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Uno scritto a caso

vorrei
[poesia]
alessandra albensi
20.11.2007

Ricordo d'amore

Giuseppe, 40 anni, vive la sua vita lavorativa ed in famiglia con serenità . Una cena di ex alunni fa

Il paesaggio scorre davanti al finestrino mentre il treno mi sta portando a Roma, città in cui lavoro. Piove e gocce d'acqua scivolano, attaccate come ventose al vetro del finestrino per non farsi risucchiare dalle ruote del vagone. Ho quarantotto anni e da ventidue faccio il pendolare da Viterbo. Solita vita e soliti orari. Sveglia alle sei, treno alle sette e venti ed arrivo a Roma alle nove meno dieci. Lavoro abbastanza noioso da responsabile amministrativo nell'ambito delle partecipazioni statali. Ho tra le mani una busta con un invito. L'ho trovata ieri sera tra la posta. Il cartoncino dice: "La S.V. è invitata al trentennale della maturità della mitica 3° A del liceo Mamiani. Sabato 23febbraio 2008 ore 20,30. Ristorante Pane e Olio, via dei Due Ponti. RSVP 338/525117" Questa è sicuramente una trovata di Valerio Ramondini. Lui ha avuto sempre il pallino dell'organizzatore. Casinista nato riusciva ad applicare nello studio la classica regola:"il massimo con il minimo sforzo." L'ho rincontrato due anni fa ad un convegno sull'effetto dell'Euro sull'economia italiana. Anche lui è dirigente di azienda in una società a partecipazione statale. L'invito da un lato mi incuriosisce dall'altro mi riporta ad un passato non troppo piacevole. Sento i lividi di vecchie ferite che credevo ormai cicatrizzate. Questo perché non ho bisogno di guardarmi indietro se non per essere fiero di ciò che ho fatto per la mia famiglia. Ho una moglie bella e semplice e tre figli adorabili che sotto sotto, ne sono sicuro, non farebbero la mia vita. Claudio, ventuno anni , studia medicina. Francesca, diciotto anni, scienza della comunicazione e Simona, tredici anni vuol fare la velina. Speriamo le passi! La vita con Giovanna, mia moglie, è tranquilla, tendente all'appiattimento come gran parte dei matrimoni. Romana, figlia di un noto fiscalista, l'ho conosciuta ad una festa, a casa di un amico comune. Avevo ventidue anni e lei venti. Ero andato a quella festa controvoglia. Avevo avuto quattro anni prima, ed ancora non ero uscito, una grossa delusione sentimentale che non ho mai capito. Me ne stavo in disparte piuttosto scocciato, quando lei mi si avvicinò:

- Certo che hai l'aria di divertirti molto
La guardai sorpreso. Indossava un abitino giallo abbastanza attillato, capelli lunghi neri, ed un sorriso dolcissimo.
- No è che conosco solo il padrone di casa e poi non è che sia dell'umore migliore per essere di compagnia.
- Ora conosci anche me, io sono Giovanna Falini
- Falini Falini?
- Si Falini Falini - annuì sorridendo.
- Scusa, ho fatto una domanda imbecille.
- Non ti preoccupare la fanno in parecchi. Sai papà è abbastanza conosciuto.
- Già.
- Il tuo nome è un segreto? Oppure me lo vuoi svelare?
- Ehm scusa, io sono Giuseppe Bianchi e mio padre non lo conosce nessuno.
