Il vento freddo sferzava i cipressi, facendoli ondeggiare simultaneamente da una parte all’altra, e a volte fischiavano in modo lugubre. Il cielo era cupo, con nuvole scure e cariche di pioggia. Paco era dietro alla finestra che dava sull’ampio cortile sul quale si affacciavano le tre cascine dei fratelli Marchini. Stava sorseggiando il caffè che gli aveva offerto la moglie di Franco Marchini, uno dei tre fratelli. Era stato lui a contattarlo. Voleva delle indagini discrete, senza destare sospetti ai due fratelli, Luca e Luigi. Franco era seduto dietro di Paco. Aspettava che gli venisse detto qualcosa. Ma ancora l’investigatore privato, non proferiva parola. Sorseggiava il caffè e osservava fuori. Paco aveva effettuato un sopralluogo della casa appena vi era giunto in compagnia del padrone di casa. Aveva potuto appurare che le aperture erano tutte integre. Il piano terra contava cinque stanze, più una dispensa, e un ampio disimpegno all’entrata. Di fronte l’ingresso, ma un po’ spostata a destra, c’era la scala che portava al piano di sopra. La cassaforte si trovava all’interno del salone al piano terra. Quando la vide era ovviamente già chiusa. Ciò che lo colpì, fu il fatto che… non la vide. Fu Franco a fargliela vedere, nonostante fosse in bella mostra, per così dire. In pratica era una cassaforte incastonata alla parete, ma che faceva parte di un dipinto. Il padre di Franco, aveva fatto dipingere quella parte di parete, per creare un trompe d’oiel, come direbbero i francesi. Letteralmente, un occhio ingannato. La facciata della cassaforte, faceva parte di un finto paesaggio. Dove la ghiera della combinazione e la maniglia di apertura, erano parte di un portone di un vecchio granaio che si intravedeva dal resto del paesaggio. Davvero bello. È ingegnoso, pur nella sua semplicità. E in effetti, bisognava farci molta attenzione, altrimenti non ci si poteva accorgere di nulla.
-“Allora? Si sta facendo un’idea?”. Franco non riuscì a resistere a restare ancora in silenzio.
Paco si voltò verso di lui finendo l’ultimo sorso di caffè. Lo fissò per pochi secondi, poi disse a Franco di avvicinarsi. L’uomo si alzò subito, come se al di là della finestra ci fosse già la risposta a tutto. La moglie invece, si era seduta al tavolo della cucina, con tanta di quella discrezione, che non si sentì muovere nemmeno la grossa e pesante sedia in legno massiccio. Teneva la mano destra sulla guancia. Era tesa. Ma cercava di non darlo a vedere.
-“Franco, mi dica… la fila di cipressi, circonda tutte e tre le cascine in maniera ininterrotta?”
-“Quasi. È aperta solo in due punti. Quell’apertura che si vede lì di fronte a destra, e una nella parte opposta. Sono aperture di servizio, per far uscire ed entrare i mezzi agricoli. Questa qui davanti, la usiamo io e Luca, quella dietro la usa Luigi”. Guardò Paco, ma poi si rese conto di aver omesso un particolare, anche se ovvio.
- “Logicamente, poi c’è il cancello di ingresso da dove è venuto lei, Paco. Quello serve a tutti e tre.”
Paco annuì con la testa, continuando a scrutare fuori. Per non destare sospetti, si sarebbe fermato a cena. Già stava facendo buio e di lì a poco sarebbe venuto a piovere. E anche piuttosto forte. Fu in quel momento che fece una smorfia di disappunto. Sperò che nessuno dei due si accorgesse. Ma Paco stava pensando alla sua Alfa Romeo Giulietta color nocciola del 1980, parcheggiata fuori, all’aperto, e col finestrino posteriore destro aperto per metà, causa guasto.
- “Che succede Paco? È successo qualcosa?”
Ecco, pensò. Franco si è accorto della smorfia.
- “No no, Franco! Tutto bene. Solo un pensiero che non c’entra nulla con questo caso. Non si preoccupi!”
- “Franco, fra poco sarà pronto da mangiare, va bene?”
La signora Giulia aveva detto quella frase con la stessa discrezione con la quale si era presentata. Paco la osservò per poco. Notò che era una donna molto carina. Non bella o appariscente. Ma carina, almeno nei modi. Paco aveva un po’ di fame. E il profumo che sentiva era di qualcosa al forno. Di sicuro patate. Ma anche pollo. Inarcò le sopracciglia. Il menù era di suo gradimento. Franco gli fece segno con la mano di accomodarsi nel salone, dove era stata apparecchiata la tavola. Intanto un forte tuono, diede inizio alla pioggia. Paco chiuse gli occhi e a denti stretti si lasciò sfuggire un’imprecazione:
- “Ma porca di quella…!!”
Franco si girò verso di lui con sguardo interrogativo.
– “Ha detto qualcosa?”
Non con poco imbarazzo, Paco sviò lo sguardo di Franco accampando una scusa.
- “No no, devo solo ricordare che domani devo far fare una cosa urgente ad un mio collaboratore! Me ne stavo dimenticando!”.
Accennò un sorriso, quello che gli riuscì meglio. E sembrò convincente. Appena fu davanti alla tavola apparecchiata ebbe un leggero attimo di smarrimento. Loro erano in tre. Ma la tavola aveva quattro coperti. Chi era il quarto commensale? La signora Giulia se ne accorse mentre metteva l’acqua e il vino a tavola.
- “Sta arrivando nostra figlia Gloria, Paco.”
Loro figlia Gloria, pensò. Il pensiero gli venne nello stesso istante in cui un lampo e un tuono fecero tremare la cascina. No. Non era affatto di buon auspicio.
Erano seduti a tavola, lui e Franco. Giulia andò ad accogliere la figlia.
Paco era impaziente di conoscerla. Curioso. Ma non poteva darlo a vedere.
- “Allora Franco, mangiando mangiando, rifaremo il punto della situazione. Così vediamo se tralasciamo qualcosa.”
Cercò di parlare con nonchalance. Ma la voce che si sentiva e avvicinava era così squillante, che si girarono entrambi a guardare.
- “In città non si può più comprare nulla! Un vero schifo! Siamo andate in quel negozio nuovo, quello sul Corso. Roba da medioevo e prezzi stellari! Ma ne capiscono qualcosa di moda o no? Secondo loro devo andare in giro con questa assurda minigonna e con queste scarpe ancora più assurde? L’unica consolazione è stato il parrucchiere! Anche Carla non ha trovato niente di niente…”
Era un continuo parlare. Paco la osservò dal momento che era entrata nel salone, fino a che non si sedette di fronte a lui. Gloria era una ragazza sui ventiquattro, venticinque anni. Di altezza media. Forse un po’ più della media. Capelli lunghi, castani, con le punte schiarite. Due grandi occhi marroni e delle belle labbra carnose. Non era magra, ma neppure grassa. Era pienotta, ma in maniera piacevole. Con le forme giuste al posto giusto. E la minigonna per lui, non era affatto assurda! Per Paco fu colpo di fulmine! Mentre un altro tuono sembrava sconquassare il terreno sotto i loro piedi. Poi fu Franco a fare le presentazioni.
- “Gloria, questo signore, è Paco Caliente. L’investigatore privato di cui ti avevamo parlato con mamma, ricordi?”
Gloria lo osservò con occhio investigativo, più di quanto lo stesso Paco potesse esserlo.
- “Paco Caliente? Non sapevo fosse spagnolo…!”
Gloria pronunciò la frase con tono piatto. Paco, di contro, aveva dimenticato che il suo nome destava curiosità e che gli dava fastidio quando glielo facevano notare. Ma non quella volta.
- “No, signorina Gloria, non sono spagnolo. Sono italianissimo. Ma è una lunga storia!”
Provò a far cadere la cosa terminando la frase con un sorriso. Gloria restò impassibile continuando ad osservarlo. Non certo uno sguardo di ammirazione, quanto di stupore. E questo gli fece distogliere lo sguardo da lei.
Cercò allora di buttarla sul professionale. Sicuramente sarebbe risultato più credibile e chissà, magari più affascinante.
- “Allora Franco, cerchiamo di ricapitolare la situazione. Intanto mi conferma che in caso di ritrovamento della refurtiva e nel caso dovessimo incastrare chi è stato, non vuole sporgere denuncia?”
Franco confermò con un cenno del capo. Avrebbe corso il rischio di non denunciare nessuno. Ma solo riavere ciò che gli era stato rubato.
- “Va bene allora, continuiamo, anche se non condivido la sua scelta. L’altro ieri sera, tornando a casa dopo un’intera giornata fuori, avete trovato la casa svaligiata, o così volevano che sembrasse. Uso il plurale perché non sappiamo se il ladro in effetti fosse uno solo o più di uno…”
- “Allora poteva usare anche il singolare, dato che non sappiamo se in effetti si trattasse di più di uno o di uno… no?”
Gloria lo interruppe in un modo che non si aspettava. La osservò senza saper dire nulla. Rifletteva su quanto aveva detto. E in effetti non aveva torto. Perché diavolo aveva voluto fare quella stupida puntualizzazione sul plurale? Aveva fatto la figura dell’idiota. E doveva rimediare. Continuò facendo finta di niente.
- “Dicevo, che la casa sembrava messa sotto sopra, ma che in realtà le cose sembravano messe fuori posto per inscenare un furto. Non vi era il benché minimo segno di effrazione in nessuna delle porte o finestre. Mancavano solo pochi oggetti di poco conto e di scarso valore. Oltre a questi, non mancava nulla di veramente prezioso, anzi. Ciò che invece mancava e manca e vi ha fatto decidere di contattarmi, è quello che è stato rubato all’interno della cassaforte, regolarmente chiusa, con una combinazione che conoscete solo voi tre. Dico bene finora?”
Paco non ebbe in minimo tentennamento. Si soffermò a osservare solo i due coniugi, come a voler mostrare alla saccente ragazza, che in quella casa gli unici referenti, erano i suoi genitori, non certo lei! Si sforzò di non guardarla. Ma con la coda dell’occhio vide che a lei non importava nulla. Stava mangiando avidamente. Franco e Giulia annuirono. Paco potette così continuare.
- “E arriviamo al contenuto della cassaforte. Quello che manca, sono due lingotti d’oro “Good delivery”, del peso di circa dodici kg e mezzo ciascuno, che erano appartenuti a suo nonno, poi a suo padre e quindi a lei, Franco. La ragione per cui ha chiamato me e non la Polizia, è perché non vuole che si sappia di quei lingotti. Cioè la loro storia è tanto scabrosa, che avvisando la Polizia dell’accaduto, la notizia sarebbe di certo trapelata, provocando un danno di immagine non indifferente.”
Franco annuì ancora. E fu lui a proseguire.
- “Si, infatti. Come le avevo già detto, Paco, quei lingotti valgono una fortuna. Certo, non ci si può comprare un’isola, ma di certo ti farebbero uscire da qualsiasi sabbie mobili. L’unico inconveniente, è che quei lingotti sono marchiati. E il marchio non è di certo di quelli pubblicizzabili, dato che si tratta delle svastiche naziste. Mio nonno fu un collaborazionista dei nazifascisti. Non ne andiamo certamente fieri, anche se si tratta di storie di settanta anni fa. Ma se ancora oggi si parla con sdegno, giustamente, di quell’epoca storica, lei capisce che se si venisse a sapere una cosa del genere la nostra immagine ne uscirebbe fortemente danneggiata.”
I fratelli Marchini erano i più grossi produttori di ortaggi biologici di tutta la regione. Se si fosse venuta a sapere di questa macchia sul loro passato, gli affari ne avrebbero di certo risentito. E non poco.
Gloria continuava a mangiare, scuotendo la testa di tanto in tanto. Così come di tanto in tanto Paco la guardava. Quanto è bella, pensava. Ma sempre nel momento in cui pensava a lei in modo carino, un fulmine o un tuono lo faceva sobbalzare. No. Non prometteva nulla di buono!
- “Franco, finora non mi ha detto perché ha escluso i suoi fratelli da questa riunione. Perché dubita di loro.”
Paco era interessato a sapere ogni dettaglio. Ogni piccolo particolare.
- “Vede Paco, coi miei fratelli andiamo fondamentalmente d’accordo. Ma non hanno mai accettato il fatto che mio padre avesse lasciato a me i due lingotti. Lui lo fece in quanto maggiore dei fratelli, ma loro non hanno mai gradito questa scelta. Di tanto in tanto, a turno, mi chiedevano dei lingotti. Del perché non li facessimo fondere, farli trasformare in nuovi lingotti, venderli e dividerne il ricavato. Ma io, ad essere sincero, ho sempre avuto paura di far uscire quei lingotti da questa casa. E ho sempre spiegato loro i motivi. Che io sappia i miei fratelli non hanno grossi problemi economici. Certo, hanno accusato anche loro, come me, la crisi. Ma non credo che siano in condizioni bancarie così serie da avere bisogno di grossa liquidità. Però non posso metterci la mano sul fuoco. E credo di non potermi fidare di nessuno, se non della mia famiglia qui presente.”
Ultimò quell’ultima frase indicando con lo sguardo sua moglie e sua figlia, che intanto aveva alzato la testa dal piatto e stava osservando suo padre in un modo che traspariva ammirazione. Paco se ne accorse. Gli piacque.
- “Altri sospetti, Franco?”
