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Uno scritto a caso

Reconquista
[scritto] possibile storia futura non auspicabile
maurizio scanferla
02.07.2008

Quadro Impressionista

Un pensiero fisso, una canzonetta infantile e la realtà  davanti agli occhi che non è il "mio quadro quadro impressionista"

Un solo pensiero appare fisso nella mia mente la mattina appena sento risvegliarsi il mio corpo che prende a stiracchiarsi e quando sento i miei neuroni lavorare incessantemente (durante la notte li avevo ignorati, come fanno tutti, no?); questo pensiero mi insegue ovunque, alle volte è stressante, martellante, altre volte sta semplicemente lì , muto e immobile, come a lasciarsi ammirare, ma mai e poi mai scompare... Durante la notte sicuramente si è in qualche modo attivato entrando nei miei sogni e cantando la prima voce, ma ora non ricordo più nulla, ormai ci ho fatto l'abitudine... i tempi in cui la notte rimanevo sveglia a fissare quel pensiero che, come un film, scorreva davanti ai miei occhi sono ormai passati, anche se alle volte mi capita ancora... Mi alzo fiaccamente dal letto non sforzandomi neanche di pensare ad altro, tanto lo so, è inutile. Mi vesto senza neanche accorgermi cosa prendo dall'armadio e scendo le scale con gli occhi bassi, come se su ogni scalino vi fosse qualcosa di incredibilmente interessante, ma in realtà non c'è nulla, sono semplici scalini di marmo con una fantasia a puntini bianchi, neri e grigi... i colori che mi circondano sono solo bianco, nero e grigio... vivo in un film in bianco e nero dove il sole è un grigio chiaro, dove la mia maglietta rossa in realtà è di un grigio un po' più scuro e dove il mio viso è perennemente cupo perché la luce non riesce a raggiungerlo... Il mio pensiero invece è un quadro impressionista impregnato di verde smeraldo dove qua e là nascono spruzzi di fiori di vari colori. La luce del sole è accecante come appunto deve essere la luce di un vero sole! Il sole lo vedo anche qui a dire il vero, basta un po' di immaginazione dopotutto, solo che alle volte di immaginazione ne serve troppa per riuscire a vederlo... Il mio quadro impressionista è anche impregnato d'un azzurro profondo come il cielo di montagna: è così profondo che quando lo si guarda sembra quasi di tuffarvisi! Al tramonto poi il cielo si dipinge di rosa, rosso ed arancione venendo poi pian piano ricoperto da un nero impenetrabile decorato da tante piccoli puntini luminosi, quei puntini luminosi che qui ormai non esistono più... Scendo le scale e come un automa mi preparo la colazione mentre ancora il mio pensiero mi tormenta, ma non come un martello, bensì come un candido bimbo che mi tira un lembo della maglietta perché vuole giocare, o perché semplicemente vuole che lo guardi e gli conceda tutte le mie attenzioni; purtroppo la maggior parte delle volte lo devo ignorare, devo lasciare che la mia monotona giornata vada avanti e così farò anche questa mattina. Per distrarmi solitamente a colazione accendo un po' di tv e come un'ameba osservo le immagini di un film o di un telefilm scorrere davanti ai miei occhi, ma neanche questo serve a cancellare il mio pensiero... il mio quadro impressionista rimane sempre in primo piano, non c'è nulla da fare... Sistemo scodella e cianfrusaglie varie per la colazione e mi preparo per uscire: scarpe, giacchetta di jeans, zaino dell'università e chiavi della macchina. Ho tutto. Durante il tragitto evito di guardarmi troppo attorno a parte lo stretto indispensabile per guidare evitando di fare danno alla mia macchina, a me stessa e agli altri; parcheggio e mi dirigo verso la solita squallida stazione in attesa del solito squallido treno per Milano. Che noia. Come al solito tutto è grigio: l'orizzonte non esiste perché è immerso nel grigio di un cielo che è grigio quanto è grigio il fumo che esce dallo scarico di una fabbrica che si intravede dal finestrino... se dovessero chiedermi di descrivere la zona in cui abito gli direi semplicemente grigia e piatta. Il piatto è dato dalla distesa di piccoli campi malconci, fabbriche ammassate le une dalle altre e case prodotte da una speculazione edilizia priva di qualsiasi gusto estetico (non chiedo di salvaguardare il paesaggio, ormai non c'è un bel nulla da salvaguardare, ma almeno di costruire case che nella loro individualità siano quanto meno carine!), il tutto si estende infinitamente fino ad essere inghiottito nel grigio di cui prima parlavo. Detto questo ho detto tutto ciò che c'è da dire. Evito di dire il resto, sarebbe troppo sconvolgente e poi non ho proprio voglia di rimuginarci sopra, finirei col diventare ancora più cupa di quanto già sono. Il mio quadro impressionista non è piatto, affatto! E' ondeggiante ed irregolare, è composto da più piani tutti distinguibili l'uno dall'altro, sempre diversi, sempre nuovi ed ogni volta sorprendentemente splendidi... Le case