Sorrido nel ricordare l'imbranatura di quell'incontro. Io non sono stato mai un latin lover ma, neanche mi sono sentito in difficoltà nel parlare con una donna. Con Giovanna si. Ballammo tutta la sera insieme e poi ci rivedemmo i giorni seguenti. Fu un'amicizia che presto si trasformò in amore. Le sarò sempre grato di avermi fatto rialzare in un momento di grande delusione. Dopo tre anni di fidanzamento, ci sposammo. Una cerimonia meravigliosa nella Basilica di Santa Sabina. Fece tutto mio suocero. Mio padre era un onesto impiegato alle Ferrovie dello Stato e non poteva certo permettersi il costo di quella cerimonia. Partecipò dignitosamente, ma in minima parte, alle spese. Fu quella l'unica volta in cui permisi, ufficialmente, a mio suocero di aiutarci. Voleva comprarci la casa a Roma ma io mi impuntai e con le mie forze accesi un mutuo ed acquistai un appartamento a Viterbo. Penso che questo trasferimento Giovanna non me lo abbia mai perdonato. Mio suocero mi aveva offerto anche un lavoro nel suo studio ma io garbatamente avevo rifiutato. Alla fine fece buon viso a cattivo gioco ed accettò la mia decisione di portare la figlia in provincia. Spesso, specie i primi tempi, i genitori di Giovanna le davano dei soldi di nascosto da me. Io disapprovavo ma, per quieto vivere, facevo finta di nulla. Dopo due anni nacque Claudio, dopo altri tre Francesca e dopo altri cinque Simona. Grazie al mio impegno le nostre risorse economiche sono aumentate e ci consentono di condurre una vita soddisfacente che, in una città come Roma, non ci potremmo assolutamente permettere. I primi anni di matrimonio sono stati molto belli e pieni di passione anche se, visto il mio stipendio non esaltante, faticavamo ad arrivare alla fine del mese. In quel periodo mi è toccato, e me ne vergogno, far finta di non vedere gli aiuti che venivano dalla famiglia di Giovanna. Questa umiliazione mi spronò ancor più a cercare di migliorare la mia posizione lavorativa. Nel 1990 mi iscrissi all'università e presi la laurea in Economia e Commercio a giugno del 1994. Furono quasi quattro anni terribili per Giovanna. Ero nervoso ed insopportabile. La sera, dopo cena, mi chiudevo nella camera da pranzo e studiavo fino a notte fonda. Sapevo che stavo trascurando mia moglie ed i miei due figli piccoli, ma l'idea di poter dare una vita migliore alla mia famiglia mi faceva superare la fatica. Lei era premurosa nei miei confronti ed io mi infastidivo per le sue attenzioni. L'estate del 1992 la spinsi ad andare in villeggiatura con i bambini dai suoi ad Ansedonia. Io rimasi solo a studiare e non solo. Mi ritrovai tra le braccia di Luisa, una mia collega. Passai il mese di Agosto in sua compagnia tra studio e sesso. Quello che ancora mi provoca dolore è che mentre stavo con Luisa non provavo alcun rimorso del male che stavo facendo alla madre dei miei figli. Povera Giovanna quante te ne ho fatte passare! Finalmente arrivò la laurea ed il ritorno ad una vita normale. Mi riavvicinai a Giovanna e... arrivò Simona. Venne anche la promozione e di conseguenza uno stipendio che mi consentiva, a 35 anni, di mantenere da solo la mia famiglia.
Il treno entra in una galleria e la luce dello scompartimento riflette il mio viso di quarantasettenne con un sorriso malinconico. Vedo un uomo belloccio, riccio e brizzolato. Gli anni sono passati anche per me. Spesso in viaggio mi addormento. Quando ciò non accade penso ed allora sono guai. Credo che, per i pendolari, il segreto per sopravvivere è quello di dormire durante il viaggio. Perché se non dormi pensi e se pensi sono guai. E' quello che mi sta accadendo ora. In mezz'ora ho ripercorso venticinque anni della mia vita. Spesso mi chiedo se Giovanna sia stata veramente la donna della mia vita. La risposta che mi viene è sempre positiva. Poi mi chiedo per quale motivo, spesso ripenso a Laura. Già Laura, la causa della mia delusione sentimentale che non ho mai capito. La delusione che mi faceva stare male quando incontrai Giovanna. Eravamo compagni di scuola al Mamiani, uno dei migliori licei di Roma. Lei, per me era stupenda. Capelli biondi, lentiggini, e due occhi celesti da impazzire. Tutti i ragazzi della mia classe le facevano il filo ma solo io ci riuscii. Ricordo il primo bacio. Ce lo siamo dati allo Zodiaco, sulla collina di Monte Mario, con Roma ai nostri piedi. Ci baciammo con tale intensità che, a volte sento ancora il sapore delle sue labbra. Era novembre del 1975. Tutti e due quindicenni affrontavamo la nostra prima storia importante. Laura, figlia di un generale dell'esercito era soggetta ad un'educazione molto rigida. Anche sua madre era molto protettiva e le lasciava pochissima libertà. I nostri momenti ce li ritagliavamo dopo lo studio dalle sette alle otto di sera. L'ora della passeggiata post studio. Ci contentavamo di poco. Se faceva freddo prendevamo una cioccolata calda al Bar Ciampini a