Franco rispose con un gesto della testa. Poi aggiunse:
- “Così non mi viene in mente nessuno.”
- “E voi? Signora Giulia, Gloria…”
Entrambe non seppero dare una risposta. Scossero la testa.
- “Comunque, Franco, io avrò bisogno di tornare a dare un’occhiata in giro. Chiaramente metterò in guardia i miei collaboratori. La cosa positiva, è che non sarà facile piazzare venticinque kg di oro. Nessuno nella zona è in grado di introitare una tale quantità di oro. Unica cosa da fare, è tenere d’occhio tre o quattro compro oro in città di dubbia qualità e garanzia. Solo questi potrebbero rischiare. E in tal caso, si terrebbero almeno la metà del valore dei lingotti. Correrebbero un rischio talmente grosso, che tenersi la metà del valore, ripagherebbe in parte la loro scelta. E poi sarebbero gli unici, che lavorando in gran parte in nero, potrebbero avere la disponibilità di una somma così alta.”
A Paco mancavano comunque tantissimi elementi. E molti di quelli che aveva, erano fuori posto. O senza alcun senso. Per esempio: nessuna effrazione. Quindi, chi si è introdotto in casa, o aveva le chiavi, o doveva essere il miglior scassinatore mai esistito. La cassaforte… combinazione a sei cifre, che solo i tre presenti, oltre a lui, conoscevano. O almeno così doveva essere. E poi, perché inscenare un furto se il tentativo è risultato fin troppo camuffato, per poi far capire chiaramente che l’obiettivo era l’oro? Le tre cascine occupavano un’area troppo vasta e nessuna delle tre avevano sistema di videosorveglianza. Un solo cane, di proprietà di Luigi. Chiuso in un recinto, che fra l’altro abbaia per ogni cosa. Quindi, anche se ci fosse stato un estraneo, i padroni si sarebbero insospettiti, o avrebbero pensato all’ennesima abbaiata compulsiva? Paco aveva già pensato di fingersi operaio per poter restare lì e dare un’occhiata più da vicino. Quel pomeriggio e quella sera, non aveva avuto modo di farsi un’idea. E dopo aver conosciuto Gloria, il suo desiderio di restare lì lo allettava ancora di più. Ma un altro tuono fragoroso, lo fece destare, facendolo ricadere nell’immagine della sua Giulietta col finestrino aperto!
- “Comunque Franco, io avevo pensato di venire a lavorare qui qualche giorno come operaio. Giusto per non dare nell’occhio e ficcare un po’ il naso.”
Gloria scoppiò a ridere senza che si poté trattenere. Era evidente che l’immagine di quell’investigatore che doveva fare l’operaio la metteva d’allegria. Ma perché, pensò Paco, guardandola con sguardo accigliato.
- “Sa Paco, anche io avevo pensato ad una soluzione simile. E di sopra c’è una camera per gli ospiti. Quindi domani torni e si porti qualcosa.”
Gloria continuava a ridere anche se più sommessamente.
- “Mamma, papà, io comunque ho bisogno di tornare in città. Ricordate che vado a dormire da Anna, vero?”
Li guardò sorseggiando l’ultimo vino che le era rimasto nel bicchiere.
Franco e Giulia si guardarono. Era evidente che avevano dimenticato quel particolare. Ma Paco si fece coraggio e cercò di toglierli dall’imbarazzo.
- “Se per voi non è un problema, né per la signorina Gloria, potrei accompagnarla io in città appena vado via.”
Finì, guardando Gloria negli occhi. Che per la prima volta ricambiò lo sguardo. Furono pochi secondi di lotta. Vinse Gloria. A Paco il cuore batteva a mille. Aveva perfino paura che gli si potesse sentire.
- “Vuol dire che messere Paco è in possesso di una carrozza?”
Paco la guardò con aria sopraffatta. Che voleva dire o insinuare? Gloria lo capì.
- “Beh, se lei, Paco, mi chiama signorina Gloria, io la chiamo messere Paco! Ma dove siamo, nell’800, nel Medioevo?”
Lo sguardo di Gloria faceva intendere che non vi era nessuna nota divertente, in quello che aveva detto. Ma Paco lesse solo una cosa: Paco, dammi del tu, idiota! E per lui fu sufficiente per accennare un sorriso. Un po’ da ebete, ma pur sempre un sorriso. Il sorriso però gli durò poco. Pensò alla macchina inzuppata d’acqua. Al cattivo odore che ne sarebbe scaturito. E alla figura che avrebbe fatto con Gloria. Si pentì di essersi offerto. Ma ormai non poteva di certo tirarsi indietro.
La serata stava volgendo al termine. Paco stava scambiando due chiacchiere con Franco per mettersi d’accordo per l’indomani. Franco gli raccomandava di portarsi vestiti pesanti e un po’ logori, dato che il lavoro non sarebbe stato né facile, né leggero, né pulito. Paco sorrise con sufficienza. Si sarebbe pentito molto presto, di quel sorriso. Intanto Gloria si era andata a cambiare e prepararsi uno zaino con qualcosa da portarsi da Anna. Ma sarebbe andata a dormire davvero da Anna? O aveva un ragazzo o un amante segreto? Paco mise di colpo il broncio. Come un adolescente innamorato che scopre per la prima volta la gelosia. Si sentì uno stupido e cercò di scacciare via quella sensazione spiacevole. Non fu facile. Voleva che il tempo e la distanza che lo dividevano da casa sua, fossero ridotti al minimo. Non voleva più stare in quella casa. Né in quella situazione. Voleva trovarsi in un luogo che lo faceva sentire protetto, al sicuro. Quindi, casa sua. E Gloria? Che vada da Anna, o da qualche uomo che l’aspetta! Basta! Era scocciato. E non sentiva più neppure Franco che gli parlava del fatto che i fratelli non si sarebbero chiesti più di tanto di chi fosse quel nuovo operaio, visto che ognuno dei tre aveva i propri e nessuno gravava sul lavoro dell’altro. Ma che di contro, doveva stare attento nell’andare in giro a ficcanasare.
Gloria finalmente era pronta. Si era tolta la minigonna per indossare dei pantaloni di jeans, una camicia e un maglione. Nonostante la serata fredda non indossava nessun giaccone o giubbotto. Paco, nonostante gli sforzi, non riuscì a non guardarla con certi occhi languidi che Gloria notò subito. Tant’è che alzò gli occhi al soffitto, come a dire: ma tutti a me, capitano?
Ovviamente Paco non ne capì nulla. Salutò i coniugi Marchini e si avviarono con Gloria nel cortile. Il temporale era finito. Piovigginava in maniera leggera. Ma ogni tanto i tuoni e i lampi facevano capire che il peggio non era ancora passato. Tornando in città, Paco si sarebbe lasciato il temporale alle spalle. Sperava solo che la sua Giulietta non si mettesse a fare i capricci. Ricordandosi del finestrino mezzo aperto, fece passare Gloria dalla parte anteriore della macchina, aprendole lo sportello e pregando Dio che la puzza di stoffa inzuppata, non avesse invaso l’abitacolo. Gloria si fermò davanti lo sportello aperto ma senza salirci sopra. Rimase ferma alcuni secondi. Paco iniziò a sudare freddo. Sentirà puzza, pensò.
- “E questa cosa sarebbe la macchina che dovrebbe portarci in città?”
Lo disse indicandola con l’indice puntato.
Paco si sentì pugnalare. La sua Alfa Giulietta, definita “cosa”! Per lui era ormai un segno distintivo. Come la Peugeot 403 cabriolet del tenente Colombo, o come la Ford Gran Torino rossa con le strisce laterali bianche di Starsky & Hutch! Non seppe rispondere, e aspettò che Gloria salisse in auto non senza mostrare un certo ribrezzo. Paco era diventato muto. Sudava e si sentiva rosso in viso. Girò sul lato guida e salì. Infilò le chiavi e mise in moto. Anzi, tentò di mettere in moto. La Giulietta aveva sentito cosa aveva detto Gloria e si era decisa a non partire! Questo pensava Paco. Continuava a girare la chiave e a schiacciare il piede sull’acceleratore. Ogni tanto sembrava che volesse partire, ma poi rinunciava. Paco voleva imprecare in otto lingue, ma si doveva trattenere. Gloria intanto si teneva la fronte con la mano, dondolandola mestamente. Paco se ne accorse.
- “Tranquilla, vedrai che adesso parte!!”
Lo disse col tono più rassicurante che riuscì a tirare fuori. Ma gli occhi e la faccia alla Shining lo tradirono, e non fecero abboccare Gloria.
- “Ne siamo sicuri??”
Paco insisteva.
- “Guarda che macchine così, non ne fanno più!”
Gloria rispose con un gancio destro.
- “Beh, ci sarà un motivo se non ne fanno più, non credi?”
Paco traballò, ma non era un colpo da k.o.
Alla fine la Giulietta partì mettendo in mostra un vigore nascosto. Paco si sentì sollevato. E uscì dal cancello dei Marchini, mentre tuoni e lampi lo inseguivano.
Il sollievo di Paco durò il tempo necessario di annusare il cattivo odore del sedile posteriore inzuppato di acqua piovana. Sapeva di cane randagio dopo che si era rotolato in una pozzanghera di acqua stagnante. Non disse nulla. Ma doveva trovare un argomento. Doveva distogliere il naso di Gloria. E Gloria.
- “Non ti ho ancora chiesto dove devo lasciarti in città.”
Sembrava il giusto incipit per iniziare un discorso e allontanare Gloria da pensieri puzzolenti.
- “Devi lasciarmi in Via Manzoni, al civico 38. Vicino la farmacia del dottor Salvemini. Hai presente?”
Paco fece un po’ di mente locale, per essere sicuro di conoscere bene il posto. Ma non fece a tempo a rispondere.
- “Guarda che sta cosa ha pure il finestrino dietro aperto e il puzzo è insopportabile!”
Ecco. Questa era un colpo da k.o. Paco fu ferito nel suo orgoglio. Avrebbe voluto accarezzare il cruscotto della sua Alfa e dirle che tutto sarebbe andato bene, che quella cattiva passeggera fra poco sarebbe scesa e lui l’avrebbe parcheggiata al calduccio, dentro al box, accanto agli scaffali con gli attrezzi!
Erano in città da alcuni minuti. Non avevano più proferito parola per tutto il tempo. Paco non aveva più pensieri. Era un turbinio di sensazioni. Ci pensò Gloria a riportarlo sulla terra.
- “Ma dove stai andando?? Hai passato la farmacia!!”
Paco piantò i freni in maniera fin troppo brusca. Gloria gli lanciò uno sguardo omicida. Tentò di fare marcia indietro, ma già Gloria aveva aperto lo sportello ed era scesa dall’auto. Prima di richiuderlo, si abbassò e si rivolse a Paco con un sorriso.
- “Grazie comunque! A domani!”
Quel sorriso spiazzò Paco, che non ebbe il tempo di risponderle che già lei aveva chiuso lo sportello ed era corsa via. La osservò alcuni secondi dallo specchietto retrovisore, finché non la vide fermarsi davanti ad un portone e citofonare. Aspettò che entrasse prima di rimettere la prima e andare verso casa. E soprattutto portare la sua Giulietta al sicuro. Il temporale stava tornando impetuoso.
Erano quasi l’una di notte, quando Paco finì di sistemarsi la roba in un borsone sportivo ed era pronto per mettersi a letto. Fino a quel momento i suoi pensieri erano andati su Gloria. A quell’ultimo sorriso che gli aveva regalato. Ma una volta a letto tutto cambiò. Avrebbe voluto dormire. La sveglia era puntata per le cinque del mattino. Franco era stato chiaro. Sarebbe stato trattato né più e né meno come gli altri operai. Paco ebbe la sensazione che avesse detto quelle parole con un certo tono di divertito sadismo. Ma non volle credere a quella sensazione.
