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Uno scritto a caso

Simmula cou Simmulinu(*)
[poesia] (*) Similes cum similibus.... Poesia in moriconese
Pierluigi Camilli
04.12.2007

La strega

Marianna viveva sola ormai da molti anni in un appartamento di due stanze scure ed umide nella periferia di una piccola città della Lombardia

La sua unica compagnia era rappresentata da Ettore, un gatto vecchissimo e mezzo cieco che un tempo doveva essere stato nero ed ora aveva assunto un colore sbiadito che lo rendeva spiacevolmente anonimo. Da tempo ormai parlava quasi esclusivamente col gatto e con i santi che pregava tutti i giorni recitando a memoria sempre le stesse preghiere imparate in gioventù. Aveva trasformato una delle sue due stanzette in un piccolo santuario: ceri ed immagini sacre appese dovunque. Dal suo piccolo appartamento usciva un odore di cose vecchie di incenso e di urina. Forse per questo i vicini non la potevano sopportare: dicevano che era una strega e che portava sfortuna. La vecchietta aveva ormai 87 anni ed il suo volto era completamente raggrinzito, avrà raggiunto sì e no i quaranta chili di peso e camminava a fatica, tutta ingobbita recitando litanie ed antiche preghiere in latino arricchite da strane formule imparate molti anni prima al paese natale. La vita, per lei, era diventata un rituale estenuante e sempre uguale. Una sorta di lotta continua che conduceva diuturnamente ed ossessivamente per sconfiggere l’ansia e la paura che l’andavano attanagliando ormai da anni.

I suoi rituali esorcizzavano l’ansia, che come si sa, è una paura senza oggetto, ma poco potevano contro la paura vera e propria che le facevano certi giovinastri del paese che , un po’ per gioco, un po’ sul serio, avevano cominciato a chiamarla strega ed a farle ogni sorta di dispetto. Si erano sparse delle strane voci: una volta Benassi , il garzone della farmacia, dopo averla vista, era scivolato e si era rotto un polso, le comari dicevano anche che quando passava lei era opportuno rimanere alla larga almeno con i bambini piccoli. Eppure Marianna non aveva mai fatto del male a nessuno. Quand’era più giovane anzi aveva sempre tentato di aiutare chi ne aveva bisogno, aveva sempre pregato per tutti, ed ora, anche se avesse voluto fare del male a qualcuno non ne sarebbe stata capace in alcun modo. Anche ora che si sentiva , in qualche modo perseguitata, non riusciva ad odiare nessuno, aveva solo molta paura. Tutto era cominciato con i vicini di casa che da tempo non la tolleravano più. Non volevano assolutamente permettere che il vecchio gatto vivesse in quell’appartamento, per motivi igienici, dicevano. Lei poteva rinunciare a tutto, ma non al suo Etto. Del resto, come avrebbe potuto vivere Ettore senza di lei?

Fu per questo che cominciarono i primi litigi con la vicina di casa, e poi con il figliolo di quest’ultima, un givanottone, certo Giovanni detto “Il Barone” perché era il capo di una specie di banda formata d tutti i giovani del quartiere.

Da quella volta Marianna non potè più muoversi senza essere insultata e ricevere le grida di scherno e le risate dei ragazzi. Ogni tanto qualcuno le si avvicinava in motocicletta e frenava bruscamente poi ripartiva di colpo accelerando e ridendo sguaiatamente.

Marianna aveva reagito chiudendosi ancore di più in casa e pregando. Ma la Domenica, a messa, doveva pure andare.

Aveva anche avvisato i carabinieri di tutte queste angherie, ma il brigadiere Scognamiglio, dopo aver verbalizzato il tutto, le aveva detto:” Benedetta signora, bisognerebbe coglierli sul fatto. Non possiamo dar retta a tutte le fantasie della gente. Dopo che le avranno fatto del male, dopo che avranno fatto effettivamente qualcosa di preciso, allora sì potremo intervenire. Ad ogni modo restiamo a disposizione”.

“ Che devo aspettare che mi ammazzino?”. Chiese istintivamente Marianna.

Il brigadiere Scognamiglio si spazientì e le rifece il verso:” Che devo aspettare che mmi ammazzino? Dite tutti così. Secondo voi i carabinieri dovrebbero intervenire ad ogni pisciata di cane, anzi di gatto. Benedetta donna, deve capire che possiamo intervenire dopo che il reato è avvenuto, altrimenti a che titolo potremo farlo?”.

Quando Marianna se ne andò Scognamiglio si tocco scaramanticamente le parti intime. “ Questi credono che le forze dell’ordine debbano fare le loro balie. Con tutti i furti e le rapine che ci sono al giorno d’oggi, abbiamo cose ben più serie da fare che seguire le manie di una vecchia strega”.

