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Uno scritto a caso

Ti perdo ad oltranza
[poesia]
Martina Lililili
18.03.2013

Petali di vita

Quando ero ancora in vita amavo passare i miei pomeriggi tra le rose del giardino.

Abitavo in una grande villa fuori città, immersa nel verde, con il mio vecchio padre, la mia severa madre e un fratello più piccolo.

Nonostante quella casa enorme brulicasse di gente, io mi sentivo sola, sempre sola e triste e prigioniera tra quelle mura candide di fredda pietra.

Da bambina idolatravo mia madre, la vedevo così bella, fiera e vedere il sottile potere che esercitava su mio padre e sulla servitù mi riempiva di stima per lei, il vero capo della nostra famiglia. Lei mi insegnò come si deve comportare una ragazza perbene, una "raffinata e cortese fanciulla beneducata" e mi fece imparare a memoria quello che è giusto e quello che è sbagliato, una lista infinita a cui ogni tanto aggiungeva altre voci che le potevano far comodo.

Per colpa di quella lista che mi era prepotentemente entrata in testa le prime volte mi fu tremendamente difficile disubbidire, a causa dei sensi di colpa.

La prima regola che infransi fu proprio per le mie amate rose.

A quel tempo ogni ragazza doveva a vere la pelle di porcellana, conservando quel candore tipicamente invernale delle gote anche in piena estate, per questo da aprile a settembre mi era vietato uscire di casa se non la sera dopo il tramonto.

Fu un giorno di primavera quello della mia iniziazione alla libertà, che credevo sarebbe arrivata a piccoli passi.

In maggio il sole carezzava i petali purpurei del roseto e nel primo pomeriggio la brezza spingeva sino alla mia finestra il loro inebriante profumo.

Quasi incantata da quella fragranza, mi incamminai lesta verso il giardino e mi misi a sedere su una panchina di marmo immersa tra le siepi in fiore.

Vi rimasi per un'ora, senza cappellino né parsole a fissare nel vuoto, lasciandomi trasportare da quell'aroma così pungente verso nuovi e più felici universi un e quando mia madre mi vide mi mise in punizione per una settimana.

A quell'epoca avevo dieci anni.

Passarono inverni, cambiarono le mode e, con le rose, fiorirono i primi illeciti amori.

Con mia madre non avevo mai fatto parola di ragazzi, come era buona norma in passato, ma percepivo una certa ostilità ogni qualvolta pronunciassi il nome maschile di un compagno.

Il giorno del mio tredicesimo compleanno, l'11 giugno, vi fu una grande festa alla villa, alla quale fu invitato anche un ragazzino della mia stessa età che mi aveva stregata col solo sguardo. Cominciammo a chiacchierare allegramente, scoprendo tra noi molte cose in comune e ci ritrovammo, non so come, nel roseto.

Quel compagno con disinvoltura avvicinò il suo viso al mio, ma quando le nostre labbra stavano per incontrarsi arrivò correndo mia madre, guidata dal mio fratellino spione che iniziò a canterellare: <<Te l'avevo detto...>>.

In quel momento mi sembrò più arcigna che mai, quando mi prese per un braccio e mi trascinò via polverizzando il mio amichetto con lo sguardo, fissandomi sul viso il segno rosso e pulsante delle sue dita ingioiellate a festa.

Corsi via a nascondermi tra le aiuole fiorite e rimasi tra le mie rose fino a sera, quando vennero cercarmi e a forza mi riportarono in camera, dove restai per più giorni, mangiando solo pane e bevendo acqua, perché secondo mia madre dovevo scontare le mie colpe di peccatrice.

E così mi conservai pura contro il mio volere, perché ero del parere che a nulla servisse rimanere candidi per poi diventare come lei, rigidi e glaciali.

Mia madre morì nel marzo di due anni dopo.

Mio padre la prese male e non uscì più di casa, mio fratello, distrutto dal dolore com'era, fece lo stesso per molto, molto tempo.

Io non ne soffrii affatto, per me quella donna così priva di sentimenti era morta con la stima che nutrivo per lei molti anni addietro.

Approfittai dell'assenza di ogni controllo per recuperare tutta la vita che non avevo vissuto fino ad allora.

Incontrai, a quindici anni, un uomo a cui decisi di consacrare il mio cuore, perché lui mi disse che mi avrebbe potuto dare quello che fino a quel momento mi era stato negato: l'amore.

Passammo molto tempo nei giardini, mano nella mano, le labbra unite, gli occhi sorridenti e gli raccontai tutto di me, persino la mia passione per le rose, che da sempre erano state le mie uniche amiche.

Un giorno, quello del mio sedicesimo compleanno, trovai un biglietto del mio amato che diceva di trovarmi nel pomeriggio seduta sulla panchina di marmo nel roseto, per potermi dare il regalo più grande.

E così feci. Rimasi lì tra le rose per molto tempo, persa nel loro profumo e, quando giunse il tramonto qualcuno arrivò dietro di me e mi bendò gli occhi. Mi abbandonai per qualche istante al romanticismo di quel gesto e, senza neanche accorgermene, mi ritrovai sdraiata sul marmo tiepido.

Quando mi resi conto della situazione e cercai di divincolarmi lui si oppose.

<<Non era questo che volevi?>> mi urlò con voce innaturale, piena di follia e di odore di alcol, il quale prese violentemente il posto del profumo delle rose nella mia testa.

Mi vennero strappate le vesti e quando il sangue iniziò a scorrere sulla pietra levigata mi resi conto del dolore che stavo provando e che mai avevo provato prima.

Sentii una lama trafiggermi il cuore, così fredda e liscia, e poi più niente. Niente più dolore, era cessato.

Rimasi lì immobile a guardare tutte le ingiurie e le violenze che vennero inferte al mio corpo esanime, evidentemente l'alcol gli impediva di vedere che ero morta.

Passarono giorni prima che il giardiniere ritrovasse il mio cadavere, importavo davvero poco alla mia famiglia. E ci vollero ancora più giorni prima che la pioggia lavasse via almeno in parte quelle antiestetiche macchie rosse dalla panchina. Io rimasi lì per tutto il tempo e ora sono ancora qui, dopo anni e anni, nel mio roseto. So che un fantasma non dovrebbe poter sentire odori, ma venni premiata per il mio coraggio, perché arrivai a dare la vita pur di vivere davvero. E così per sempre me ne starò qui e in ogni altro roseto a far lenire le mie ferite dal vento che in maggio profuma di fiori e, se guardate bene la rosa più rossa del vostro giardino, quella più profumata, mi troverete lì accanto, perché quella rosa è macchiata del mio sangue e della mia libertà ritrovata.


Viviana pubblicato il 17.07.2006 [Testo]


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