Disteso a letto, guardava il soffitto. Il braccio destro piegato sotto la testa. Adesso la mente di Paco era immersa nel caso. Tre fratelli. Tre famiglie. Tre cascine. Tanti ettari di terreno tutt’attorno. Un tentativo di furto simulato. Un furto riuscito. Una cassaforte aperta. Due lingotti d’oro marchiati con la svastica nazista, spariti. Paco ebbe un sussulto. Aveva dimenticato di contattare Pietro. Il suo collaboratore. Prese il cellulare dal comodino e cercò il contatto di Pietro. Una volta trovato, gli mandò un messaggio. “Scusa l’ora, ma prima non ho potuto. Nuovo cliente. Vedi se riesci a sentire in giro, se qualche compro oro di quelli più loschi, ha in serbo un grosso affare. Per grosso, intendo dire grosso. Molto più di semplici gioielli di famiglia trafugati. Domani, appena possibile, ti spiego meglio. Buonanotte”
Continuava a pensare. Nessuna effrazione. Cosa significa questo? Qualcuno aveva le chiavi. E la combinazione della cassaforte? Anche quella, chi ha preso i lingotti, doveva averla. Quindi i sospetti erano tre. Franco Marchini, sua moglie Giulia, e loro figlia Gloria. Possibile? Perché Franco non ha voluto chiamare la polizia e nemmeno avrebbe sporto denuncia nel caso avesse smascherato il ladro o i ladri? Davvero per non far trapelare la cosa, o perché pensava che chiamando un investigatore privato le indagini non avrebbero portato a nulla e lui l’avrebbe fatta franca? Ma poi, se già erano in suo possesso, perché inscenare un furto? Certo… per non spartirsi il ricavato coi fratelli. I fratelli… che tipi erano? E le loro famiglie? Si rese conto che quella sera non aveva chiesto nulla a riguardo. Quella mattina avrebbe rimediato. Comunque non poteva sospettare di Franco Marchini e della sua famiglia. Non avrebbe potuto. Per un semplice fatto deontologico. E poi… e poi…
Alle cinque in punto la sua sveglia suonò impetuosa. Paco si sentiva distrutto. Era come se non avesse dormito nulla. Ma in realtà alcune ore di sonno le aveva fatte. Ma si era risvegliato con l’ultimo pensiero che aveva avuto ore prima. E per lui era come se non avesse mai dormito. Non senza fatica, si alzò dal letto e andò in bagno. Quando si guardò allo specchio, quello che vide non gli piacque. Ma era la sua faccia, e doveva tenersela. Si fece la barba. Si lavò. Si era preparato quello che di più sgualcito aveva. Un paio di jeans davvero usurati, una camicia dal colletto stinto, e un maglione infeltrito. Quando lo aveva comprato, si era sbagliato, comprandolo di due taglie più grandi. Adesso sembrava gli stesse bene. Alle cinque e mezza era in macchina e in viaggio per le cascine. Durante il tragitto, dovette ammetterlo. La sua Giulietta faceva puzza. Tanta puzza. Guardò il cielo e vide che era meno minaccioso del giorno e la sera prima. Speriamo bene, pensò. Nonostante il freddo, abbassò il finestrino, nel tentativo di far disperdere quel cattivo odore. La cosa sembrò funzionare. E richiuse il finestrino. Ma si accorse subito, che non era bastato. Lo riabbassò. Una volta arrivato alle cascine, trovò Franco fuori nel cortile. Con la mano gli fece segno di proseguire più avanti e poi girare a sinistra. Paco vi trovò una lunga tettoia coperta, con due macchine già parcheggiate. Troppo ben tenute e di discreto valore, per appartenere ad altri operai. Lui era stato il primo ad arrivare. Bene, pensò! Avrebbe fatto bella figura su Franco, che intanto gli era andato incontro. Paco scese dalla macchina sorridendo e tendendo la mano a Franco per salutarlo, che gli porse la sua.
- “Paco, da me si arriva sempre quindici minuti prima, non cinque minuti prima!”
A Paco, il sorriso sparì. E si sentì spiazzato, tant’è che si guardò attorno. Franco capì, e gli sorrise quasi in modo affettuoso.
- “Oggi avrai campo libero, Paco. Col tempo di ieri, era improponibile fare lavori sui terreni, così ho lasciato gli altri operai a casa. Adesso vieni, che ti faccio posare la roba nella tua camera.”
Paco prese il suo borsone, diede un’ultima annusata alla sua macchina, e si avviò verso casa. Diede un’occhiata veloce tutt’intorno. Le tre cascine e il cortile, coprivano un’area davvero enorme. La sera prima non sembrava così grande. Ma adesso era diverso. Entrando in casa, fu accolto dalla signora Giulia con un bel sorriso. Anche lei mattiniera. Franco entrò in cucina, mentre la signora si offrì di accompagnare Paco al piano di sopra per posare ciò che si era portato. Poi, si sarebbero gustati un buon caffè. Paco seguiva Giulia osservandole le gambe da dietro. Senza motivo, si sentì osservato, anche se non era così. E distolse lo sguardo sentendosi in colpa per aver fatto quell’azione morbosamente infantile. Appena entrato nella stanza, Paco si sentì subito a suo agio. La camera era enorme, con un letto matrimoniale in ottone con sopra lenzuola e coperte piegate, un grande armadio che ad occhio doveva avere più di cento anni. Si vedeva che era antico. Non vecchio, ma antico. Ai piedi del letto c’erano due poltrone in stile. Al lato sinistro del letto, un comò. Era di fianco alla grande porta che si apriva sul balcone che dava direttamente sul cortile. All’angolo della stanza, alla destra della porta, c’era una vecchia stufa a legna con a fianco un’enorme cesta di vimini piena di tronchetti tagliati a misura. All’angolo opposto, un tavolino. Vi era poggiata una tv con a suo fianco il telecomando. Il bagno, era alla destra del corridoio. Paco notò le spesse pareti. Si chiese quanti anni avesse quella cascina. Lo avrebbe chiesto poco dopo. Posando il borsone su una delle poltrone, si volle affacciare dal balcone. La vista d’insieme era ottima. Aveva una visuale abbastanza ampia su gran parte del cortile e anche sulle altre due cascine. Ancora il sole non si era del tutto alzato, e qualche nuvola imperterrita, non dava ancora la possibilità di apprezzare la luce mattutina. Alcune lampade nelle due cascine erano accese. Paco rientrò. Si vide osservato da Giulia, che era appoggiata sull’uscio. Gli sembrò di vedere in lei uno sguardo di ammiccamento. Ma era certo di essersi sbagliato. Si schiarì la voce.
- “Perfetto signora Giulia! Bellissima camera! Speri che non mi abitui troppo, altrimenti potrei trasferirmi da voi!”
Paco rise di gusto, sperando che anche Giulia facesse altrettanto. Ma lei si limitò a rispondergli.
- “Sarebbe un piacere, Paco!”
Era certo di essere diventato rosso in viso. E di corsa scese le scale. Voleva un caffè. E voleva iniziare a ficcare un po’ il naso. Entrando nel grande disimpegno che divideva il piano terra, si fermò alcuni secondi a osservare delle foto incorniciate e appese sulla parete. Tre erano in bianco e nero. Erano state fatte fuori, nel cortile. Raffiguravano una numerosa famiglia. Sei adulti e tre bambini. Prese in momenti diversi e in occasioni diverse. Due erano a colori. In una si vedevano tre ragazzi che giocavano a calcio nel cortile, mettendo in mostra dei gran sorrisi. Nell’altra, sempre nel cortile, c’era una tavola apparecchiata. Doveva essere estate, dato l’abbigliamento degli undici seduti. Riconobbe Franco e Giulia. E di fianco a lei, Gloria. Poteva avere tre anni. Sembrava imbronciata, ma con l’occhietto furbo, di chi lo sta facendo apposta. Paco sorrise leggermente. Gli altri dovevano essere Luca e Luigi con mogli e figli. Gli altri due fratelli avevano una coppia. Solo che uno di loro aveva un maschio come maggiore dei figli, l’altro una femmina. Franco era di la, in cucina. Aveva fatto il caffè. Paco ne sentì l’odore e andò direttamente da Franco. Non si era accorto che Giulia, dietro di lui, lo aveva osservato per tutto il tempo.
- “Ecco Paco, un bel caffè caldo è quello che ci vuole al mattino!”
Franco glielo porse con gentilezza mentre Paco prendeva posto a tavola. Fu allora che si accorse di Giulia, che era rimasta di là ad armeggiare con qualcosa. Ma non capiva con cosa. Cosa c’era di la, si chiese? Guardando quelle foto non fece attenzione. Poi ricordò di essersi sporto in avanti per vedere le tre foto in bianco e nero. Si, c’era un mobile. Una cassettiera. Sorseggiò il suo caffè distogliendo lo sguardo da Giulia.
- “Franco, mi parli dei suoi fratelli. Delle loro famiglie.”
Franco gli rispose dandogli le spalle.
- “Luca è il minore. È sposato da vent’anni circa con Marcella. Hanno due figli. Alessandra, la più grande e Fabio. Luigi invece è quello che si è sposato prima di tutti. Sua moglie si chiama Serena. Anche lui ha due figli. Ottavio, il più grande e Fabiana. Abitano tutti qui, come ha capito. Ottavio è l’unico dei figli che segue le orme dei Marchini. Gli altri studiano. Ogni tanto ci facciamo visita a vicenda. Ma non sempre in modo convenevole. Sa, anche se magari ad uno di noi dovesse mancare lo zucchero, per dire…”
Paco stava finendo il suo caffè e aveva voglia di uscire fuori a dare un’occhiata. Ma Franco non aveva ancora finito di parlare.
- “Se dovessi puntare il dito, lo farei su mio fratello Luca. O meglio, su sua moglie Marcella. È quella che meno di tutti ha legato con noi. Per carità, è sempre gentile e generosa se serve, ma è come se facesse le cose con una dose sempre presente di diffidenza. Non so se mi spiego… e poi la vedo che ogni tanto sbircia dalle sue finestre. E di per sé, è una cosa che mi dà fastidio!”
Franco vide che Paco lo osservava con attenzione.
- “Luca abita qui di fronte. Nella cascina posta trasversalmente, invece vi abita Luigi.”
Ora che ci rifletteva un po’, Paco, ebbe la sensazione di essere “spiato” mentre si affacciava dal balcone della sua camera. Paco chiese a Franco se aveva a disposizione una piantina delle cascine o se se la sentiva di disegnargliene una. Anche approssimativa. Franco gli rispose positivamente. Doveva cercare fra i suoi documenti per vedere se ne aveva, perché su due piedi non ricordava. Ma nel caso, sarebbe stato in grado di fargli un disegno più preciso possibile.
Erano già le sei e mezza e Franco fece cenno a Paco di seguirlo. Era ora di lavorare. Uscendo fuori in cortile, Paco potette capire per la prima volta, quanto grandi fossero le cascine. Passarono dal parcheggio delle macchine, per poi entrare in un grande magazzino, che in parte fiancheggiava la parte abitata, in parte l’abbracciava da dietro. Alla sinistra, vi erano posti i mezzi agricoli. C’erano tre trattori, due rimorchi, di cui uno enorme, un aratro, un erpice, una fresatrice, e un altro paio di attrezzi che Paco non seppe riconoscere. Alla destra invece c’era un recinto in legno. Franco lo portò proprio lì. Paco storse il naso. Cattivo odore. Vide una cinquantina di galline intente a beccare da una lunga canaletta. Alcune, a dire il vero, se ne stavano accovacciate su alcuni “letti” posti in un’unica fila pieni di paglia. Sembravano dormire, anche se ogni tanto emettevano strani rumori dal becco, come a voler comunicare alle altre che facevano solo finta di dormire, e che le stavano tenendo d’occhio. Franco guardò Paco. Capì subito che per lui era la prima volta che vedeva qualcosa del genere. O quanto meno, una delle rarissime volte.
- “Questo è il lavoro che dovrai fare oggi, Paco.”
Paco lo guardò, ma senza capire.
- “Li di fianco ci sta quella grossa pala. Di fianco, c’è quella grossa cesta nera in plastica. Appena fuori, non so se ti sei accorto di quella cisterna interrata con quel tubo che ne esce fuori…”
Paco lo osservava come se stesse parlando in una lingua a lui sconosciuta. Franco lo capì, sorrise, e mettendogli la mano sulla spalla, lo riportò fuori dal magazzino.
- “Vedi? Questa è una cisterna interrata. Il tubo che vedi, è una coclea, che poi azioneremo per trasportare ciò che è dentro la cisterna, fino al rimorchio che è sotto la coclea.”
Paco sembrava ancora confuso. O sgomento. Non si sapeva.
- “Paco, è letame. Quello che devi fare, è ripulire il letame delle galline, riempire la cesta nera, e svuotarla dentro la cisterna. Chiaro, no?”
Paco stavolta fece subito di sì con la testa. Adesso era tutto chiaro.
- “In questo modo puoi uscire fuori e dare un’occhiata in giro. Ma non avvicinarti troppo alle cascine dei miei fratelli. Sei nuovo e quindi sarebbero molto diffidenti nei tuoi confronti.”
A Paco piaceva l’idea di un lavoro così. Franco aveva avuto una buona idea. Poco dopo Paco rimase da solo e iniziò il suo lavoro.
Ogni tanto si fermava e si guardava attorno. Quelle cascine erano davvero enormi. Solo il magazzino doveva occupare una superficie di almeno 500/600 metri quadrati. L’abitazione almeno 200. Dopo circa un’ora decise di riposarsi un po’. Uscì fuori dal magazzino e si appoggiò alla parete. Avrebbe voluto fumarsi una sigaretta, ma sfortunatamente non fumava. In quel modo avrebbe dato più l’impressione di essere un vero operaio. Ma pazienza. Si tolse i guanti e prese il cellulare dalla tasca posteriore dei pantaloni. C’era un messaggio non letto. Era di Pietro. “Ciao. Appena mi libero, sguinzaglio i cani. Ma di cosa si tratta? Roba grossa?”
Pietro era sempre molto teatrale, o meglio, cinematografico, quando doveva comunicare qualcosa. Paco glielo diceva sempre, che secondo lui guardava troppi film americani. Comunque gli strappava sempre un sorriso. Diede un’occhiata alle cascine prima di rispondere a Pietro. Nessuno che sbirciava. Sentiva solo parlare qualcuno a distanza. Voce maschile. Di sicuro uno dei fratelli di Franco. “I nuovi clienti. Famiglia Marchini Franco. Furto mirato da una cassaforte. Due lingotti d’oro massiccio. Circa 25 kg di oro in tutto. Dici che è roba grossa?”
Paco rideva nell’immaginare la faccia di Pietro nel leggere il messaggio.
Stava per rientrare a svolgere il suo lavoro, quando si sentì chiamare da Franco.