Così Marianna se ne andò a parlare con don Oreste, il parroco del paese. Don Oreste era da tempo stanco di confessare Marianna che gli raccontava ossessivamente e meccanicamente sempre le solite cose, sempre i soliti peccati. Era un prete adatto per i giovani, lui, e non aveva molto tempo da perdere, doveva organizzare le gite e le partite di calcio del patronato e le riunioni degli scout. Poi proprio in quel momenti stavano trasmettendo per televisione la partita di calcio Milan Juve ed il prete, come tutti al paese sapevano eccetto forse marianna, era un tifoso sfegatato del Milan. Non la vedeva quindi molto volentieri, ma capiva che era suo dovere confortarla in qualche modo se non altro per evitare che la vecchia, con tutte quelle lamentele facesse del male a quei giovani della parrocchia che tormentavano Marianna e che il prete conosceva uno per uno. Disse quindi di sopportare con carità cristiana e rassegnazione che in fondo erano solo ragazzi che non volevano fare nulla di male. Quando Marianna finalmente se ne andò anche il prete si toccò scaramanticamente i coglioni, risollevato dal fatto di poter finalmente andare a vedere Il Milan alla televisione. Neanche a farlo apposta , quando il prete accese il televisore, il Milan stava già perdendo per due a zero, e la partita era appena iniziata. “Eppoi dicono…. Pensò fra sé e sé il prete, sono un religioso e certe cose non dovrei neppure pensarle, sarà ma come si suol dire non è vero ma ci credo” e si toccò ancora più volte approfittando del fatto che era rimasto in canonica da solo.

Da chi altri avrebbe potuto andare Marianna? Il dottor Trigona, il medico condotto, specializzato molti anni prima in Idrologia Chirurgica, le aveva prescritto degli ansiolitici, e da allora, ogni volta che la vedeva arrivare in ambulatorio, metteva il cartello “Torno Subito” e non si faceva trovare.

Marianna non riusciva a parlare con nessuno, e le sue preoccupazioni erano divenute recentemente ancora più pesanti del solito. Aveva sentito infatti che suo figlio Pasqualino, a giorni, sarebbe venuto apposta dal paese per trovarla, e non voleva assolutamente che Pasqualino, vedendola in quelle condizioni, si preoccupasse per lei. Si era sempre lei dovuta preoccupare per il suo unico figlio e non poteva concepire che potesse avvenire il contrario. Fin dai tempi in cui il marito l’aveva lasciata, aveva sempre dovuto lavorare duramente per mantenere Pasqualino. Aveva fatto la donna di servizio per anni, aveva perfino lavorato la terra pur essendo una donna, non aveva mai chiesto l’elemosina, ma poco ci era mancato. Il povero Pasqualino, del resto, era sempre stato piuttosto delicato e timido, più piccolo e più gracile dei suoi compagni. Ricordava quando andava a prenderlo a scuola alle elementari e poi anche alle medie: tutti gli altri ragazzi uscivano allegri vociando ridendo e spingendosi l’un l’altro e poi, in fondo di tutti, appariva il povero Pasqualino carico di borse, piccolo,piccolo, magro, magro, serio, serio. Sembrava che il povero bambino non potesse reggere tutta quella vivacità e quella allegria dei compagni. Non che a scuola facesse male, i maestri ed i professori rimanevano sempre stupefatti dell’eccezionale serietà, calma, senso di responsabilità e coerenza nel comportamento che dimostrava quel bambino così gracile. Marianna tuttavia non pensava certo che Pasqualino potesse essere il tipo a cui affidare i propri problemi e le proprie preoccupazioni. Dopotutto era lei la mamma, era lei che doveva proteggerlo e non il contrario. Era sempre andata così.

Non aveva quindi mai pensato durante le periodiche telefonate che il figliolo affettuosamente le faceva, di accennare minimamente a quelle piccole difficoltà avute con i vicini e coi ragazzotti del paese. Anzi, adesso che Pasqualino sarebbe arrivato a trovarla, Marianna avrebbe fatto di tutto per tenere nascosta la cosa o quantomeno per minimizzare. Sapeva di sicuro che non avrebbe certo fatto piacere al figlio sapere che tutto il vicinato diceva che Marianna era una strega e che portava Jella. Meglio quindi tacere e far finta di niente; tanto più che Pasqualino era da poco rimasto vedovo e doveva badare da solo ad Angelo e Vito, i suoi due adorati nipotini.

