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Riciclo o finanziamento disonestà?

I soliti dubbi di una illusa

Se anche voi come me periodicamente vi trovate in questo dilemma sappiate che la soluzione non esiste. Mai come in questo campo esistono una serie di illusioni alimentate o cancellate dalle notizie di volta in volta prelevate qua e là. Ogni tanto raccolgo roba di vario tipo che per vari motivi non uso più ma che vorrei fosse utile a qualcuno, magari che ci guadagnasse anche però in modo corretto. Del resto l'alternativa è che ammuffisca in cantina oppure vada ad alimentare discariche o inceneritori il cui fine ultimo è solo quello di aggiungere scarti gassosi. Le cose conservate non adeguatamente si deteriorano e basta e non succede quasi mai che se per caso dovessero servirti ti ricordi esattamente in quale anfratto della voragine, detta cantina, siano finite.

Così dopo il periodico repulisti ho accatastato vestiti, utensili casalinghi vari, ma anche stracci e cose eventualmente riciclabili accompagnati dalla inevitabile domanda “ed ora che faccio?”. Per le cose riutilizzabili ho da tempo trovato una Onlus che si occupa di Centri Antiviolenza e mi basta una telefonata di conferma per sapere se e cosa continuano a ricevere, ma per gli scarti l'alternativa alla pattumiera è più complicata.
Mi metto su Internet con l'illusione che qualcuno nella mia zona si sia attivato per una raccolta di stracci o altro, ed invece incappo in un articolo che mai avrei voluto trovare. 

Molti anni fa avevo seguito un film documentario, “Mitumba”,  sul business degli abiti raccolti nei paesi europei e poi venduti nei mercatini dell'Africa. Una raccolta basata sull'illusione che gli indumenti consegnati volontariamente siano distribuiti gratuitamente a chi ne ha bisogno ed invece diventano oggetto di un grande e complesso mercato. Sono passati molti anni da quel reportage, l'alternativa resta ancora lasciare gli indumenti a marcire in casa o la speranza di dargli una qualche chance per essere riutilizzati. Non avrei nulla in contrario se il commercio che ne derivasse servisse a far campare onestamente le persone, ma di certo non mi sarebbe gradito un uso speculativo o criminale.

Sempre ripescando nell'archivio delle storture mi torna in mente che non molti anni fa nella mia zona era presente una comunità missionaria con sedi in Brasile e altri nazioni del cosiddetto Terzo Mondo. Raccoglievano di tutto, compresa la carta, quando ancora non esisteva una raccolta differenziata degna di questo nome. Poi si scoprì che l'attività alimentava un giro di favori basati sul sesso, lo scandalo fu enorme perché coinvolgeva dei prelati molto in vista. Caddero le teste di responsabili di zona e non solo. Contemporaneamente la raccolta cessò e per lungo tempo nulla fu alternativo a cantina e pattumiera. No, in realtà qualcosa c'era: quelle famose buste lasciate in cassetta delle lettere che ti indicava giorno di raccolta. L'intento dichiarato era per la distribuzione ai poveri, ma poi finivano nel calderone del reportage televisivo sopra menzionato.

Perciò quando mi sono rimessa alla ricerca di informazioni speravo di avere una maggior fortuna ed incappare in qualcosa che mi desse più speranza. Invece quello che ho trovato mi ha gettato ancora di più nello sconforto. Non solo la situazione non è cambiata ma è addirittura peggiorata. 
Infatti l'articolo che ha attirato la mia attenzione, quello che non avrei voluto leggere, riguarda i famosi contenitori di raccolta gialli sparsi in tutto il territorio nazionale. Quei contenitori che sono stati al centro della cronaca per vari episodi in cui i malcapitati nel tentativo di rimediare qualche abito hanno rischiato gli arti se non addirittura la vita. Proprio quei contenitori grandi dispensatori di illusioni dove anche io ho riposto vestiti e scarpe nella speranza che davvero servissero gratuitamente a qualcuno. L'articolo è di una giornalista, Veronica Ulivieri, dell'Espresso e parla di una organizzazione mafiosa che sta dietro questa grande attività così capillare e così radicata in poco tempo. La lettura è sconfortante perché ti fa sentire peggio che se avessi buttato nella pattumiera i tuoi abiti. Ti senti come un finanziatore della criminalità più temuta e disprezzata, come qualcuno che alimentando business e ricchezze stia armando le mani che eliminano fisicamente la concorrenza. L'articolo è di un anno fa ma frugando meglio ciò che si trova non è di conforto: una sospensione della attività di raccolta nell'oristanese (articolo) ed ancora il rifiuto di alcuni paesi africani di importare abiti usati (articolo).

Il grado di corruzione è così esteso che non riesci proprio a capire come le tue singole azioni, anche meritorie, possano fare per produrre del bene reale. Ma se qualcosa comincia davvero a funzionare e poi attira le brame della malavita quale speranza può trovare la parte onesta della società? Occorre augurarsi che qualsiasi cosa non abbia davvero successo per non essere troppo appetibile? O forse dovremmo davvero esercitare un controllo più vigile e responsabile pronti a protestare nel caso qualcosa non vada. Ma siamo proprio sicuri che la nostra opinione non sia facilmente manovrabile? Eppure la storia è piena  di esempi contrari, anche molto prima dell'era dei social. Reagire con rabbia e buttare tutto nella pattumiera non servirà ad eliminare il problema, tutti sappiamo bene quanto da anni il rifiuto si trasformi in oro per le varie mafie.

Non so che fare! Raccolgo in buste indumenti mettibili e casalinghi usabili, domani li porto alla Onlus della mia città sperando che non sia l'ennesima delusione. 


Amanda Decori pubblicato il 01.10.2018 [ Attualità ]


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