- “Paco, io vado in città. Ne approfitto per andare a sbrigare qualche faccenda. Poi passo a prendere Gloria e riportarla a casa. Nel caso ti servisse qualcosa, Giulia è da basso che rassetta.”
Lo salutò velocemente, salendo sulla sua BMW blu scuro.
Stava per rimettersi a lavoro, quando il suo sguardo cadde su un particolare che prima non aveva notato. Dietro il recinto del pollaio, all’angolo sinistro, c’era una porta. Non grande. Anzi, piccola a dire il vero. Ma Paco ne fu incuriosito e decise di andare a vedere. Dovette districarsi fra sacchi di concime e di mangime, oltre che a due fustoni neri pieni di qualcosa di liquido. Istintivamente cercò di spostarli. Uno era di sicuro pieno, l’altro sembrava pieno solo per metà. Ne aprì uno e all’interno era tutto nero. Il colore opaco e intenso dei fustoni non faceva intravedere che tipo di liquido fosse. Istintivamente vi avvicinò il naso per sentirne l’odore. Nessuno. Assolutamente inodore. Doveva essere acqua. Richiuse il fustone e alla fine arrivò alla porta. Sembrava una porta da interno. Piccola, ma piuttosto massiccia, all’apparenza. Di certo sarà stata riciclata per lo scopo. Guardò a terra. C’era poco sporco. Proprio lungo il raggio d’apertura della porta. Quindi era una porta che veniva usata spesso, pensò. La porta era in legno. L’apertura era ad incastro, in ferro. Non era quella originale, ma adattata per l’esigenza. La aprì e si sporse fuori. Davanti a lui c’era uno spiazzo largo almeno cinque o sei metri. Alla fine dello spiazzo, che sembrava percorrere tutta la cascina, la famosa fila di cipressi. Lo spiazzo era tutto ricoperto con del brecciolino fine. Era piuttosto pulito. Solo un paio di pezzi di fil di ferro piegati e buttati lì a casaccio. Il terreno sembrava fortemente battuto dai mezzi agricoli, anche se i solchi lasciati non erano profondi. Più avanti, Paco vide l’apertura fra i cipressi che gli aveva detto Franco. In realtà, la porta dava esattamente, guardando a destra, sulla cascina di Luigi. E fu lì che Paco capì da dove provenivano le voci. Doveva essere il fratello di Franco, Luigi che parlava con qualcuno a telefono. Ma non riusciva a capire cosa dicesse. Si capiva solo che era una telefonata molto animata, a vedere anche la gestualità dell’uomo. Sembrò di aver captato qualcosa come, “portameli subito” e “allora al più presto”. Provò a uscire fuori e ad avvicinarsi senza darlo troppo a vedere. Ma alcune gocce di pioggia lo colpirono. Stava rimettendosi a piovere. Luigi non si era accorto della sua presenza, così Paco torno sui suoi passi e andò alla porta. Vide che all’esterno aveva lo stesso sistema di chiusura. Per cui, se eri dentro, aprivi e chiudevi dall’esterno. Viceversa, se ti trovavi all’esterno, aprivi e richiudevi dall’interno. A terra, nella parte esterna, non c’erano tracce evidenti di passi. Del resto sul brecciolino, solo dei mezzi pesanti avrebbero potuto lasciare segni. Si stava per richiudere la porta dietro di sé, quando si sentì chiamare. Era Giulia.
- “Paco, si è rimesso a piovere. E ho pensato che un bel caffè caldo le avrebbe fatto piacere.”
Giulia era gentile come sempre. Non si era ancora vestita. Era ancora per come la vide Paco quella mattina. La osservò. E la trovo molto carina. Più di tutte le altre volte.
“Grazie signora Giulia, lei è sempre molto gentile. Lo accetto volentieri.”
Giulia gli sorrise quasi arrossendo, spostandosi una ciocca di capelli che le erano scivolati sulla guancia. Fu in quel momento che Paco si sentì attratto da lei. Ma subito scacciò nuovamente via ogni pensiero morboso.
Giulia posò il vassoio con due tazzine di caffè fumante, su un tavolinetto accostato sulla parete, con alcune ceste di vimini intrecciato posate sopra. Prese una tazzina e la porse a Paco. Sorseggiarono il caffè in silenzio, rubandosi degli sguardi che provocavano imbarazzo. Paco non potette evitare di osservarla per intero, anche se velocemente. Dalla vestaglia si vedeva bene la camicia da notte chiara che indossava sotto. Era molto scollata. E doveva essere anche corta, dato che dalla parte bassa della vestaglia non si vedeva nulla sporgere. La vestaglia, le arrivava al ginocchio. Paco doveva uscire da quella situazione imbarazzante, ma altamente infiammabile. Ma ciò che gli uscì dalla bocca, non era esattamente quello che avrebbe calmato i bollenti spiriti.
- “Ma signora Giulia, non sente freddo? È quasi nuda…!”
Paco si stupì di sé stesso per quello che aveva detto. Ma ormai il danno era fatto.
- “Sono quasi nuda, Paco? Ma sa, non sento quasi mai freddo, anzi!”
Lo disse sorseggiando l’ultimo caffè, e passandosi la lingua sulle labbra in modo così sensuale, che Paco stava per svenire. Doveva fare qualcosa. E gli venne in aiuto il suo istinto da investigatore.
- “Giulia, mi dica, si può passare dal magazzino all’abitazione senza uscire ogni volta fuori?”
Giulia si schiarì la voce e deglutì. Si sistemò i capelli e dopo averci pensato un secondo, rispose.
- “Si, c’è un passaggio. È al di là dei trattori. Venga.”
La situazione sembrava tornata alla normalità. Meglio così, pensò Paco.
Giulia gli faceva strada, mentre fuori la pioggia aumentava d’intensità. Passarono la fila di trattori e sulla sinistra c’era una porta. Paco disse a Giulia di fermarsi.
- “La usate spesso?”
Paco osservava a terra, mentre aspettava la risposta di Giulia.
- “Non molto a dire la verità. Perché c’è una scala che porta al primo piano. Cioè dove dorme lei, Paco. Se ha fatto caso, dopo la sua camera e dopo il bagno, ci sono due porte. Una è la camera di Gloria, l’altra è di una sorta di ripostiglio. Ed è lì che porta questa entrata. Ma a noi, abitando di fatto al piano di sotto, non è di alcun aiuto effettivo. Raramente la usa Gloria. Ma molto di rado. Ma perché me lo chiede? Ha trovato qualcosa?”
Paco continuava a guardare a terra, ma aveva ascoltato bene il racconto di Giulia. Quel passaggio sembrava usato da poco. La porta era di quelle semplici. Da interno, con una semplice maniglia e una toppa che aveva una chiave universale. Vide una serie di interruttori e li premette. I neon sopra di loro, iniziarono a lampeggiare timidamente, per poi accendersi e illuminare tutta quella zona. Paco si voltò verso Giulia, poco dietro di lui. Si era un po’ rannicchiata e teneva le braccia conserte. Diede uno sguardo con più attenzione. Ed in effetti, quell’angolo di magazzino, non sembrava tanto sporco, come dovrebbe essere un posto usato raramente. Passò il dito sulla maniglia. Praticamente non vi era polvere. Abbassò la maniglia e la porta si aprì subito. Stranamente, i cardini sembravano ben oleati, tanto che non fecero nessun rumore. Di fianco alla porta c’era un altro interruttore. Paco lo alzò e si accese la luce della scala. Iniziò a salire le due rampe che lo separavano dalla porta del ripostiglio. Giulia lo seguiva. Arrivati di sopra, aprì anche la seconda porta. Così come quella che dava sul corridoio. Paco si fermò al centro del corridoio. Guardò Giulia e sorrise.
- “Sta pensando qualcosa, vero?”
Giulia accennò un sorriso. Aveva intuito che Paco stava facendo progressi. Ma lui non rispose. Lasciò che la risposta le arrivasse da sola. Poi lei andò avanti, fino alla porta della camera di Paco. Si fermò a osservarlo, prima di aprire la porta, poi vi entrò dentro. Paco non sapeva cosa pensare. Ma la seguì titubante. La porta era aperta e Paco si fermò sull’uscio. Ebbe un sospiro di sollievo nel vedere cosa stava facendo Giulia. O avrebbe voluto vedere altro?
- “Mi sto permettendo di prepararle il letto, Paco. Le dispiace?”
- “Lei è sempre molto gentile, Giulia. Ma non doveva disturbarsi, lo avrei fatto io più tardi.”
I convenevoli si stavano sprecando.
- “Allora non vuol dirmi niente, Paco?”
Paco non capì bene la domanda. O meglio, voleva capire a cosa si riferisse. Se alle scoperte fatte, o a lei. A ciò che gli aveva suscitato quella mattina. Ma fu Giulia a dissipare ogni dubbio.
- “Perché le è venuto in mente di chiedermi di un altro passaggio? Ha in mente qualche idea? O ha scoperto qualcosa?”
Paco non capiva se era deluso o sollevato.
- “Ancora non so dirle, Giulia. Ma dovrò fare altre domande a tutti e tre. Adesso scendo giù e torno a fare qualcosa.”
Paco torno serio e professionale. Ripercorse la strada che aveva fatto. Ripensando a quelle scoperte. Si mise a spalare ancora un po’ di letame, quando sentì una macchina fermarsi fuori. Si sporse a vedere. Era Franco. E insieme a lui Gloria. Quando la vide, le venne in mente la serata precedente. La osservò per alcuni secondi, e pensò che fosse davvero bella. Si sentiva in colpa per aver flirtato con la madre. O forse, per aver permesso a Giulia di flirtare con lui. Il cuore gli batteva forte. Ma rientrò e si rimise a lavoro. Dopo poco sentì una fragorosa risata dietro di lui. Si voltò e vide Gloria poggiata sulla parete del magazzino. A braccia conserte, lo stava osservando ridendo ancora.
- “Quando papà mi ha detto cosa ti aveva messo a fare, dovevo venire assolutamente a vedere!”
Paco fece una smorfia buffa e si rimise a lavorare.
- “Si sì, ridi tu! Mi fa piacere che lo trovi divertente!”
Gloria continuava a ridere mentre prendeva il vassoio che Giulia aveva lasciato prima con le tazzine del caffè.
- “Vedo che mamma ti ha portato il caffè. Vedi che si pranza alle tredici e trenta in punto. Cerca di non farci aspettare.”
Sembrò di colpo severa nel tono. Perché? Per aver capito che sua mamma si era intrattenuta con lui? O perché Paco non le aveva dato la giusta attenzione? Paco cercò di trattenerla con una domanda.
- “Com’è andata la serata dalla tua amica?”
Gloria si voltò lanciandogli un’occhiata che non prometteva nulla di buono.
- “Credo che siano fatti che a te non possono e non devono riguardare, non pensi?”
Non aspettò neppure una risposta da parte di Paco, che del resto, rimase fisso a osservarla con la bocca aperta. Non per lo stupore, ma perché non ebbe il tempo di accampare la benché minima scusa per quella domanda che in effetti poteva essere considerata troppo intima, per due che si erano conosciuti appena la sera precedente.
Paco si stava sciacquando la faccia con tanto sapone e in maniera energica. Una volta finito, iniziò a odorarsi i vestiti che indossava. Aveva la spiacevole sensazione di puzzare di cacca di gallina. Scese al piano terra e salutò tutti mettendosi a tavola. Giulia intanto si era vestita ed era tornata ad essere una moglie e mamma assolutamente normale. Paco ebbe la sensazione di essersi immaginato tutto quello che era successo quella mattina. Erano le stesse posizioni della sera prima. Gloria fu l’unica a non rispondere al suo saluto. Possibile che fosse ancora arrabbiata per quella stupida domanda? O c’era sotto qualcosa? Mentre stavano iniziando a mangiare, Paco si sentì osservato da Giulia, che in effetti lo invitava, con lo sguardo, a parlare dei passi avanti fatti quella mattina. Paco prese la parola, prima che lo facesse Giulia o Franco.
- “Stamattina ho avuto modo di dare un’occhiata in giro e di fare alcune scoperte interessanti. E a tal proposito vi devo fare delle domande.”
Franco posò la forchetta che stava portando alla bocca. Era molto interessato.
- “Intanto, nel magazzino, ci sono due porte. Una che porta all’esterno e una che conduce all’abitazione. Quella che porta qui, era regolarmente aperta. E sembrava essere stata usata da poco tempo. Così come erano regolarmente aperte quelle che vanno dal ripostiglio al corridoio. Quella che invece da all’esterno, era chiusa da dentro. E dato il suo sistema di chiusura, le possibilità sono diverse. O era chiusa dall’esterno e qualcuno che vi si è introdotto l’ha poi richiusa da dentro, solo che dovendola riusare per uscire, l’avrebbe dovuta chiudere da fuori. Oppure qualcuno che stava dentro è uscito fuori per qualche minuto, per poi rientrare e richiuderla sempre dall’interno, che è quello che ho fatto io. Oppure per fare entrare qualcuno che aspettava fuori. Ora, ho bisogno di sapere chi di voi e quando, hanno usato quelle due entrate.”
Paco sapeva di aver acceso una miccia, con quell’allusione di un complice interno. Doveva e voleva aspettare se e quando sarebbe esplosa la bomba.
Franco accigliò lo sguardo, puntando un punto indefinito della stanza. Poi si voltò verso Gloria, che non si era neppure degnata di alzare lo sguardo.