piazza delle Medaglie D'oro. Era un bar con una particolarità. Aveva un piano rialzato ed appartato dove gli innamorati come noi potevano scambiarsi qualche fugace bacio. Quando non c'era il freddo tornavamo allo Zodiaco, luogo del nostro primo incontro. Era stupendo sentire la calda morbidezza delle sue labbra con il panorama di una Roma distesa ai nostri piedi. Eravamo presissimi l'uno dell'altro. Mi sembrava di sognare. Dio quanto era bella e quanto l'amavo! Spesso quando la baciavo le sussurravo." Grazie di esistere." Lei mi guardava e mi premiava con il suo sorriso. Finita la scuola, per noi iniziavano i dolori. Infatti, l'estate loro andavano in vacanza a Roseto degli Abruzzi da giugno a settembre. Io con la mia famiglia facevo solo quindici giorni ad Anzio. L'estate del 1976, lo ricordo ancora, fu penosa. La passai ad aspettare continuamente la lettera giornaliera che Laura mi mandava. Io non potevo scriverle. Non esistevano ancora le mail né i cellulari. Ricordo la delusione che provavo quando trovavo la cassetta della posta vuota. Riusciva a telefonarmi due volte a settimana. Il mercoledì ed il sabato. Vivevo per quei pochi minuti di conversazione. Mi rodeva la gelosia che potesse essere corteggiata. La vedevo bellissima e lo era davvero. Poi finalmente arrivò il momento della riapertura delle scuole. L'anno 1976 - 1977 fu stupendo. Facevamo il secondo liceo classico e trovammo il modo di vederci di più. Laura era riuscita ad ottenere il permesso da sua madre di studiare con me. Avevo iniziato a frequentare casa sua ed avevo instaurato un buon rapporto con la madre. Apparentemente la donna ignorava la nostra relazione ma Laura mi aveva confidato che ne era a conoscenza e che mi riteneva un ragazzo a posto. A scuola andavamo a gonfie vele e ciò non faceva che agevolare le occasioni per vederci. L'estate del 1977 fu meno traumatica, perché la mamma di Laura mi consentì per i mesi di giugno e luglio, quando non c'era il generale, di andare a Roseto. Una volta ogni quindici giorni, prendevo il treno stavo un paio di giorni e tornavo a Roma. Potevamo sentirci per telefono ogni giorno. Ad agosto con l'arrivo del padre in vacanza, la musica cambiava. Tornavamo all'oscurantismo dell'anno prima. Ma a noi andava bene lo stesso. Quando non la sentivo mi sfogavo nel fare suoi ritratti con il carboncino. Disegnavo il suo viso con le smorfie più impertinenti e quei disegni li porto ancora impressi nel mio cuore. Iniziò il terzo liceo e noi, infervorati dai progetti che facevamo, dedicammo moltissimo tempo allo studio e quasi niente per noi. Lei si era messa in testa di fare la pediatra. Amava i bambini e, a volte, maliziosamente, mi diceva:" ne voglio avere tantissimi!" il mio proposito, al contrario, era quello di fare ingegneria e mettermi a costruire palazzi. Venendo da una famiglia modesta, la mia ambizione era quella di acquisire un notevole benessere ed assicurare a Laura una vita agiata e felice. Non vedevo l'ora di finire la scuola e realizzare questi progetti con la mia Laura. Non pensavo ad altro. Non potevo immaginare che, inconsciamente, stavo desiderando la fine del mio periodo di maggiore felicità. Il diploma lo prendemmo con una media molto alta. Eravamo finalmente liberi. Ci dividemmo come al solito per le vacanze. Il generale partì con loro, era ormai agosto, e noi tornammo al solito regime di austerità. I miei andarono, come sempre, quindici giorni ad Anzio ma io, con una scusa, rimasi a Roma. La prima telefonata di Laura la ricevetti il diciotto agosto. Fu di una freddezza unica. Le chiesi perchè non mi avesse chiamato prima e ricevetti un laconico "non ho potuto." " Ma tu mi ami ancora?" glielo chiedevo con rabbia e dolore "Certo. Ma che domande mi fai? Ora devo andare" io rimanevo con un palmo di naso. Tanti giorni di attesa per sentirmi trattare in quel modo. Tornò a Roma il 3 settembre, mi telefonò e mi diede appuntamento a piazza Mazzini. Ci vedemmo ed andammo a prendere un gelato da Vanni. Lo percepivo, era lontana anni luce dalla mia Laura. Era fredda e distratta. Mentre andavamo da Vanni l'avevo baciata. Il bacio più freddo e distaccato della mia vita.
- Laura, ma che ti succede?
- Ma niente. E' che adesso è arrivato il momento di programmare le nostre vite. La scuola è finita e dobbiamo programmare il nostro futuro.
- Ma lo abbiamo fatto tutto l'anno. Mi pare che fino agli esami avevamo le idee chiarissime. O no?
- Tu le avevi chiarissime. Per me in questo mese sono cambiate un po' di cose.
- Cosa ti è cambiato?
Il suo sguardo mostrava evidente imbarazzo. Io la fissavo ma lei non aveva il coraggio di sostenere il mio sguardo. Le presi la mano e riformulai la domanda:
- Laura, cosa è cambiato?
- Giuseppe, tu sei tanto caro, ti voglio tanto bene, ma sei ancora un ragazzo ed io ho bisogno di una persona matura al mio fianco. Una persona che mi dia la sicurezza che non ho.