Marianna era assorta a pensare a tutte queste cose mentre rincasava, quando incontrò ancora una volta il gruppo di ragazzi del quartiere, tutti in sella alle loro rombanti motociclette,guidati proprio da barone, il figlio della vicina di casa. “ Strega puzzolente”. Gridò il giovane e fece quasi per investire la vecchia sterzando all’ultimo minuto appena prima di investirla. Marianna cominciò a pregare sotto voce:” Ave Maria piena di grazia….. Gesù Giuseppe Maria vi dono il cuore e l’anima mia”. “ I tuoi sortilegi non ti serviranno questa volta” disse uno dei giovani accelerando paurosamente “ Vedrai che bella sorpresa troverai quando tornerai a casa. Hai finito di portare sfiga alla gente”.

Marianna si mise a tremare violentemente, ormai era quasi arrivata alla soglia di casa, ma gli ultimi passi le sembravano interminabili, riuscì comunque ad aprire la porta della piccola cucina e restò di sale: il povero gatto Ettore pendeva impiccato al filo che reggeva la fioca lampadina da 40 watt della piccola cucina. La lingua sporgeva latero deviata e l’unico occhio sembrava emettere un sinistro raggio giallo verdastro di luce laser.

Marianna si scosse e si precipitò alla finestra che si affacciava alla strada dalla quale continuavano a provenire i sinistri boati delle moto e gli insulti dei giovani:” Vattene via vecchia strega, vattene a portare sfiga da qualche altra parte”.

Fu allora che Marianna si accorse di qualcosa di ancora più sorprendente. Una coincidenza incredibile. Parcheggiata a lato del marciapiede vi era un’auto nera di grossa cilindrata, dalla quale, proprio in quel preciso momento stava scendendo suo figlio Pasqualino ed i suoi due nipoti Angelo e Vito. Avevano visto tutto. Pasqualino entrò in cucina, abbracciò la madre e disse:” Perché non mi hai mai detto niente mamma? Ora ti porterò con me al paese”.

“ Non posso figliolo, ormai voglio morire qui” rispose Marianna con un sussulto quasi d’orgoglio. Andarsene le sarebbe sembrato quasi cedere ad una prepotenza, a qualcosa di ingiusto e non lo voleva fare. Pasqualino capì quell’ostinazione tutta siciliana e si mise a piangere in modo sommesso, poi si ricompose subito e disse:” Va bene mamma, vedrai che con l’aiuto della Madonna sistemeremo tutto. Non avere paura”. Malgrado fosse mingherlino ed alto meno di un metro e sessanta emanava in quel momento dopo aver pianto, una calma assoluta e stranamente Marianna non aveva più paura. Pasqualino aveva lasciato la Lombardia a 16 anni e si era fatto strada da solo a Palermo, con la sua serietà, la sua coerenza ed un codice morale tutto suo che valeva solo all’interno della sua cerchia si era fatto subito rispettare malgrado l’aspetto fisico. Si era formato una nuova famiglia, molto più ampia di quella e che ben poco aveva a che vedere con quella di origine. Di ciò non aveva mai avvisato la madre per non darle dei pensieri inutili. Le mandava tuttavia mensilmente un congruo assegno che Marianna versava totalmente in un libretto al portatore che non aveva quasi mai intaccato. Marianna infatti non aveva bisogno di nulla eccetto del cibo per sé e per il gatto e non avrebbe mai accettato l’aiuto di un’estranea per le faccende di casa. Pasqualino capì subito che non era con i soldi che avrebbe potuto aiutare la madre. Anche il nipote Angelo, che in passato si era occupato dei problemi più delicati e sporchi della famiglia, si mise a singhiozzare ed abbracciò teneramente la nonna. Mai una volta, durante tutta la vita le aveva mancato di rispetto e nemmeno aveva sentito qualcun altro farlo. Anche se molte volte aveva dovuto ricorrere alla violenza, sempre per gravi problemi di denaro o di rispetto, non aveva mai veduto niente di così stupido ed inutile nella sua vita Era rimasto quindi scosso da tanta inaspettata volgarità e violenza verso una persona rispettabile ed indifesa alla quale, fra l’altro voleva bene. Vito invece rimase impassibile, non mosse un muscolo, uscì immediatamente in strada e fissò fermamente il gruppo dei giovani motociclisti, posando lo sguardo attentamente su ognuno di loro senza dire una parola. Non assomigliava al padre, era alto, muscoloso, riccio di capelli e nero come la pece. Se possibile in quel momento era ancora più nero. Barone cominciò ad insultarlo ma Vitp non rispose e rimase immobile a fissarlo. Sembrò anzi abbozzare all’indirizzo del giovane, forse a causa del nervosismo, un mezzo sorriso. Dopo pochi istanti, i giovani centauri, se ne andarono sghignazzando e Vito rientrò in casa. Sembrava sorridere ancora. “ Sistemeremo tutto” disse.