- “Gloria, ne sai qualcosa? In genere sei tu che usi quelle entrate. E che comunque ti ho sempre detto di chiudere sempre a chiave le porte che portano al primo piano.”
Sembrava contrariato. Ma non furioso. Gloria da parte sua, era diventata rossa in viso. E fu curioso. Perché da una ragazza così sfrontata e spigliata, Paco non se lo sarebbe aspettato. Perché?
- “Scusa papà, hai ragione. Sono scesa da lì alcuni giorni fa per vedermi con Fabiana, che mi aspettava fuori dalla porta e risalendo poi in camera ho dimenticato di richiudere a chiave.”
La spiegazione sembrava convincente. Ciò che non convinceva Paco, era il tono dimesso e lo sguardo abbassato di Gloria. Gli venne un flash e prese il cellulare dalla tasca. Doveva scrivere a Pietro. Ma prima dovette leggere il messaggio che lo stesso Pietro gli aveva mandato. “Cani liberati. Ti farò sapere al più presto. Ma diamine se è roba grossa!” Paco sorrise leggermente, poi gli scrisse. “Tienimi d’occhio il civico 38 di via Manzoni. Fammi sapere chi ci abita, controlla chi entra e chi esce. E se puoi, scatta delle foto. Grazie!”
Paco tornò a mangiare le tagliatelle alla boscaiola. Cercando di riprendere il discorso.
- “Lei capisce, Franco, che ho dovuto farvi quella domanda, vero? Non era e non voleva essere un’accusa nei vostri confronti. Ma dovevo capire. Perché quei passaggi, possono essere stati usati da chi poi ha realmente commesso il furto. Stamattina, venendo qui, ho visto che tutta la zona è piena di cascine più o meno come la vostra. È molto abitata. Comunque rimane il fatto che chi ha rubato l’oro, doveva sapere della sua esistenza. E doveva conoscere la combinazione della cassaforte. E doveva sapere dov’era posizionata. E doveva sapere come entrare in casa senza lasciare segni evidenti. Adesso cercate di raccogliere tutti gli sforzi possibili, e di riflettere su qualcuno al quale possiate aver detto direttamente o indirettamente, qualcosa a riguardo.”
I Marchini erano turbati in viso. E non certo per quello che gli aveva detto Paco, ma per la possibilità che uno di loro possa essersi lasciato sfuggire qualcosa a qualcuno. Paco incrociò lo sguardo di Gloria, che stavolta lo ricambiò in maniera diversa. Aveva gli occhi dolci. Quasi a volergli chiedere scusa che a parole non sarebbe riuscita. Dopo pranzo, Paco sarebbe tornato nei magazzini a ultimare il lavoro e a rimettere insieme i pezzi di quell’indagine così diversa da tutte le altre. Aveva fatto delle scoperte, si. Ma il lavoro era ancora molto lungo e molto più complesso del previsto.
Erano le tre del pomeriggio e Paco si sentiva distrutto. Ma ancora non aveva finito. Si guardava intorno. Fermava gli sguardi sulle due porte. Poi pensò alla giustificazione di Gloria. Sua cugina Fabiana. Che tipa era? Avrebbe chiesto a Gloria qualcosa. Sempre se questo non l’avrebbe fatta infuriare. Intanto aveva smesso di piovere da un po’. Paco decise di uscire di nuovo fuori dalla porta sul retro. Voleva fare un giro. Rendersi conto. Uscito fuori, guardò subito in direzione della cascina di Luigi. Ma non c’era movimento. Con chi parlava Luigi quella mattina in maniera così animata? Voleva che l’interlocutore gli portasse qualcosa subito o al più presto. Di cosa poteva trattarsi? Soldi? Magari il ricavo di una vendita di oro? Paco non poteva chiedere rendiconti bancari di chicchessia. Ma mai, come quella volta, lo avrebbe voluto fare. Era curioso di conoscere la situazione economica di Luigi Marchini. Poi si incamminò verso la parte opposta, dove fra i cipressi c’è un passaggio. Seguiva i solchi superficiali ma netti che i trattori lasciavano al loro passaggio. Dopo un po’, giravano a destra. Attraverso quel passaggio. Dava su un’ampia striscia di terreno che poi si allargava dietro la cascina di Luigi. Il terreno era delimitato da una recinzione. Al massimo sarà stata alta due metri. Dalla parte opposta al recinto, il terreno di uno dei vicini dei Marchini. Quel terreno era libero, senza alcuna recinzione. Facilmente vi si poteva accedere e altrettanto facilmente si poteva scavalcare il recinto. Paco avrebbe voluto andare a vedere se ci fossero tracce. Ma con il temporale della sera precedente e la pioggia di quel giorno, qualunque traccia era ormai scomparsa. Fatto sta che l’idea che qualcuno dall’esterno, avrebbe potuto scavalcare il recinto e introdursi a casa in un modo o nell’altro, era più che plausibile. Ma chiunque fosse stato, doveva tornare indietro con venticinque kg di oro. Certo, non erano tantissimi. Ma pur sempre un bel peso da portarsi dietro. Paco tornò indietro, guardandosi alle spalle ogni tanto. Più per immedesimarsi nel ladro, che per altro. Già di giorno sarebbe stato notato poco, tranne che nello scavalcare il recinto. Ma di sera, sarebbe stato al sicuro da qualsiasi occhio indiscreto. Una volta tornato dentro, si richiuse la porta dietro di sé fermandosi a osservare ancora una volta la chiusura. Di fianco c’era un forellino. Di certo faceva parte delle maniglie e della chiusura originali della porta. Stava per tornare a lavorare, quando un rumore dal fondo del magazzino lo fece fermare di colpo.
- “Paco, sono io.”
La voce di Gloria lo tranquillizzò. Ma che ci faceva lì?
- “Ero di sopra in camera mia, ma non avevo modo di riposare, così sono scesa per stare un po’ qui, se non ti dispiace.”
Il tono di Gloria era di quelli di chi si sente in colpa e cerca conforto in qualcuno. Paco la trovò dolce e tenera. Avrebbe voluto andare da lei ed abbracciarla.
- “Ma figurati, Gloria. È un piacere. E poi ti ricordo che qui è casa tua e puoi fare ciò che vuoi.”
Paco le sorrise. E lei ricambiò avvicinandosi a lui. Aveva indosso una felpa di un paio di taglie più grandi, le maniche erano così lunghe, che le coprivano le mani fino a penzolare. Aveva fatto la coda ai capelli. Ai piedi portava delle ciabatte a forma di coniglio. Ed era senza un filo di trucco. Paco la trovò bellissima. Incrociò le braccia, stringendole al petto. L’aria fuori era fredda. E dentro il magazzino non si stava tanto meglio. Gli fu davvero vicina, quando lo guardò fisso negli occhi. Paco rimase come ipnotizzato, resistendo allo sguardo finché potette. Poi sorrise e lo abbassò, tornando a lavorare. Gloria lo seguì e si appoggiò al tavolino dove la mattina Giulia vi aveva poggiato il vassoio coi caffè.
- “Gloria, ti chiedo scusa per stamattina, per quella stupida domanda che ti ho fatto. Non erano fatti miei, ma vedi, per me era solo un modo per rompere il ghiaccio, tutto qui.”
Si girò ad osservarla. E vide il suo sorriso pieno di comprensione. Il suo cuore riprese a battere a mille. Era contento che lei fosse lì con lui. Voleva che ci fosse e voleva che restasse.
- “Ti andrebbe di farci un giro stasera?”
La richiesta di Gloria lo colse impreparato. Si sentì arrossire, ma di colpo fu più sicuro di sé.
- “Si, perché no! Volentieri!”
- “Ma ad una condizione, Paco!”
Ecco, pensò. C’è il trucco.
- “Condizione? Sarebbe…?”
- “Che usciamo con la macchina di mia mamma e non con la tua!”
Gloria adesso stava ridendo, perché capiva di colpire Paco sul debole. Ma lui seppe resistere stando al gioco. Del resto, la voglia di poter stare con lei avrebbe superato ogni cosa. Anche “tradire” la sua Alfa Giulietta!
- “Si, per me va bene! E dove si va?”
- “Non ne ho idea. Usciamo e poi vediamo. Che ne dici?”
Paco fece cenno di sì, sorridendole. Poi lei riprese a parlargli.
- “Ti chiedo scusa, Paco, perché ieri ti ho sottovalutato e parecchio. Pensavo fossi un buffone che voleva solo spillare soldi ai miei genitori. O uno sprovveduto. O un arrogante spavaldo che voleva dimostrare qualcosa. Invece oggi ho capito che fai sul serio. E che sei serio. E ti chiedo scusa se sono stata poco delicata nei tuoi confronti. Ma questo non vuol dire che cambi idea. Stasera si esce con la macchina di mamma!”
Paco rimase senza parole, spiazzato. Tutto si sarebbe aspettato da lei, ma non una cosa del genere. La osservava, e di colpo vide una ragazza fragile. Tutta la scorza dura che aveva mostrato tanto la sera prima, e un po’ anche quel giorno, di colpo avevano lasciato posto ad una tenerezza, ad una dolcezza, inaspettati. Paco aveva voglia di prenderla e abbracciarla. Alla fine riuscì a dire qualcosa.
- “Non devi chiedere scusa per nulla, Gloria. Non è successo niente, non ti preoccupare.”
Forse troppo poco, ma furono le uniche cose che gli uscirono di bocca.
Gloria sembrava comunque soddisfatta, dal sorriso che fece.
- “Allora a più tardi, Paco. Io torno su. Alle sette mi troverai di sotto, ok? Mi raccomando però, lavati per bene! Non vorrei che lasciassi odori sgradevoli nella macchina di mamma!”
Rise anche Paco, stavolta, guardandola andare verso le scale che portavano al piano di sopra. Si scambiarono un ultimo sguardo d’intesa con un cenno di saluto, poi, Paco, tornò al suo lavoro ma con mente e animo più leggeri. Non vedeva l’ora di finire il lavoro, lavarsi, cambiarsi e stare con Gloria. Quella inattesa leggerezza, lo fecero del tutto distogliere dal caso. Ci stava riflettendo. Ma era troppo eccitato dall’emozione, e in fondo, si disse fra sé e se, il suo lavoro lo stava comunque svolgendo e aveva fatto delle scoperte. Per avvalorare maggiormente la sua giustificazione, si ripeteva che anche quella uscita avrebbe fatto parte del suo lavoro, perché avrebbe potuto approfittarne per chiedere informazioni a Gloria.
Erano ormai le sei e venti e fuori era già buio. Paco aveva acceso la stufa a legna prima di andarsi a infilare sotto la doccia. Nella sua camera c’era un bel tepore, che apprezzava ancora di più se pensava al freddo che faceva fuori. Stava ancora decidendo cosa indossare. Alla fine propense per un paio di jeans, una camicia bianca e un maglione blu scuro. Si, sarebbe stato perfetto così. Si spruzzò un po’ di profumo e si preparò a scendere di sotto. Si diede un’ultima occhiata allo specchio. Si sentiva emozionato come un ragazzino che esce per la prima volta con la sua fidanzatina. Si chiese se Gloria lo apprezzasse davvero. Se le piaceva in tutto e per tutto. A trentadue anni cercava di mantenersi in forma. Era abbastanza alto, ma non altissimo. Fisico muscoloso ma non palestrato. Quando poteva faceva jogging e a casa aveva alcuni attrezzi da palestra che usava nei fine settimana o quando aveva poco lavoro. Alla fine decise che andava bene. Del resto, l’invito gli era arrivato mentre era vestito lercio e puzzava di cacca di gallina! Scese le scale senza fretta e sentiva vocio che veniva dalla cucina. Prima di arrivare all’ultimo gradino, il telefono vibrò. Era arrivato un messaggio. Era Pietro. Sicuramente con delle novità. “Allora. Al civico 38 di via Manzoni, ci abitano tre famiglie. Piano terra Bonatti Mario, primo piano Lotti Gianfranco e secondo piano Solteri Armando. Ma ho comunque bisogno di parlarti a voce!” Sembrava che Pietro avesse delle novità importanti. Quei nomi a Paco non dicevano nulla e non aveva idea di chi fosse Anna, l’amica di Gloria. Anna Bonatti? Anna Lotti? Anna Solteri? Guardò l’orologio. Mancavano ancora 15 minuti. Decise di chiamarlo, ma non prima di farsi vedere dalla famiglia Marchini e avvisare Gloria della telefonata che stava per fare. Si appartò e chiamò Pietro, che rispose al primo squillo.
- “Come va, capo! Come sei andato a finire in un affare così grosso?”
Paco sorvolò, e incalzò Pietro.
- “Allora Pietro, ragguagliami. Perché avevi urgenza di parlarmi?”
- “Sono stato qui gran parte del pomeriggio e ho scoperto qualcosa. Intanto, le famiglie che sono indicate nel citofono sono tre, ma in realtà sono due, perché la famiglia Bonatti non ci abita più e infatti l’appartamento è in affitto. C’è tanto di cartello fuori e questo mi ha aiutato parecchio, perché ne ho approfittato per entrare nella farmacia accanto e chiedere ad una bella donna in camice bianco. Clelia si chiama, gran bella donna, Paco. Ho visto che non porta la fede e ho cercato di fare il simpatico con lei, e pare che ci sia riuscito. Mi sa che domani ci torno a comprare delle aspirine, così magari approfondisco la conoscenza.”