- In un mese hai cambiato così tanto il tuo modo di pensare? Cosa è successo Laura? Penso di avere il diritto di saperlo.
- E va bene. Volevo risparmiartelo. A Roseto ho conosciuto Giulio, un ragazzo di venticinque anni che mi ha fatto una corte spietata.
- E tu? Ci sei stata?
- Per il bene che ti ho voluto non ci sono stata. Volevo prima dirtelo.
- Allora pensi di lasciarmi e metterti insieme a lui?
- Giuseppe, io con lui ci sto bene. Mi da sicurezza. Ha un lavoro.
- E poi è gradito a tuo padre vero?
Laura abbassò lo sguardo e capii che avevo colto nel segno. Guardavo le pareti della gelateria fissando i particolari inutili, quali le appliques ai muri o gli occupanti degli altri tavoli. In realtà non realizzavo nulla di ciò che vedevo. Mille idee si affollavano nel mio cervello ma non mi usciva neanche una parola.
- Giuseppe, tra noi è stato bello ma è stata una parentesi che ci porteremo come un ricordo di gioventù.
- Ma tu mi hai amato?
- Amore è una parola grossa per due ragazzi. Ci sono cose più importanti nella vita. Lo capirai crescendo. Ora ti disperi ma vedrai che un domani mi ringrazierai.
- Allora la storia finisce qui?
- Credimi, è meglio anche per te.
E' stato il gelato più amaro della mia vita. La sensazione del mondo che mi franava addosso, ogni volta che risento queste parole, la provo ancora adesso. Sentivo le lacrime che cercavano prepotentemente di uscire ma, fortunatamente, il mio orgoglio riuscì a ricacciarle indietro.
Quel giorno cambiò la mia vita. Non mi iscrissi all'università, con grande dispiacere dei miei genitori, non chiesi il rinvio del servizio militare, e a novembre partii per il car, destinazione Albenga. Tornato dal militare ho trovato, tramite un amico di mio padre, questo lavoro. Mi sono dato molto da fare e sono riuscito, con grande fatica, ad impadronirmi dei segreti della contabilità. Lavoravo anche dodici ore al giorno. La vita extra lavorativa non mi interessava. Questo finchè non conobbi Giovanna.
Il treno sta finalmente entrando in stazione. Sono le otto e trenta, i soliti dieci minuti di ritardo. Prendo la metro e in pochi minuti sono a Piazza Bologna, in ufficio.
- Buongiorno dottor Bianchi
- Buongiorno Anna.
- La mia segretaria, una trentacinquenne molto carina, efficiente e premurosa, dopo avermi salutato, mi porta la posta. Le chiedo un caffè e mi appresto ad iniziare la mia giornata di lavoro. Non ho la solita voglia di lavorare. I pensieri fatti in treno mi hanno prepotentemente riportato nei panni del ragazzetto tutto cuore e sprovveduto. L'uomo maturo e capace di farsi una posizione solo con la sua caparbietà, per il momento, è stato accantonato. Mi torna improvvisamente voglia di sapere che fine ha fatto Laura. E' assurdo, dopo trenta anni, ho la curiosità di sapere che fine ha fatto. Mi farebbe piacere rivederla. Giocherello con la penna e spero proprio che venga alla cena. Non mi accontento di aspettare sabato. Cerco sulle pagine bianche di Virgilio, su internet. Digito " Laura Fardi" e mi esce " Risultato della ricerca 0 elementi trovati." Magari starà sull'elenco con il nome del marito. Prendo il telefono e compongo il numero di cellulare che è sull'invito.
- Pronto?
Come immaginavo è Valerio.
- Ciao Valerio sono Bianchi.
- Giuseppe, aspettavo la tua chiamata. Vieni vero?
- Certo. Quanti siamo?
- Finora hanno aderito in venti. Con noi due arriviamo a ventidue. Ventidue su trenta è un bel risultato!
- Chi è che non ha aderito?
- Eh eh questo è un segreto!
- Allora dimmi chi viene.
- Ti ripeto è una sorpresa. Rimarrai stupito con effetti speciali. Piuttosto sai dov'è Pane e Olio?
- Si che lo so.
- Allora ci vediamo sabato. Non occorre essere vestiti eleganti.
- Valerio?
- Si?
- Niente..... ci vediamo sabato.