I giorni che seguirono infatti passarono all’insegna della calma più assoluta, il peggio sembrava essere passato, niente più brutti scherzi.

Il povero Ettore però non c’era più.

La settimana dopo arrivò a fare visita a Marianna anche compare Luigino, un vecchio amico di Pasqualino, dai tempi delle elementari che era da alcuni anni consigliori del padrino Pasquale Iuvara. Compare Luigino portò dei dolci e del marsala e fece ridere Marianna, per la prima volta dopo tanti anni, raccontando aneddoti del paese. Raccontava di come l’asino di Bugnino fosse morto proprio quando il padrone era riuscito ad insegnargli a lavorare a digiuno, ed altre vecchie storie che Marianna già conosceva da anni. Tuttavia il compare sapeva raccontare così bene che la faceva sempre sbellicare dalle risa. Prima di andarsene disse ridendo tra sè e sé” Ma guarda un po’, proprio alla madre di don Pasqualino…” e non aggiunse altro.

Un giorno della settimana successiva Barone ebbe un brutto incidente in moto e si sfasciò una gamba. Il meschino ebbe l’ardire di accusare dell’accaduto proprio Vito il nipote di Marianna. Quando tutti avevano visto che quest’ultimo proprio a quell’ora era stato a far visita a don Oreste per una generosa offerta in denaro per la parrocchia. Il giovane Barone non doveva attraversare un periodo fortunato perché dopo pochi giorni si fratturò anche il bacino, fu poi trovato molte volte completamente ubriaco e mezzo drogato a straparlare. Un giornalista pubblicò nel giornale locale alcuni articoli dai quali si evinceva che Baccega Giovanni detto Barone aveva avuto dei trascorsi pochi chiari con le donne e forse anche con la droga. Il giornalista lasciava supporre che il Barone appartenesse ad un giro malavitoso che agiva in quei paesi da tempo. Anche gli altri giovani della sua banda non ebbero miglior fortuna in quei giorni e finirono accomunati a Barone in quanto persone poco raccomandabili da cui era meglio stare alla larga. Uno di questi giovinastri, uno dei più esagitati, perse la vita proprio in quei giorni per cause poco chiare.

Tutti i notabili del paese, don Ettore in testa, dissero che loro lo sospettavano da tempo e che quando si cresce senza solidi principi morali è questa la fine a cui si va incontro. I vicini di Marianna, dopo pochissimo tempo si trasferirono in un altro paese e furono sostituiti da gente educata e rispettosissima.

Il brigadiere Scognamiglio insistette per mandare una volante almeno due o tre volte la settimana a controllare il quartiere dove abitava Marianna. Lei rispondeva che non c’era bisogno ma lui replicava che era sempre meglio prevenire che curare.

Il prete prese l’abitudine di passare molte volte a trovare la vecchia e a chiederle se per caso non volesse confessarsi.

Il medico condotto, dottor Trigona, specialista in idrologia chirurgica, aveva preso l’abitudine di passare ogni giorno per parlare con Marianna. Diceva che la miglior terapia contro l’ansia era il parlare con una persona competente di psicologia com’era lui e che lui era proprio andato là per farla sfogare, per farle passare l’ansia. “ Grazie dottore ormai l’ansia mi è passata” rispondeva con riconoscenza Marianna, ma Trigona diceva, semi scherzando, che dopo la visita che gli aveva fatto Vito Juvara, l’ansia era venuta a lui e, chissà come, chissà perché, quelle pillole che le aveva ordinato in passato, ora le stava prendendo lui.

Ogni tanto accadevano anche cose piacevoli: Marianna si svegliava e trovava sul davanzale della sua finestra un bel mazzo di fiori. Si erano inoltre diffuse della strane voci: un giovanotto, dopo essersi per caso incrociato con Marianna, aveva ritrovato miracolosamente il suo portafoglio pieno di banconote da cento euro. Una donna, dopo aver visto Marianna in sogno, era andata a giocare al lotto e aveva vinto un terno secco. Qualcuno parlava anche di strane guarigioni,ma questo forse era eccessivo, troppo superstizioso.

Una cosa era certa e tutto il paese era d’accordo: Marianna portava fortuna. Emanava anche un vago 0dore di rose e portava sicuramente fortuna ed era sempre un piacere incontrarla e salutarla con deferenza. Profumava di rose, e i bigotti del paese, benché il prete non avesse ancora dato il consenso, parlavano già di odore di santità.


annibale bertollo pubblicato il 18.10.2011 [Testo]


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