Paco chiuse gli occhi stizzito e strinse la mano libera a pugno.
- “Pietro, per favore! Lascia perdere i dettagli che riguardano le tue doti di latin lover e continua a dirmi ciò che hai scoperto!”
- “Ah, sì sì, scusa… allora, dicevo… ho chiesto a Clelia di quest’appartamento in affitto, facendole credere che potessi essere interessato…”
Pietro si fermò di colpo. Poi riprese, ma non come Paco sperava.
- “Cavolo! Interessato! Ma certo che posso essere interessato, accidenti! Ma ti immagini io che prendo appartamento di fianco dove lavora Clelia??”
Paco scosse la testa dandosi una pacca sulla fronte.
- “Pietro, ti ricordo che tu hai una compagna che si chiama Tina e vivete assieme. Scusa se ti faccio notare questo piccolissimo dettaglio! Comunque, per favore, vuoi andare avanti?”
- “Si, si, hai ragione. Ma non è che con Tina ci stia così bene, boh! Vedremo! Comunque, le due famiglie che ci abitano sono i coniugi Gianfranco e Iolanda Lotti, due anziani che vivono da soli, e l’altra famiglia, udite udite, è composta da Solteri Armando, insegnante al liceo, sua moglie Virginia, impiegata alle poste e il figlio Danilo, un trentenne noto ricettatore e trafficante di oggetti di dubbia provenienza, e se ti stai chiedendo come so questo, non è solo grazie a Clelia, ma grazie alle mie conoscenze nell’arma dei Carabinieri! Infatti dopo che ho saputo che il Solteri figlio era un poco di buono, ho chiamato quell’amico mio brigadiere e ho chiesto qualche informazione sommaria! Poi cos’altro… I Bonatti si sono trasferiti ormai da due mesi circa. Ecco, tutto qui! Credo che dovremmo concentrarci su quel Solteri, Paco, che ne dici? Ah, poi ti mando anche una sua foto! Perché a parte la coppia di anziani che di fatto non escono mai, dice Clelia che la moglie è molto ammalata, ho avuto la fortuna di fotografare il Danilo Solteri mentre usciva di casa. Allora, puntiamo sul Solteri?”
Paco era scosso. E non poco. In quella casa non vi abitava nessuna Anna. E per giunta, ci viveva un malvivente noto alle forze dell’ordine per ricettazione e traffico di oggetti rubati! Staccò il cellulare dall’orecchio e si girò a guardare verso la cucina, anche se ne poteva vedere solo la parete. Cosa gli stava nascondendo Gloria? Cosa aveva in mente nei suoi confronti? Di colpo non aveva più voglia di uscire con lei. Ma doveva sforzarsi di fare finta di nulla. Ringraziò Pietro delle informazioni che gli aveva fornito senza rispondere alla sua ultima domanda e rimise il telefono nella tasca della giacca. Fece un gran sospiro, e con tutto l’autocontrollo che potette raccogliere, entrò in cucina offrendo il suo miglior sorriso.
- “Allora Gloria, andiamo?”
I primi chilometri di viaggio furono all’insegna del silenzio. Paco vedeva con la coda dell’occhio, che di tanto in tanto Gloria lo osservava. Ma lui non lo aveva mai fatto nei suoi confronti. Troppi pensieri. Da Pietro non si aspettava notizie simili. Perché diavolo doveva mentire Gloria? Si è inventata un’amica di nome Anna, poi molto probabilmente, andava da quel delinquente a istruirlo sull’oro che gli aveva fatto rubare. Che poi adesso gli poteva fornire le informazioni che lui stesso aveva annunciato a tutta la famiglia.
- “Come siamo silenziosi stasera! Stai pensando alle tue investigazioni? O quella telefonata ti ha messo di cattivo umore?”
Gloria spezzò il silenzio nel modo più scontato. Paco avrebbe voluto sbatterle tutto in faccia, ma si trattenne. Non poteva. Non doveva. Si mantenne sul distaccato, professionale.
- “In un certo senso sì, ma non per questo caso specifico.”
Si rese conto di essere stato troppo freddo. Cercò allora di aggirare l’ostacolo.
- “Allora, parlami di te, Gloria! Raccontami della tua vita, dai!”
Da come vide sorridere Gloria, pensò di essere stato bravo nel non farle trapelare il suo disagio. Lei si sistemò meglio sul sedile, accavallando le gambe. Aveva indossato un vestitino corto che mise in mostra delle gambe bellissime. Paco le guardò e si dimenticò di tutto quello che aveva saputo da Pietro. - “Allora, cominciamo dall’inizio? O vuoi un riassunto veloce?”
Gloria lo disse ridendo, e Paco la invitò a fare di testa sua.
- “Sono nata qui, il 27 giugno del 1990 e sono figlia unica, come hai potuto constatare. Tralascio tutta la fase bambina\adolescente, che è piuttosto noiosa, anche se vissuta bene. Mi sono diplomata al liceo scientifico e dopo avrei voluto fare economia all’università. Ma dopo i primi due mesi, capii subito che non era per me. Così mi ritirai e decisi di fare qualcosa. Cercai un lavoretto e lo trovai come commessa in un negozio di intimo. Classico lavoro da ragazza ventenne! Lì durò un annetto, poi mi stancai, anche perché non ho la patente e non mi andava che i miei o i colleghi o gli amici, dovevano venirmi a prendere e lasciare. Dopo ho capito che a casa mi annoiavo troppo, così ho deciso di riprovare, ma con un altro lavoro. Il commercialista di mio padre aveva bisogno di una ragazza che gli sbrigasse qualche faccenda in ufficio, e così feci altri due anni in questo studio. Poi lasciai anche quel lavoro, perché il commercialista, un gran bel ragazzo e scapolo impenitente, aveva il vizietto di allungare le mani. E siccome mio padre si fidava e si fida tuttora di lui e gli affida tutti i suoi conti, non ho voluto mettere su un casino. Alla fine non era successo nulla. Solo qualche pacca sul sedere. Ma ho deciso di andarmene. Poi ho fatto la volontaria per nove mesi all’ospedale San Donato. Mi dividevo fra i reparti di geriatria e pediatria. Eravamo una ventina di ragazzi in tutto. Esperienza bellissima e toccante. –A Gloria le si incrinò la voce, raccontando di quell’esperienza. Si dovette fermare alcuni secondi per non piangere. - Dopo i nove mesi di volontariato, basta. E da quel giorno sono a casa. Esco con le amiche, gli amici. Vado in giro. Potrei sembrare una ragazza viziata, ma non lo sono. Se c’è da rimboccarmi le maniche lo faccio senza problemi. Poi cos’altro…!”
Paco era rimasta ad ascoltarla e ad osservarla. E di nuovo la trovò bellissima.
- “Fondamentalmente sono una ragazza semplice. Anche se un po’ di vanità bisogna averla, no? Mi piace mangiare di tutto, non ho preclusioni o preconcetti. Anche se qualcosa che mi fa male ci deve essere! A volte mi vengono certi dolori allo stomaco…! Ma poi mi passa e riprendo a mangiare. Mi piace ballare, ascoltare musica. Guardo spesso la tv a letto, anche se finisco sempre con l’addormentarmi lasciandola accesa. A volte leggo romanzi rosa. Ho avuto due fidanzati. Uno per tre anni, e l’ultimo per uno. E al momento sono single. Mi definisco in attesa di, ma senza troppo impegno. Se poi vuoi chiedere qualcosa fallo pure, perché di sicuro avrò tralasciato qualche particolare.”
Gloria era stata esauriente fino a quel punto. Paco soppesò la parte in cui si definì single. Ma non per interesse proprio, ma per capire se diceva la verità o se nascondeva una probabile relazione con Danilo Solteri. Durante il viaggio in auto, mentre ascoltava Gloria, aveva avvertito la vibrazione del cellulare. Sicuramente era Pietro che gli mandava la foto. Era curioso e non avrebbe aspettato di fermarsi. Prese il cellulare e guardò per alcuni secondi. Si, era la foto di Solteri.
Gloria lo guardava, e lui cercò di mettere il cellulare in modo da non offrirle nessuna possibilità di visione, ma lo fece con discrezione. La foto presentava un ragazzo sulla trentina. Moro, alto e muscoloso. Indossava una tuta e sopra un giubbotto, dove vi teneva le mani nelle tasche. Aveva lo sguardo arcigno, di chi è cattivo dentro. Ma era un bel ragazzo. Sarebbe potuto essere l’uomo ideale per Gloria?
- “Tutto molto interessante, Gloria. Strano che tu sia single. Voglio dire, sei una bella ragazza, intelligente, sagace, spigliata. Qual è il tuo uomo ideale?”
Gloria lo fissò mettendosi a ridere.
- “Ti stai proponendo? O stai solo tastando il terreno per vedere se hai delle chance con me?”
Lo disse continuando a ridere, ma appena Paco la guardò, lei gli fece l’occhiolino.
- “No no, è solo curiosità, figurati! Non potrei mai mettermi con la figlia del mio datore di lavoro!”
Paco le ricambiò l’occhiolino. Ma aveva giocato bene le sue carte.
- “Comunque mi piace l’uomo sportivo, sbarazzino, magari casual, ma non elegante. O meglio, elegante solo nelle occasioni giuste! Tu per esempio, sei un bel tipo. Questi capelli lunghi, questi occhi marroni, questo corpo ben messo. Si, sei proprio un bel tipo! Se non fossi pagato da mio padre, magari un pensierino lo farei!”
Gloria sorrise e anche Paco lo fece. Il quale, con noncuranza, passò da via Manzoni. Era una scusa. Ma voleva ancora tastare il terreno. Passò davanti la farmacia Salvemini e al civico 38. All’incrocio successivo c’era il semaforo rosso. E ne approfittò.
- “Ma non era lì che ti ho accompagnata ieri sera? Dalla tua amica, come si chiama? Anna?”
Fece il vago, il semi confuso.
- “Si”
La risposta telegrafica di Gloria non gli piacque.
- “Non vi vedete quindi stasera? Se vuoi ti posso lasciare qui da lei.”
- “No no, tranquillo. Ci siamo viste ieri sera. E poi oggi non c’è. E se avrei voluto vedermi con lei stasera, non ti avrei proposto di uscire, no?”
Gloria non era più sorridente, e anzi, si era irrigidita. Paco non sapeva cosa pensare.
- “Allora? Dove andiamo? Dove vuoi che ti porti?”
Gloria fece una smorfia. Di colpo era tornata simpatica e reattiva.
- “Guarda, non mi va di andare in un posto specifico. Ma ci possiamo fermare alla piazzetta di fronte la rosticceria, quella sul corso. Ci prendiamo qualcosa da mangiare e così mi parli di te. O pensavi forse che i discorsi di stasera fossero monotematici sulla mia persona?”
Fu lei a scendere dalla macchina per andare a prendere qualcosa da mangiare. Paco non aveva preferenze, dicendole che si sarebbe affidato a lei e ai suoi gusti. Nel frattempo riguardò la foto di Solteri. Sportivo, lo era. Sbarazzino?? Chissà! Sicuramente un delinquente! E a Gloria piaceva. Ma come mai? Quale ascendente aveva su quella ragazza di buona famiglia un tipo del genere? Mentre guardava la foto, Pietro gli mandò un altro messaggio. “Nessuna novità al momento dai compro oro. Anche se all’appello ne manca uno. Domani spero di avere qualche dritta. P.S. Se ti dovesse venire un raffreddore o anche un mal di testa o di denti, vai alla farmacia Salvemini e dai un’occhiata a Clelia! Voglio il tuo parere!” Paco posò sconsolato la nuca sul poggiatesta della macchina scuotendo il capo. Pensava a come arrivare a far dire a Gloria, della presunta amica Anna. Ma come, senza farla innervosire o insospettire? Già prima aveva cambiato atteggiamento per molto meno. Dall’auto poteva intravedere la sagoma di Gloria. Era ancora in fila ad aspettare il suo turno, insieme ad altri clienti, anche se sembravano un po’ sparpagliati. Sicuramente avranno il numero di prenotazione in quella rosticceria, pensò. Stava parlando con qualche cliente che era di fianco a lei, ma che lui non poteva vedere. Riprese il telefono e scrisse a Pietro. Il pensiero di Solteri lo stava opprimendo. “Hai informazioni attuali su dove si trovi Solteri? Rispondi subito per favore!” Gloria aveva detto che “Anna” non c’era. Era solo un modo di dire, o si riferiva a Solteri e che in realtà non c’era davvero? E se non c’era, dove si trovava? Stette un po’ a pensare. A riflettere. Su chi o dove potesse appoggiarsi un tipo come Solteri. Doveva saperne di più. Intanto il cellulare vibrò ancora. Pietro aveva risposto. Paco sgranò gli occhi e rimase a bocca aperta! “Si trova alla rosticceria che c’è nel corso, vicino la piazzetta con la fontana. Uno dei miei uomini lo ha pedinato e si trova lì. Ti mando una foto” La foto era fin troppo eloquente. Solteri, alla destra di Gloria, uno di fianco all’altro. E stavano parlando. Il mondo gli crollò addosso. Gloria aveva aiutato Solteri a rubare l’oro, dandogli il modo di entrare dentro casa, indicandogli le due aperture. Gli ha fornito la combinazione della cassaforte, gli ha detto di mettere qualcosa a soqquadro e che poi si sarebbero visti. E la porta del magazzino che va all’esterno? Era chiusa da dentro. Certo, pensò Paco. Gli avrà detto di lasciarla socchiusa. Ci avrebbe pensato lei a richiuderla da dentro una volta tornata a casa e messa a letto. I suoi, dal basso, non avrebbero capito che lei sarebbe scesa dalla scala di servizio per andare a chiudere la porta lasciata aperta da Solteri. Ecco perché è voluta andare in quella rosticceria. Per poterlo incontrare. Sicuramente si saranno dati appuntamento prima. Di certo Gloria lo ha fatto per Solteri. Lei non ha bisogno di soldi. È ben mantenuta dai genitori. Ma se vogliamo anche il Solteri sta bene, con due genitori impiegati. Ma è pur sempre una pecora nera. Era certo che avevano sempre litigi in casa. Ed era certo che gli limitavano al minimo i soldi. Ecco perché hanno pensato all’oro. Ma Solteri rimane pur sempre un delinquente da quattro soldi. Perché rubare tanto oro e rischiare in una maniera esagerata, quando avrebbe potuto rubare qualcosa di meno “ingombrante” e più facile da piazzare? Per piazzare quell’oro non basta entrare in un compro oro, presentarsi con un bel sorriso e chiedere dei soldi in cambio. Quello era oro sporco. E troppo pesante anche per uno come Solteri, abituato a navigare nelle paludi malavitose. Dietro ci doveva essere qualcuno più grosso di lui. Era arrivato il momento di smettere di pensare. Gloria aveva finito e stava pagando alla cassa. Paco volle rivedere ancora una volta la foto. Il sorriso di Solteri, mentre guardava Gloria, gli fece ribollire il sangue nelle vene. Gelosia? Rabbia? Delusione? Frustrazione? O tutto assieme? Si. La quinta ipotesi era giusta. Si sentiva ferito e tradito. E preso in giro da una ragazza saccente che si crede furba. Doveva riequilibrarsi. Doveva ritrovare il suo autocontrollo. Lei furba? No. Lui lo era stato di più. Lui sapeva. Lei, invece, non immaginava che lui aveva scoperto quelle cose. Autocontrollo, Paco, autocontrollo e professionalità, si ripeteva fra sé e sé. Adesso avrebbe giocato con lei. Il gatto col topo. E il topo aveva pagato e si stava avvicinando alla macchina mostrando il suo bel sorriso che a Paco non faceva più effetto.