Riattacco il telefono. "Fanculo sempre misterioso. Non poteva dirmi chi veniva. Mah." Sospiro, è ancora mercoledì . Per quello stronzo mi tocca aspettare sabato per dare qualche risposta alla mia curiosità. E' poi veramente solo curiosità? Mi fa piacere crederlo forse per poter guardare mia moglie negli occhi senza imbarazzo. Ieri sera a cena ho parlato con Giovanna ed i ragazzi di questo invito. Inizialmente non volevo andarci. Non mi piace molto ricordare. Preferisco guardare avanti. I miei figli hanno cominciato a definire "fico" il rivedersi dopo tanti anni tra compagni di scuola. Giovanna mi ha preso la mano me l'ha stretta e:
- E' giusto che tu ti prenda un momento solo tuo. Ti sei sempre dedicato a noi. Il rivedere i tuoi amici servirà a rilassarti.
- Ma sono trenta anni che non li vedo. Che ci diciamo?
- Vedrai che le parole non ti mancheranno.
- Mah vediamo - ho tagliato corto ed abbiamo cambiato argomento.
Oggi, invece, che è riemerso prepotentemente il ricordo di Laura non vedo l'ora che venga sabato. Solo per curiosità....ovviamente.

Oggi , finalmente è sabato. I due giorni sono passati più velocemente di quanto credessi. Mi sto sforzando, di fronte ai miei, di essere naturale ma nel mio stomaco c'è l'inferno. La pancia mi brontola. Mi sento un ragazzino. Il fantasma di Laura è riaffiorato prepotentemente. In questi due giorni ho rivissuto almeno cento volte la nostra storia. Ho rovistato in cantina tra i miei vecchi libri ed ho trovato, nel dizionario di greco, uno dei ritratti che le avevo fatto. Me lo sono portato in ufficio e l'avrò fissato per interminabili minuti e più volte.
Arrivano le diciotto e trenta. E' ora di incamminarmi. Prendo la mia Megane, bacio Giovanna e mi avvio. Lungo la strada la radio diffonde musica soft. C'è un po' di traffico sulla Cassia Bis. Non è, ovviamente, il casino dei giorni feriali. Arrivo a destinazione alle venti e venti. Parcheggio ed entro nel locale. Mi accoglie Valerio:
- Ciao Bianchi, ben arrivato.
- Sono il primo?
- Quasi. D'altronde in trenta anni il vizio di essere precisino e puntuale non lo hai perso.
Sorrido. Guardo nella sala a vetri che ci è stata riservata e vedo sei persone che conversano. Tutte attempatelle. Poi mi ricordo che anche io lo sono. Siamo coetanei. Entro e riconosco solo Riccardo Maggi. Lo invidio per lui gli anni non sono passati. Mi viene incontro:
- Ciao Bianchi come stai?
Gli sono grato di avermi riconosciuto. Evidentemente non sono cambiato tanto neanche io. Rispondo:
- Bene, grazie. Vedo che anche tu stai benone. Non sei cambiato affatto.
- Troppo buono. Ma gli annetti li ho anche io. Hai visto Ramondini che bella idea ha avuto?
- Si proprio bella anche se un po' imbarazzante. C'è tanta gente che faccio fatica a riconoscere.
- Non ti preoccupare, ha pensato a tutto Valerio. L'unico che ha il controllo della situazione. Tra poco vedrai.
Intanto gli ospiti arrivano alla spicciolata. Cerco, con aria indifferente, di scrutare le donne che arrivano. Mi punta una grassona con i capelli ricci ed impiastricciati. La Lauricchi. Non posso non riconoscerla. Cozza era e cozza è rimasta.
- il mio adorato Bianchi.
Mi abbraccia con veemenza. Mi bacia.
- Franca! Che sorpresa! Sei sempre bellissima.
- Grazie tesoro. Sei sempre un bravo figliolo.
Dietro di me Riccardo ride e mi sussurra:
- sei sempre il solito cazzaro.
Entra Valerio con il microfono ed imitando il nostro professore di italiano Luigi Giannini esordisce:
- ragazzi state buoni che non voglio sentir volare una mooosca. Sennò vi mando a giocare a mosca cieca sul raccordo anulare!
Ridiamo tutti di gusto. Valerio lo ha sempre imitato benissimo ma ora, dopo trenta anni, sembra proprio lui.
- giovanotti facciamo l'appello. E chi viene chiamato viene al centro della sala, saluta e va a cercare il proprio posto a tavola. ci sono i nomi scritti. Leggete e ripeto non deve volare una mooosca!
Parte l'applauso. Si sta ricreando l'atmosfera della mitica terza A.
- iniziamo. Audino Simonetta. Bianchi Giuseppe.
Mi presento, ricevo il mio applauso e vado alla ricerca del mio posto. Sto verso il fondo, vedo il mio nome. Leggo i nomi di chi mi sta vicino. Liberati Manuela alla mia destra. Fardi Laura alla mia sinistra. Nella sala continua l'appello e lo scrosciare degli applausi.
