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Casa vichinga a Reykjavík

museo Landámssýningin

Se pensate all'Islanda vi viene in mente la natura con la sua esplosività e potenza in tutti sensi. Sì vagamente avete sentito che è stata terra di conquista dei misteriosi vichinghi, ma archiviate il pensiero nel settore saghe e miti. Eppure esiste una testimonianza ben curata e conservata di una storia tanto lontana e difficilmente conservabile, data la deteriorabilità degli elementi che la componevano. Un esempio di insediamento che si pensa appartenente all'ultimo secolo del primo millennio d.C. (cioè dal 900 al 1000 per chi con la matematica fa a cazzotti) dal nome impronunciabile per noi europei del sud: Landámssýningin. Ma non preoccupatevi anche agli islandesi il museo è sconosciuto con quel nome (non chiedetemi come lo chiamano o mi si attorcigliano i neuroni). Se volete evitare le frustrazioni dei gentili autoctoni nel sentirsi impotenti a darvi coordinate e nel contempo ignoranti delle poche cose vomitate dal passato, date l'indirizzo Aðalstræti 16 (peggio che andar di notte per noi!) oppure armatevi di un navigatore “iceland friendly”,  tradotto per chi parla-come-mangi adatto a riconoscere la fonetica islandese.

Tornado al museo, e a cose serie, lo trovate vicino alla piazza non ancora completamente travolta dai rifacimenti in stile globalizzazione per adattarli alla movida. La riconoscete perché sa ancora di “piazza di paese”. In ogni caso capite che siete nel posto giusto perché fuori dall'edificio il nome Landámssýningin è riportato a chiare lettere. Si scende al seminterrato e si paga un biglietto equivalente a circa 10,00€, forse troppo per i nostri standard museali e si capisce che qualunque cosa chiedano agli Uffizi o ai Musei Vaticani non è paragonabile. Ma gli islandesi hanno cercato di ovviare all'esiguità di testimonianze reali con ricostruzioni virtuali. Il museo è immerso nella penombra rischiarata da luci accese a richieste o posizionate nei luoghi di informazione. C'è persino un lucernario che prende luce dal marciapiede che avete percorso alla ricerca dell'edificio. Non lo avevate capito all'andata, ma quando ci ripassate all'uscita vi da quel senso di onnipotenza fugace che tutte le conoscenze postume sanno infondere, la superiorità presente sull'Io ignorante di prima.

L'interno è suggestivo, anche se solo con pignoleria e voglia di comprendere proprio tutto si riesce a passare una intera ora. In una stanza laterale c'è anche una ricostruzione tridimensionale con magnifica voce narrante, in inglese, azionata da una postazione centrale. Ovviamente chi si impossessa della postazione di comando decide l'ordine dell'informazione e, a causa di ciò, la sequenza può sembrare un po' sconclusionata, ma non preoccupatevi non essendo tante le cose da dire la ripetizione delle notizie farà si che l'ordinamento corretto sarà egregiamente riposizionato dal vostro cervello. La costruzione vichinga è, alla vista di noi profani abitanti dell'inizio del terzo millennio, come tutte le abitazioni troglodite: poche e piccole aperture, un focolare, i giacigli per gli umani ma anche per gli animali domestici di tutte le stazze, che ci evocano effluvi insopportabili e sensazioni d'igiene inesistente. Fortunatamente o meno la realtà virtuale si limita alla vista e udito, escludendo olfatto e tatto finiamo la visita contenti della mancanza del primo ma orfani del secondo. C'è poco da dire siamo rimasti alla fase conoscitiva dei primi anni basata sul “tocco tutto e porto in bocca”. Nella zona della biglietteria è stata allestita una presentazione della vita al tempo dell'insediamento, con relativa area per intrattenere i bambini troppo piccoli o semplicemente non interessati alla storia illustrata nella zona a pagamento. Non so, forse è squilibrato il costo per il risultato, ma ciascuno butta i soldi come vuole e a me essere nel punto esatto dove un migliaio di anni fa c'è stato un primo rozzo insediamento, in contrasto con tanta modernità e comodità, crea un brivido da macchina del tempo.


Marina Hiker pubblicato il 25.09.2017 [ Viaggi ]


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