- “Ecco qui, ti ho preso dei panzerotti pomodoro e mozzarella e dei tramezzini tostati con tonno e insalata!”
Gloria sembrava entusiasta della scelta fatta, e lo guardava sorridendo. Paco invece non riusciva a piegare all’insù le labbra nemmeno per finta. Gli era passato l’appetito. Ma Gloria non ci fece tanto caso.
- “Da bere ho preso due lattine di coca, va bene, no?”
Paco prese il suo cestino, lo aprì, e vi guardò dentro. Non era ancora riuscito a controllarsi del tutto. Aveva il cuore che gli batteva troppo forte, e dovette regolare anche la respirazione, che nel frattempo era diventata ansimante. Fece un gran sospiro. E sforzandosi non poco, prese la prima cosa che gli venne da acchiappare.
- “Si, Gloria, va bene così. Vediamo come sono queste cose.”
Accennò appena un sorriso guardandola. Lei aveva già la bocca piena e senza dire nulla, gli fece capire di sbrigarsi ad addentare quel tramezzino. Mostrava innocenza e dolcezza. Paco ogni volta si scioglieva come un ghiacciolo, quando lo guardava in quel modo. Ma quella volta la sensazione durò solo alcuni secondi. Intanto aveva perso di vista Solteri. Ma per quello non aveva paura. Ci avrebbe pensato l’uomo di Pietro. Anzi, no. Paco alzò lo sguardo, quando lo vide che si avvicinava in direzione della loro macchina. Sembrava si stesse dirigendo proprio verso di loro. Lo fissò. Diede uno sguardo veloce a Gloria che intanto si era messa a cercare qualcosa nella sua enorme borsa nera. Solteri era ormai a pochi metri. Paco continuava a fissarlo. Vide che lo sguardo di Solteri era diretto su Gloria, che non aveva ancora smesso di cercare. Paco smise di masticare. Adesso gli occhi di Solteri erano passati a Paco. Si fissarono. Finché non gli passò accanto al finestrino e passò oltre. Il tempo necessario di vederlo girare ancora una volta, attraverso lo specchietto retrovisore, che Gloria lo fece quasi sobbalzare.
- “Ma che cavolo!! Non trovo mai niente in questa borsa!!”
Lo disse quasi urlando. Paco la guardò stranito. Lei capì.
- “Scusa, e che quando non trovo ciò che cerco divento nervosa da morire!”
Paco le rispose più con una smorfia, che con un sorriso. Adesso il puzzle si stava componendo. Non solo gli aveva dato appuntamento in quella rosticceria, ma gli aveva anche detto con chi era. E gli avrà suggerito anche di passarci accanto per fargli vedere chi era lui. Per cosa? Per poi minacciarlo? O ancora peggio? Eppure, Paco, notò qualcosa in lui. Non sapeva bene cosa. Non riusciva ad individuare bene quella sensazione. Ma era come se Solteri, fosse in realtà meno acuto di quanto volesse far intendere. Come se avesse sempre bisogno di essere imbroccato su quello che deve fare. Ecco! Lei la mente e lui il braccio! Si sentiva davvero scosso. L’uomo di Pietro si sarà rimesso sulle sue tracce sicuramente. Avrebbe chiesto a Pietro di informarlo in tempo reale su ogni suo spostamento, su ogni persona che avrebbe potuto incontrare. Era giunto il momento di stringere il cerchio e di recuperare l’oro, finché erano ancora in tempo. Guardò Gloria quasi con disprezzo. Gli aveva chiesto di uscire con lui solo per tenerlo sotto controllo, per distrarlo magari. No, mia cara! Non ci saresti riuscita, pensava.
Intanto, cinque macchine dietro la loro, qualcuno stava spiando i due con un binocolo da teatro a bordo di un’auto nera. Poco dopo prese il telefono e digitò un numero. All’altro apparecchio risposero subito.
- “Sono ancora qui. Se si muovono, li seguo. Poi ti faccio sapere.”
Dopo di che posò il telefono sul sedile passeggero e aspettò.
Paco era ancora sotto choc per quello che stava succedendo quella sera. Doveva assolutamente dare a Gloria una parvenza di tranquillità. Ma prima scrisse un messaggio a Pietro, per assicurarsi che lo informasse su tutto. Poi provò a prendere le redini della discussione.
- “Vieni spesso a mangiare qui? Sembra che facciano delle cose davvero buone”
Gloria non avvertì mai il minimo imbarazzo che provava Paco. Neppure quella volta. Aveva sempre la bocca piena di qualcosa e faceva fatica a parlare. Fece segno a Paco di aspettare un attimo, il tempo di deglutire.
- “Si, ci vengo spesso, più o meno. Quando posso a dire il vero. Fanno cose buonissime! La prossima volta ti farò assaggiare le alette di pollo e i fusi! Li fanno con una salsa speciale di loro invenzione! Mhhhhhh! Una vera bontà!”
Paco la osservò. Si rese conto di amarla. E forse era per questo che provava tutte quelle brutte sensazioni ad ogni scoperta sconvolgente. Ma la sua curiosità da investigatore lo faceva volare basso, mantenendo comunque un certo distacco. Ma non sempre.
- “Anche con Anna venite qui?”
- “No, con Anna mangiamo sempre qualcosa a casa.”
Di nuovo un tono piatto, quasi senza emozioni. Sapeva camuffare bene, la ragazza. Poi fu lei a fare domande.
- “Allora. Adesso è il tuo turno. Parlami di te. Hai una famiglia? Una ragazza, moglie, compagna? Hai progetti?”
Paco aveva finito di mangiare e di bere. Si pulì per bene la bocca e prese delle gomme da masticare alla menta. Non sopportava l’idea di avere i denti sporchi, né l’alito pesante quando parlava con qualcuno. Ne offrì una a Gloria, che accettò.
- “Io sono di Milano. Sono nato nell’83. Il 18 marzo. Sono il più piccolo di quattro fratelli. Il maggiore, Fabio, è nell’esercito da una vita. Poi ci sono due sorelle, Silvia e Arianna, lavorano entrambe. Una in banca, l’altra gestisce un bar. Tutti a Milano, tranne mio fratello che si trova ad Aviano. Mi sono laureato in legge, e il mio sogno è sempre stato di fare questo mestiere. Ho scelto legge anche per questo motivo. Ho fatto tirocinio per tre anni presso una società molto nota e qualificata di investigazioni private. Poi mi sono messo in proprio. Ho un ufficio al centro di Milano. Non ho una ragazza, moglie, compagna. Ho avuto alcune storie più o meno serie. L’ultima risale a sei mesi fa. Questo lavoro mi prende a volte molto tempo, anche durante i fine settimana e a qualsiasi ora. Lei non riusciva a sopportare questi ritmi. Mi ha lasciato. Per il resto non saprei. Se vuoi chiedere qualcosa, fai pure!”
- “Quindi è stata lei a lasciarti. Ne hai sofferto? Ti manca?”
- “Si, a volte. Ma credo che doveva andare così. Punto. La vita è fatta di scelte, da una parte o dall’altra. Io ho scelto di fare questo mestiere, ti intraprendere questa vita. Lei ha deciso di non farlo. Non dico che doveva seguirmi in ciò che facevo, ma solo appoggiare la mia scelta, rispettarla, così come io avrei scelto la sua. È una poliziotta. Con turni diurni e notturni, con festività fatte a lavoro, e tanto altro. Eppure non ho battuto ciglio e non lo avrei fatto in futuro. Lei invece al primo ostacolo ha mollato. Vuol dire che non mi amava davvero, oppure voleva solo una vita più semplice. E dato che già la sua sarebbe stata complicata, avrebbe voluto che almeno la mia fosse più tranquilla, nel contesto della coppia. Io se amo una persona l’amo con tutto me stesso. L’accetto così com’è, con pregi, ma soprattutto difetti. Io di difetti ne ho a decine. Li riconosco. A volte cerco di combatterli, a volte mi lascio vincere da loro. Ma ho capito che fanno parte del mio carattere. Ma così come io accetto e accetterei i difetti della donna che amo, così vorrei che anche la donna che mi ama facesse lo stesso. Ormai non penso di provare nulla di importante per lei. Non so nemmeno se siamo più amici. A volte ci sentiamo per lavoro. Le chiedo qualche informazione. Poi saluti, convenevoli, e tutto finisce lì. Dovrò trovarla la donna giusta per me. Chissà, se esiste!”
- “E come mai questo lavoro? Ti sono mai capitati casi davvero strani, particolari, o pericolosi?
- “È una cosa che ho sempre voluto fare. Ho sempre avuto un buon istinto, un discreto intuito. Casi ne ho avuti a decine, finora. Il vostro è al momento quello più complicato. In genere mi occupo di tradimenti e di piccoli furti in famiglia. Pericoloso lo è stato una volta. Stavo lavorando sul caso di una donna adultera. Una sera ero nel mio ufficio a Milano e non so come, lei venne a sapere di me. Evidentemente il marito era stato poco attento e aveva lasciato tracce della mia esistenza da qualche parte in giro. Fatto sta che una sera, come stavo dicendo, venne a suonare nel mio ufficio. Dovetti aprire subito senza controllare chi ci fosse al di là della porta, perché non ho lo spioncino. E la voce non mi diceva nulla di che. Mi sembrava una come tante. Quando entrò mi puntò una pistola addosso chiedendomi di consegnarle i negativi delle foto che avevo scattato finora. Ricordo che avevo già prodotto tre rullini e un paio di filmati. Mi chiese da quanto tempo la stessi pedinando. Provai a bluffare e le dissi da tre giorni in tutto. Ma in realtà era già più di due settimane. Mi portò nell’archivio, dove in effetti erano i negativi, ma le dissi che si trovavano nella mia scrivania, dentro il cassetto. Perché il lavoro era ancora in corso e non avevo archiviato nulla. Ricordo che aveva gli occhi arrossati dalla rabbia e le tremavano le mani. Poteva partirle un colpo in qualsiasi momento. Mai come quella volta, ho avuto paura di morire. Era una pazza squinternata! Alla fine le diedi solo i negativi del rullino, il primo che avevo fatto, dove c’erano le foto di lei e del suo amante in luoghi all’aperto. Niente di che. Poi prese la bustina con le pellicole e scappò via. Ma nel tentativo di scappare, inciampò su una sedia e le partì un colpo che mi mancò per poco. Andò a conficcarsi in uno dei cassettoni dell’archivio. Col rinculo, la pistola le cadde dalla mano e lei scappò via di corsa.”
Gloria era rimasta a guardarlo quasi a bocca aperta.
- “E poi?? Com’è andata a finire??”
- “Beh, chiamai la polizia e poche ore dopo già stava in carcere. Il marito non ebbe più bisogno delle mie foto e dei miei servizi per chiederle il divorzio, nel senso che da quel momento in poi, dato ciò che era avvenuto, le prove del tradimento erano diventate secondarie.”
- “E con la tua famiglia, i tuoi fratelli, vai d’accordo?”