- Corsini dei conti di Nola Francesco.
Un oohhh goliardico accoglie il conte. Noto che è spavaldo come sempre ma, ora, mi sembra più sopportabile.
- Cossu Giuseppina......Fardi Laura.
Un sussulto mi assale. Dio come è cambiata! Sempre alta, capelli corti e tendenti al rossiccio. Gli occhi sempre celesti e stupendi. Si avvicina al tavolo alla ricerca del posto. Le vado incontro con imbarazzo:
- Ciao Laura.
- Ciao Giuseppe.
Le prendo le mani tra le mie. Lei mi guarda e:
- Ne è passato di tempo eh?
- Già. - è l'unica cosa intelligente che mi viene in mente.
- Come te la passi? Dove lavori?
- Sono dirigente amministrativo e tu?
- Faccio l'infermiera.
- L'infermiera? Ma non volevi fare il medico?
- Volevo ma ho rinunciato.
- Perché? Ti piaceva tanto.
- Mi sono sposata. Per la famiglia ho rinunciato a laurearmi e dopo cinque anni di matrimonio mio marito mi ha mollata.
- Hai sposato quel......Giulio?
- Te lo ricordi ancora? - chiede lei sorpresa.
- E come posso scordarmelo. Quanti figli hai?
- Non ho figli. Ho avuto una gravidanza andata a male e da allora non posso più averne.
- Mi dispiace veramente!
- E tu ti sei sposato?
- Si. Ho tre figli due femmine ed un maschio. Claudio ha ventuno anni, Francesca diciotto e Simona tredici.
- In che quartiere abiti?
- Vivo a Viterbo.
- A Viterbo?
- Si. Vedi mia moglie era ricca e mio suocero voleva comprarci un appartamento a Roma. Ma io ho voluto fare di testa mia. ho trovato a Viterbo una casa che ho potuto pagare con le mie forze.
Mi guarda, sorride e:
- Non faccio fatica a crederti. Sei sempre stato molto orgoglioso.
- La ritieni una colpa?
Mi tocca un braccio, mi sorride con malinconia e sospira:
- No...anzi.
Intanto arrivano i nostri vicini di tavolo. Alla mia destra ho Manuela Liberati, prof di matematica. Davanti Giuseppina Cossu, la cozza, Daniela Franceschini ed in mezzo alle due Alessandro Buttarelli. Iniziamo a ricordare i bei tempi e a raccontare lo svolgersi delle nostre vite. I camerieri iniziano a portare gli antipasti. Ognuno di noi ha trovato il "menù ricordo" della serata. Antipasti, tre assaggi di primo, grigliata di carne, tagliata, contorni e torta finale. Il pranzo scorre tra ricordi, risate, nostalgie. Ogni tanto Valerio, animatore della serata, si lascia andare a qualche imitazione dei professori ed alla poesia di rito. L'atmosfera, con il passare dei minuti, si avvicina sempre più a quella di un tempo. Arriva il momento della torta! E' una torta "Mimosa" su cui campeggia la scritta:
" Tanti cari auguri per i tuoi trenta anni....mitica Terza A. "
Ci sono anche trenta candeline. Viene posta al centro del tavolo e tutti ci mettiamo a semicerchio in "posizione di soffio" Le candeline vengono spente e tutti ci abbracciamo e brindiamo. Valerio ha pensato proprio a tutto. La tavola viene sparecchiata. I camerieri fanno spazio ed allestiscono all'istante una pista da ballo. Entra in scena il pianista che inizia a suonare vecchie canzoni. Le prime note sono quelle di " Champagne" di Peppino di Capri. Invito Laura a ballare. La stringo a me e la prendo per mano.
" Champagne per brindare a un incontro
Con te che già eri di un altro
Ricordi c'era stato un invito
Stasera si va tutti a casa mia
Così cominciava la festa
e già ti girava la testa
Per me non contavano gli altri
seguivo con lo sguardo solo te"
Le nostre teste si toccano. Mi inebria il suo profumo. Sono lontano anni luce dal dottor Bianchi sposato e con tre figli.
" Se vuoi ti accompagno se vuoi
la scusa più banale per rimanere soli io e te
e poi gettare via il perché amarti come sei
la prima volta l'ultima."
Nessuno dei due ha voglia di parlare. Lei mi stringe forte la mano provocandomi emozioni che non provavo da molto tempo. La canzone finisce. La ringrazio. Ci guardiamo Nessuno dei due ha voglia di parlare. I nostri ex compagni stanno conversando amabilmente, divisi in gruppi. Noi siamo soli, in disparte. L'imbarazzo è grande. Ed anche la nostalgia.
Viene in nostro soccorso il pianista con " Più bella cosa " di Eros Ramazzotti. Riprendiamo a ballare.
