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Andarsene volontariamente

Il dolore di chi resta

Ogni volta che un personaggio pubblico si toglie la vita io entro in uno stato meditativo e di turbamento. Questa volta che è toccato ad una delle figure che io consideravo più limpide e solari come Alessandra Appiano sono doppiamente sconvolta. Sono abituata a guardare queste vicende con rispetto e delicatezza, perchè nessuno sa cosa ci sia dietro un gesto così estremo, ma questa volta la sua immagine pubblica fa a pugni con l'idea di ansia e disperazione che si presume abbiano dominato nei momenti precedenti al fatto.  In uno dei periodi più bui della mia vita sono arrivata a teorizzare nella mia testa che decidere di andarsene perchè non si è in grado di sopportare una percezione negativa della vita sia legittimo. Vedevo la decisione come il frutto razionale di un bilanciamento di contrarietà e capacità di sopportazione. Tutti sappiamo che a volte ci angosciamo per sciocchezze mentre siamo in grado di scalare le montagne in situazioni di estrema difficoltà. Vincere il naturale istinto di sopravvivenza non è facile ed in effetti occorre trovarsi in uno stato di prostrazione estrema per vedere la morte come una soluzione.  Quindi non so se quel pensiero fosse una bizzarra forma di protezione che la mia mente concepiva per risparmiarmi del dolore ed elevare a scelta dei moti di profonda sofferenza mia o immaginata negli altri.

Mi raccontarono che qualche giorno prima di decidere il passo estremo una mia cara amica fu trovata nel letto così tremante da scuoterlo. Mamma e fratello medico non pensarono di andare a fondo della sconvolgente manifestazione, una iniezione calmante eliminò l'evidente allarme che il suo corpo stava lanciando. Nessuno affrontò l'argomento, nessuno pensò di avvertire il marito, nessuno diagnosticò l'evidente bipolarità i cui sintomi, scoprii più tardi, erano stati manifestati con forza ed evidenza. Lei se ne andò lasciando un bimbo piccolo. Ero lontana da mesi e nessuno ebbe il coraggio di dirmelo se non al mio rientro. Non erano anni di connessione a tutti i costi ed ancora le notizie si riusciva a nasconderle. Porto dentro di me nell'anima quel taglio verticale e purulento. Si sopravvive e ci si sente in colpa anche quando colpe non ci sono.

Cosa sia successo alla bella giornalista-scrittrice Alessandra non credo sarà mai svelato e del resto forse serve a poco. Le persone intorno a lei proveranno tutta una gamma di forti sentimenti iniziando dal risentimento fino alla pietà, ma il dolore e rimorso per quel taglio non passerà mai. Qualcuno si sentirà tradito nella fiducia, qualcuno disperato per non essere stato in grado di capire anche quando era impossibile comprendere. Eppure anche a me è capitato di pensare che smettere di lottare volesse dire smettere di soffrire, anche io ho pensato che a volte la forza di sopportazione richiesta fosse sproporzionata rispetto alle gioie raccolte. Ma sono pensieri sbilanciati, frutto di un buio interiore che nasce forse da alterazioni chimiche non ancora trovate. Non è spiegabile che persone che hanno apparentemente tutto siano così ferite internamente da non riuscire ad apprezzare ciò che hanno, mentre altre disgraziate e prese a morsi da vita e sfortuna riescono a sorridere e galleggiare nella loro esistenza. 

Inutile negarlo gesti così estremi danno il via ad emulazione, come se finalmente qualcuno riuscisse a prendere coraggio per rinunciare a quella parte di speranza che alberga in ciascuno di noi. Non so se è per una questione di sensibilità o per la parte oscura dentro me o semplicemente per coincidenza, ma nella mia vita ho avuto tanti esempi di questi tristi epiloghi. Nella mia zona d'origine ci sono stati periodi di epidemie inspiegabili e sembrava che uno strano morbo portasse le persone a compiere il gesto estremo con la stessa modalità, con la stessa determinazione. 

Perciò quando sento di casi così famosi resto attonita, sconvolta ed incredula. Ovviamente non so nulla delle persone, se non quello che appare, ma immediatamente la loro tragedia mi catapulta nelle mie"mancanze" e la fila delle persone che ho perso così, più o meno vicine, più o meno care,  mi sfila davanti agli occhi e per ciascuna di loro ancora mi chiedo "ma io potevo fare qualcosa o davvero è nel loro diritto non combattere più?". Le motivazioni che hanno spinto ciascuna di loro possono essere svariate e forse anche giustificabili, ma quello che rimane in chi resta è sempre un profondo enorme senso di smarrimento qualcosa che non ha niente a che vedere con altre morti, qualcosa che ti strugge dentro e che devi combattere per non cadere nello stesso abisso.

Con il tempo ho imparato ad accettare la morte della mia amica evitando di immaginare cosa avesse potuto albergare in quella testa negli istanti prima del suo gesto, ho imparato a non sentire sulla mia pelle suoi tormenti e lacerazioni, ho cercato di dimenticare la stessa modalità che aveva scelto per andarsene, ho cercato di sostituire il suo sorriso alla stretta al cuore che ogni volta mi provocava pensare a lei, ho imparato a credere che avesse un male oscuro e per nessuna ragione volesse farci soffrire così. Credo che il solo modo che si abbia per non soccombere è provare un sentimento poco moderno ed incompreso che è la pietà.


Amanda Decori pubblicato il 06.06.2018 [ Riflessioni ]


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