sono piccole (ma anche grandi) costruzioni in pietra immerse nel verde smeraldo punteggiato di rosso, giallo, viola, arancio, azzurro e tante altre sfumature di colore e qualora sembrino ammassate è perché sul cucuzzolo di una collina sorge un borghetto o una piccola città che rimane intatta come fosse protetta da una bolla. Arrivo a Milano ovvero la capitale del grigio. In un disperato tentativo di trovare qualcosa di ormai estinto alzo il naso al cielo prima di entrare in metropolitana e... ovviamente il sole non c'è, mi sorprendo? No, affatto. Scendo. I miei movimenti sembrano quelli di una macchina solo che ora non sono sola nella cucina di casa mia, ma sono circondata da altre centinaia di automi programmati per correre sui loro piedini, salire gli scalini della scala mobile di corsa perché hanno fretta di andare chissà dove e poi sbuffare sulla banchina perché la metro ha un ritardo di 15 secondi... Il fatto è che io sono un robot anomalo, penso che nella mia produzione ci sia stato un cortocircuito che non sono mai riusciti a riparare, o forse semplicemente ci hanno rinunciato... sarei da rottamare. Io non corro sui miei piedini, non salgo le scale di corsa e non sbuffo aspettando la metro; cammino con calma fissando un punto imprecisato davanti a me e ormai non faccio neanche più caso agli altri automi che mi vengono addosso perché sono d'impiccio in quanto non tengo il loro passo; sulla scala mobile resto ferma ad aspettare che sia essa a portarmi a destinazione e sulla banchina rimango immobile a fissare il solito punto imprecisato in attesa della metro, che importa se ha 15 secondi di ritardo? Neanche me ne accorgo... In tutto ciò il mio pensiero mi tiene compagnia, una compagnia fastidiosa perché è come un bimbo che canticchia "questo non è il tuo quadro impressionista pappappero questo non è il tuo quadro impressionista pappappa". Lo ignoro, che altro devo fare? La metro arriva alla mia fermata e scendo venendo come sempre travolta dalla fiumana di macchine umane che hanno fretta di andare chissà dove... Sono forse solo le lezioni che riescono a zittire il bimbo che smette di canticchiarmi nell'orecchio quell'orribile cantilena, ma appena la coda dell'occhio involontariamente si rivolge ad una finestra dell'aula ecco che ritorna il mio pensiero ed il bimbo con la sua cantilena "questo non è il tuo quadro impressionista pappappero". Torno con lo sguardo sugli appunti, tendo l'udito alle parole del professore e sia il mio pensiero che il bimbo con la sua cantilena tornano ad assopirsi, ma non per molto... Finita la lezione riprendo il mio lento e trascinato cammino verso la metro evitando di guardarmi troppo attorno per prevenire la cantilena del bimbo... Lo so che questo non è il mio pensiero fisso, non è il mio quadro impressionista, lo so... evitiamo di paragonare le due cose, ok? Non ce n'è bisogno, sto già abbastanza male, basta, ti prego. Tace. Ripercorro a ritroso il viaggio d'andata e torno a casa per il pranzo che preparo ascoltando sprazzi di telegiornale; va un po' meglio, ma la situazione torna drammatica quando inizia il telegiornale regionale che ha il potere di farmi ricadere a terra con un tonfo pesante ed estremamente doloroso. Il bimbo riprende a canticchiare questa volta cambiando le parole della sua cantilena: "tu abiti quiii pappappero non abiti nel tuo quadro impressionista pappappa". Lo so, lo so, lo so! Basta! Lasciami in pace, lasciami stare! Perché devi farmi soffrire così ? Perché? Piango, piango perché il peso sul cuore è troppo e perché il mio cuore ormai è quasi del tutto distrutto... i suoi cocci sono sparsi nel mio quadro impressionista, li ho lasciati lì ogni volta che mi ci sono immersa, ma quando arrivava l'ora di andarmene e di ritornare nel grigiore in cui vivo non sono più riuscita a recuperarli... Piango non perché vorrei recuperarli, ma perché vorrei raggiungerli! Il mio cuore non è infinito, prima o poi i pezzi finiranno ed allora che farò? Io so cosa devo fare, lo so perfettamente, devo raggiungerli il più presto possibile... non posso aspettare ulteriormente per tuffarmi nel mio quadro impressionista perché ogni attimo di più è troppo ed il mio cuore alla fine non sarà altro che un ramoscello rinsecchito, ed io che sarò allora? Devo farlo ora, ora che il mio cuore ancora pulsa, seppur debolmente. Mi alzo dal pavimento della cucina dove mi ero afflosciata come una foglia morta, raggiungo il rotolo di carta e mi soffio il naso come un trombone (me lo dicono tutti che sembro un trombone) e poi resto lì ferma a fissare lo schermo del televisore incapace di pensare a ciò che il giornalista sta commentando, incapace di rendermi conto anche solo delle parole che sta pronunciando, semplicemente mi fermo e penso... un modo ci deve essere...


Elena Gatti pubblicato il 15.11.2007 [Testo]


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