è ben visto e le lauree di certo non lo garantiscono. Avvocati, ingegneri ed architetti provengono ormai dalle diverse classi sociali, ma quelli che avranno un buon impiego sono senza dubbio quelli con la famiglia di livello sociale alto. Il figlio del panettiere farà sempre il panettiere, salvo il caso di Fabio Volo comunque guardato con sospetto e denigrato a ragione o torto. Fa specie vedere che la percentuale più elevata dell'emigrazione è costituita da medici. Di certo i figli dei ministri trovano incredibilmente non solo il posto di lavoro ma pure vicino a casa, i bamboccioni sono sempre i figli altrui.

Manca l'opportunità. É questa la grande differenza con il popolo anglossassone, da noi questa è garantita in generale dall'entourage familiare. Siamo sempre in prima linea a denigrare il mondo eccessivamente competitivo degli Stati Uniti, senza guardare l'immobilismo delle nostre caste che ci fa perdere in uno stillicidio continuo le migliori menti. Ovosodo fotografa l'Italia degli anni novanta ma nulla è cambiato, se non in peggio. Fondamentalmente quello che non funziona è la mentalità borbonica e classista con abbondante spolverata di individualismo e falsa politica del “vivi e lascia vivere”. Possiamo ostinarci a dare la colpa alla politica?

Spengo il motore e scarico la macchina, era meglio se mi sintonizzavo su un canale di musica.


Amanda Decori pubblicato il 20.12.2017 [ Riflessioni ]


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