La stringo, lei ricambia. A metà canzone, scosta la testa, mi guarda e mi chiede:
- Tu sei felice ?
- Felicità è una parola grossa! Sto bene. Non mi lamento.
La canzone finisce con queste parole :
" L'unica come sei,
immensa quando vuoi,
grazie di esistere."
- Grazie di esistere lo hai inventato tu, Giuseppe. Ricordi quando me lo dicevi?
- Certo che lo ricordo.
- Eri così dolce! Sapessi quante volte mi sono pentita di averti lasciato. Tu neanche immagini di quanto tu abbia occupato la mia mente in questi anni. E tu? Mi hai mai pensato?
- Ho smesso di pensarti quando è passato il rancore che provavo per te.
- Ora te lo posso confessare, ho spinto io Valerio ad organizzare questa festa per rivederti. Con lui sono rimasta sempre in contatto. Mi ha detto che ti aveva incontrato ad un convegno. Ti ho cercato sugli elenchi telefonici. Volevo incontrarti. Spiegarti e cercare di riparare ai miei errori.
- Non c'è niente da riparare. Il tempo ha aggiustato tutto.
Mi guarda, i suoi meravigliosi occhi sprigionano tutta la tristezza possibile.
- Ma io ti devo spiegare. Ho conosciuto Giulio e....
- Ti prego. Per me è una storia morta e sepolta!
Il pianista suona " L'emozione non ha voce"
- adesso ti invito io a ballare - dice sorridendo Laura
La riprendo, stavolta senza stringere. Mille pensieri mi turbano. Sarà l'atmosfera della serata, ma in me non c'è più il dottor Bianchi, nostalgico dell'amore giovanile ma lo studente liceale Giuseppe Bianchi mollato senza pietà da colei che riteneva l'unico grande amore della sua vita.
- Giuseppe a cosa stai pensando?
- Alla mia famiglia che mi sta aspettando!
- Adesso sei crudele!
- Sono realista.
- Anche tu speravi che io fossi qui. Sei venuto per me. Non lo puoi negare.
- Non lo nego!
- Quando ballavamo Champagne ho risentito il Giuseppe che mi amava. Non mi sono sbagliata.
- E' vero. Lo ammetto ho riprovato l'emozione di quando ti amavo. Sono venuto qui solo per incontrarti. Ma poi è riaffiorato anche il dolore che ho provato quando mi hai lasciato. Lo sento ancora vivissimo e mi lacera ancora. Non è il fatto che tu mi abbia lasciato ma il modo.
- Eravamo diciottenni ed inesperti.
- Ho sofferto moltissimo e tu te ne sei fregata.
La guardo ha due lacrimoni che le rigano il volto.
- E' successo trenta anni fa. Mi posso far perdonare se vuoi.
- Laura, non sarebbe giusto nei confronti della mia famiglia e, soprattutto di Giovanna che, senza farmi tante domande mi ha aiutato a tornare ad avere una vita normale.
Finisce la canzone. Stavolta la guardo senza imbarazzo. Ci si avvicina Ramondini :
- Bella festa eh?
- Sei sempre er mejo - gli dico sorridendo
- Caro Bianchi, la classe non è acqua.
- Tu Valerio non dovevi fare l'amministrativo ma l'animatore nei villaggi.
- Forse in un' altra vita.
Nel frattempo Laura si allontana per andare a rifarsi il trucco.
- Ti è piaciuta la sorpresa eh? - mi ammicca Valerio
- Si certo. Grazie - la mia faccia contrasta nettamente con le mie parole.
La serata prosegue con musica di tutti i tipi. C'è molta allegria nella sala. Approfittando dell'assenza di Laura mi sono messo a conversare con Daniela, Tiberio e Franca. Tiberio, un po' su di giri sta raccontando delle barzellette sporche per scandalizzare le nostre ex compagne. Passa Corsini, il conte ed esclama:
- guarda che queste nun se scandalizzano più. C'hanno cinquanta anni.
- Certo che stronzo eri e stronzo sei rimasto.- risponde Daniela ridendo.
Mentre parlo con loro e faccio finta di divertirmi, sbircio Laura che è tornata dalla toilette e sta parlando con Valerio. Gli starà esternando la sua delusione sull'esito del nostro incontro. Lui l'ascolta con comprensione. I nostri ex compagni continuano a ballare. Io non ho più voglia. Laura viene invitata da Santarelli, ora professore di Filosofia. Conversano amabilmente. Lei sembra aver assorbito bene la nostra conversazione. Verso mezzanotte e mezzo, Valerio prende il microfono e:
- Carissimi compagni di scuola, purtroppo è ora di tornare alle nostre case. Vi ringrazio di avere partecipato a questa festa. Spero vi siate divertiti.
