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Chiedimi se sono felice?

La risposta a questa domanda sembra essere sempre la stessa: No! Ci sono delle eccezioni che come mosche bianche, dopo aver dichiarato “Si”, svolazzano via portandosi dietro il segreto e la paura di esser contagiati dalla probabile negatività del domandante. In teoria si potrebbe escludere anche chi si è innamorato di recente o ha avuto qualche esito positivo, ma si sa che le felicità dovute ad eventi esterni hanno una durata breve ed in agguato ci sono sempre ansie, paure, delusioni o semplicemente incapacità di accettare che si sente la felicità in contrapposizione all'infelicità. In generale la risposta alla domanda è laconicamente negativa, accompagnata da una breve pausa per poi sfociare in una sequela di lamentele e rimostranze.
 
La battuta sarebbe facile “ma chi frequenti?”, in realtà la risposta alla battuta è il “mondo”. Paradossalmente quanto più sono sconosciute le persone tanto più sono disposte a rovesciarti addosso tutte le motivazioni per cui, solo a loro nel mondo, è negata la felicità. Forse obbedendo a quella fiabesca illusione che ci sia qualcuno che sia arrivato a salvarti con il suo destriero bianco o con una bacchetta magica. 
 
Non vale neanche la teoria che almeno ci si è sfogati perché il senso di amarezza e frustrazione, risvegliato nel bel mezzo del tentativo quotidiano di sfangare la giornata senza troppe ansie, è il retrogusto amaro dello sfogo verso chi poi gira i tacchi e ritorna alle sue magagne senza portare via neanche un pezzo delle tue.
E' impressionante la varietà di persone appartenenti alle diverse età, ceto sociale, cultura, credo religioso che dichiara di non essere felice. Ben inteso se si considera la felicità come uno stato emotivo di esaltazione sembra abbastanza normale che una persona dotata ancora di senno non si trovi perennemente in stato euforico.
 
Del resto se ci si rifà alla definizione da vocabolario la felicità (cit Treccani: stato e sentimento di chi è felice;  felice  =  che si sente pienamente soddisfatto nei propri desideri, che ha lo spirito sereno, non turbato da dolori o preoccupazioni e gode di questo suo stato) sembra materia riservata a pochi asceti o, sfiorando la precedente categoria, a qualcuno lobotomizzato o “scemo” nella definizione volgare del termine.
Siamo dunque giustificati nella nostra infelicità? Senza scomodare la teoria di Maslow sulla gerarchia nel soddisfacimento dei bisogni, ci sembra una battaglia persa nei riguardi di quella sete compulsiva di un ancora “questo, quello e quell'altro” e poi sarò felice.
 
Davvero si corre il rischio di vivere una vita felice a nostra insaputa? Davvero il detto “eravamo felici e non lo sapevamo” è l'amara rivelazione che un nuovo stato di dolore porta con sé? 
E' possibile prendere in mano la propria felicità e riconoscerla al momento in cui la si vive? Forse si, forse no ma magari possiamo evitare almeno di sentirci “infelici” quando il quotidiano è mediamente buono, il frigo pieno e la salute regge. Forse! Ma per molti di noi questo è il compito più di difficile della nostra vita.
 


Amanda Decori pubblicato il 14.10.2016 [ Riflessioni ]


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