Parte un siiiiii da tutti noi.
- Bene, questo mi incoraggia a chiedervi che questa serata diventi un appuntamento annuale.
Si alza un altro siiiii ed un applauso scrosciante. Iniziano i saluti. Mani che si stringono. Abbracci e frasi, cui non verrà mai dato seguito, del tipo "però non riperdiamoci di vista" o "fatti sentire eh." Laura mi si avvicina per salutarmi. Le chiedo:
- Sei in macchina?
- No, mi faccio chiamare un taxi.
- Ti do un passaggio. Dove abiti?
- A via Cadlolo.
- Sei rimasta in zona.
Lei mi sorride. Poi soggiunge:
- Non ti preoccupare, prendo un taxi. E' tardi e tu devi arrivare a Viterbo.
- Non se ne parla. Lo faccio volentieri.
- Testone come sempre! Eh?
Salutiamo e ci dirigiamo verso la mia Megane. Partiamo e nessuno dei due parla. Mi faccio coraggio e:
- Mi dispiace per prima. Sono stato cattivo.
- Me lo merito.
Ricade il silenzio. Ho mille pensieri. Mi sento un cretino! Non so se la detesto o se provo ancora qualcosa per lei. Dove è finito il dottor Bianchi sicuro di tutto? L'uomo per cui esiste solo il nero o il bianco e non il grigio. Arriviamo in via Cadlolo.
- ti posso chiedere un favore? - chiede lei
- Certo.
- Più giù c'è la piazzetta da dove si vede la cupola di San Pietro.
- La ricordo.
"Infatti era una delle nostre mete romantiche."
- Ci andiamo un attimo?
- Va bene.
Arriviamo nella piazzetta. Vista l'ora, è la una e mezza, è deserta. Spengo il motore. Nel buio della notte, la cupola illuminata svetta maestosa.
- E' sempre uno spettacolo meraviglioso - esclama lei.
- La sua bellezza ti strizza il cuore - rispondo io ed ometto di aggiungere "come la tua."
Lei mi prende la mano e mi guarda con gli occhi umidi:
- Giuseppe, perché non ha funzionato tra noi? Perché sono stata una stronza? Perche?
Mi si avvicina. Io sono disorientato. Le nostre bocche si avvicinano. La sua lingua entra prepotentemente nella mia bocca. Sono privo di qualsiasi volontà di resistere. Rispondo al bacio. Le sue lacrime inumidiscono il mio viso. Ci stacchiamo. Lei mi dice freneticamente:
- Amore, vedrai mi farò perdonare. Ti amo da morire. Ti ho sempre amato ma non me ne rendevo conto. So di non poterti chiedere niente. Sarò la tua amante. Vivrò nell'ombra. Quando tu lo vorrai io ci sarò.
Preso dai miei pensieri faccio fatica a seguire le sue parole, poi, finalmente, il dottor Bianchi riprende il sopravvento.
- Ti ringrazio ma non posso accettare. Evidentemente non ricordi bene come la penso. Non potrei mai vivere ingannando la mia famiglia.
- Ma anche tu mi ami. Non posso essermi sbagliata. Il tuo bacio era pieno di passione.
- Il mio bacio era un addio.
- Dimmelo guardandomi negli occhi che tu non mi ami.
La guardo con lo sguardo più intenso possibile:
- Laura, è finita trenta anni fa da Vanni davanti ad un gelato. Ne ricordo ancora il sapore: fragola e limone. questi due gusti non li ho mai più presi.
- Sono stata una stronza. Ho sbagliato. Dammi la possibilità di riparare. Noi ci amiamo ancora.
- Tu mi ami. Forse. Io no.
- Ma prima non posso essermi sbagliata.
- Ti riaccompagno. E' tardi.
Giro l'auto, mentre lei piange. Ripercorro via Cadlolo. Davanti al civico 25 lei mi dice:
- Quello è il portone.
Mi fermo. Mi avvicino, con il fazzoletto le asciugo gli occhi. Le do un bacio sulla guancia e le dico:
- Senza rancore?
Lei annuisce sorridendo e scende dalla macchina.
Aspetto che apra il portone. Guardo l'ora. Sono le due. Faccio rotta verso la Cassia per tornare a casa. Mi sento sollevato. Il fantasma che, inconsciamente, mi portavo dentro da trenta anni si è definitivamente dissolto e con lui l'alunno Giuseppe Bianchi della mitica terza A del liceo Mamiani. Mi guardo nello specchietto retrovisore. Mi sorrido e mormoro: " Bentornato dottor Bianchi"


Ugo Coltellacci pubblicato il 28.03.2008 [Testo]


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