- “Si, abbastanza. Forse con Fabio abbiamo un po’ di distanza in più, in termini affettivi. Credo sia per il fatto che lui è nell’esercito e che ha il comando, l’ordine, nel DNA. Vorrebbe avere il controllo su tutto. Anche su di me, ed è per questo che a volte ci becchiamo. Ma credo lo faccia solo per senso di protezione. Con le mie sorelle siamo molto complici invece. Ci sentiamo spesso e ci vediamo ogni volta che possiamo. Mio padre è socio maggioritario di uno dei più grandi studi legali di Milano. E mia mamma, è stata direttrice di banca e ora è in pensione e si gode la casa. Mia sorella Silvia ha due figlie. Barbara e Giuditta. Anche con loro andiamo molto d’accordo. Barbara è la più piccola. Giuditta invece studia chimica all’università. Arianna non ha figli e purtroppo non può averne. Mio fratello invece non ne ha perché non ne vuole. O forse è la moglie che non vuole. Boh! Non si è mai capito. Sua moglie è norvegese. Valle a capire ste nordiche!”
Era stato un fiume in piena. Gli vennero fuori tutte quelle parole senza che quasi se ne accorgesse. È stato come stemperare tutta la tensione che aveva accumulato. Una sorta di valvola di sfogo.
Senza che Paco se lo aspettasse, Gloria si spostò velocemente a lui, gli mise la mano sulla nuca e lo avvicinò a sé, baciandolo. Quel bacio durò alcuni secondi. Poi si staccarono. Gloria stava accarezzando i suoi capelli senza che nessuno dei due dicesse una parola. Adesso anche Paco la stava accarezzando. Sul viso, fra i capelli. Si ribaciarono ancora, mentre Paco osò di più, posando la mano sulle sue gambe, fino a risalire sulle sue cosce. Paco si staccò dalla sua bocca. Avrebbe voluto dirle tutto quello che aveva scoperto, avrebbe voluto rinfacciarle tutto e dirle che era solo una ladra e che aveva rubato in casa propria. Ma quello che le riuscì a dire, fu tutt’altro.
- “Ti voglio, Gloria. Ti desidero.”
Gloria lo guardò e gli sorrise. Lo guardava fisso negli occhi. Paco vide in lei, in quegli occhi, qualcosa di diverso. Nulla di malvagio, nulla di falso. Ma qual era la verità? Paco non ci stava più capendo niente. Adesso voleva ancora baciarla.
Stettero ancora alcuni minuti fermi in quel parcheggio. Si accarezzarono, si baciarono per lungo tempo. Poi Gloria guardò l’ora.
- “Che ne dici, torniamo a casa? Non vorrei che mio padre ti dovesse togliere il caso per causa mia!”
Paco acconsentì, rispondendo al sorriso di Gloria. Durante il viaggio di ritorno, Paco avrebbe voluto chiederle di Solteri. Di come lo conoscesse. Ma non poteva dirle della foto. Non ora. E dalla distanza che c’era fra la macchina e la rosticceria, non avrebbe mai potuto vedere con chi stesse parlando realmente. E infine, non poteva certo dirle ora come mai conoscesse quel nome. Gloria stava distesa sul sedile come se fosse su un lettino da spiaggia. Sembrava serena e rilassata. Parlarono poco. Furono più sguardi, che altro. Erano giunti quasi a casa. La macchina scura li seguiva a distanza. Poi, l’autista si fermò e richiamò il numero che aveva digitato prima.
- “Stanno per arrivare a casa. Questione di minuti. Torno indietro. Fammi sapere. Ciao.”
Una volta parcheggiata l’auto di Giulia, Paco e Gloria si diedero un altro lungo bacio. Poi scesero e ridendo si avviarono verso casa. Franco e Giulia erano seduti in cucina, dove c’era un divano e di fronte la televisione. Stavano guardando una serie tv su un canale satellitare. Si girarono a salutare l’insolita coppia. Poi Franco disse a Paco di avvicinarsi al tavolo. Gli aveva preparato una piantina delle cascine e del terreno. Paco la prese e le diede un’occhiata veloce. L’avrebbe portata in camera sua e l’avrebbe studiata un po’. Salutò tutti, anche Gloria, che intanto si era seduta in mezzo ai genitori. Sembrava interessata al telefilm. Paco diede uno sguardo veloce alla scena che stavano trasmettendo. Gli è sembrato un poliziesco americano. Anche se quella scena non era ad alta tensione. Salutò nuovamente tutti e andò di sopra. La stanza era ben riscaldata. Nella stufa c’erano ancora dei tronchetti che bruciavano. Qualcuno li avrà messi poco prima che tornassero a casa. Gloria aveva avvisato la madre che stavano rincasando? Non gli era sembrato che avesse usato il cellulare. Probabilmente o Franco, o Giulia, l’avranno fatto prevedendo il loro arrivo. Gentile da parte loro, pensò. Posò la piantina sul comodino e iniziò a spogliarsi. Ma vide che la finestra del balcone era rimasta aperta. Aprì l’imposta e si sentì gelare. Faceva tanto freddo. Il cielo era coperto. Nessuna stella era visibile. Chiuse le finestre, ma prima volle dare un’occhiata fuori. Non vide nulla di strano. Nessun occhio indiscreto. Chiuse tutto per bene e finì di spogliarsi. Si infilò il pigiama, ma appena finì di infilarselo, diede un pugno sul letto. Non era andato in bagno a lavarsi i denti! E anche a fare la pipì! Mise le pantofole e uscì dalla camera per andare nell’altra stanza. Fu in quel momento che sentì bisbigliare qualcuno. Qualcuno che stava parlando al telefono. Ma non riusciva a capire, né chi fosse, né cosa dicesse. A dire il vero non capiva neppure da che parte venisse la voce. Girava la testa un po’ da un lato e un po’ dall’altro, per sintonizzare il suo udito. Si avvicinò alle scale più piano che potette. Ma la voce non veniva da lì. Anzi, si era allontanata. Allora andò dalla parte opposta. Ma dopo il primo passo, gli sembrò di non sentire più nulla. Si fermò. Trattenne il respiro. Voleva concentrare tutti i suoi sensi, sull’orecchio sinistro. Ma non sentiva più nulla. Si avvicinò fino ad arrivare alla camera di Gloria. Avvicinò l’orecchio alla porta, ma non sentiva niente. Sarà ancora al piano terra, pensò. Ma allora? Il ripostiglio. Si avvicinò di soppiatto anche lì, ma non sentì niente neppure lì. Ma ebbe come la sensazione di sentire un rumore sordo. Provò ad aprire la porta, che si aprì subito. Accese la luce. Niente. Andò però a vedere se la porta che dava nelle scale fosse aperta anche quella. Invece era chiusa. Ma la chiave non c’era. Come mai? Si girò verso la porta del corridoio e vide che la chiave era all’interno. Chiave universale, pensò ancora. Quella chiave, avrebbe aperto anche quella. Chiaro. Si guardò un po’ in giro. Poi annusò un odore, qualcosa. Non sembrava venisse da qualche cosa in particolare nel ripostiglio. Era in tutto il ripostiglio. Ebbe un brivido. Ma sogghignò. Qualcuno era stato in quella stanza. E la voce, veniva da lì dentro. Ma come aveva chiuso da fuori? Forse con la chiave nella porta che era da basso, nel magazzino. Anche quella era universale. Paco ebbe una intuizione. Posto che Gloria non c’entri nulla, anche se purtroppo faceva fatica a credere ad una cosa del genere, possibile che il ladro, o i ladri, abbiano nascosto l’oro nel ripostiglio per poi recuperarlo in seguito? Ok. Per quella sera, chiunque fosse stato lì dentro, non aveva preso nulla. Non c’era niente fuori posto. E di certo non sarebbe tornato per quella notte. Si ripromise di farlo l’indomani mattina. Avrebbe detto che aveva avuto un’ispirazione notturna. Non avrebbe detto nulla ai Marchini. In fondo non era successo nulla. E poi non voleva mettere sul chi va là Gloria. Spense la luce del ripostiglio, chiuse la porta e andò in camera sua. Finalmente a letto. Si sentiva esausto. Si era appena rimboccato le coperte, quando diede un altro pugno sul letto! Denti e pipì, accidenti!!!
Paco stava ripensando a quella giornata. A quella serata. A tutto quello che era successo. Sorrise, pensando ai baci che si erano scambiati con Gloria. Ma poi si irrigidì nervosamente, pensando che per lei, lui fosse solo una pedina da usare per il proprio conto e per quello di Danilo Solteri. Poi ripensò agli ultimissimi avvenimenti. Gloria aveva un altro complice? O era Solteri che si stava prodigando nel ripostiglio? E se invece fosse davvero innocente? Si ripromise di dare un’occhiata più attenta l’indomani mattina. E al diavolo il lavoro da operaio. Nonostante le forti e tante emozioni patite quel giorno, Paco si addormentò subito. Un paio d’ore dopo si era già svegliato. Si sentiva nervoso e appesantito da un senso di angoscia. Si alzò e prese il suo tablet dal borsone. Si mise a scrivere un rapporto. Non lo aveva ancora fatto. Segnava ogni dettaglio avuto e scoperto. Scriveva nomi e luoghi. Cercò di rileggere tutto e farsi un’idea d’insieme. La pistola fumante non c’era, ma gli indizi portavano a Gloria e a Danilo Solteri. Ogni volta che pensava a loro due, gli ribolliva il sangue nelle vene. Di colpo si ricordò di Pietro. E prese il cellulare che aveva posato sul comodino. C’erano quattro messaggi. Come mai non si era accorto prima? “Solteri è andato alla sala giochi di Via Garibaldi. Si è fermato lì, solo una mezz’ora.” – “Adesso si trova davanti la vetrina del Discount dell’elettrodomestico. È stato a guardare una grossa tv e qualche altra cosa esposta in vetrina.” – “È tornato sul corso, dopo che ha ricevuto una telefonata. Si è messo a parlare con un tizio fermo in macchina. Abbiamo preso marca, modello e targa. Scopriremo chi è.” – “Solteri è tornato a casa. A piedi. Dopo essersi fumato una sigaretta davanti al portone e guardatosi un po’ attorno, è entrato dentro. Credo che per stasera abbiamo finito. Domani ti farò sapere dell’uomo della macchina. Ciao.”
Quindi, la persona che si era introdotto in casa quella sera, non era Solteri. Un terzo complice allora esisteva. Ma chi? Quando sembrava che il cerchio stava per stringersi, ecco che si riallargava. E questo faceva innervosire Paco. Si alzò e andò in bagno. Percorrendo il corridoio, gli venne voglia di andare a trovare Gloria. Ma pensò che non sarebbe stata una buona idea. Rifletté sul fatto che non si erano scambiati il numero di telefono. Non sapeva dire se fosse stato un bene o un male. Voleva tornare nel ripostiglio. Ma a quell’ora, neanche quella gli sembrò un’idea attuabile. Tornò a letto e riprese il tablet. Rilesse i dati che aveva raccolto. C’era sicuramente qualcosa all’interno di quel quadro, che doveva fargli scattare la molla. Ma cosa? Non aveva scelta. Doveva scoprire le sue carte. Ma non prima di aver ridato un’occhiata a tutta la scena il mattino seguente. Adesso il sonno si era fatto pesante. Spense il tablet e si rimboccò le coperte, ma nello stesso momento, suonò la sveglia. Paco non ci voleva credere. Ma forse era meglio così. Era eccitato all’idea di tornare nel magazzino e investigare. Mezz’ora dopo era in cucina, in compagnia di Franco e Giulia. Presero il caffè.
- “Franco, stamattina dovrò lavorare poco e investigare di più. Molto probabilmente più tardi vi dovrò riunire per farvi un resoconto della situazione. Vi anticipo che è tutto alquanto complesso e ambiguo.”
Il tono che usò Paco, era greve. I due si guardarono quasi con preoccupazione. Paco lo percepì, ma non se la sentì di stemperare quella loro sensazione. Se quella mattina non avrebbe scoperto nulla di nuovo, avrebbe detto loro di tutto ciò che aveva scoperto. E quindi, anche di Gloria e delle sue implicazioni. Paco posò la tazzina sul tavolo e tornò su. Voleva entrare nel ripostiglio e dare un’occhiata attenta. Aprì la porta e accese la luce. C’erano scaffali in legno su entrambe le pareti laterali. Erano pieni zeppi di scatoli, casse, e bauletti. C’erano anche delle vecchie valigie. A terra non c’erano segni di polvere. Giulia puliva regolarmente. Con attenzione osservò gli scaffali. Prima uno, poi l’altro. Cercava segni che dimostravano che qualcuno di quegli oggetti fosse stato mosso la sera precedente. Sul primo scaffale niente. Sul secondo, idem. C’era comunque da controllare i ripiani superiori. Bisognava prendere la sedia che era posta al fianco dello scaffale di destra. Li controllò. E anche di sopra, nulla sembrava essere stato spostato. Scese e si mise con le spalle rivolte alla porta che dà sulle scale. Alla sua sinistra, lo scaffale con scatoli, casse e una valigia piccola. Alla sua destra, gli scatoli erano di più rispetto alle casse. E le valigie erano tre. Cambiò posizione. E si mise dalla parte opposta. Vide che alla sinistra, le valigie saltavano subito all’occhio. Le aprì. Rimase deluso, nel vedere che erano piene solo di vecchi vestiti e riviste. Controllò tutto il resto, senza che ci fosse il benché minimo indizio. Fu preso dallo sconforto, ma nulla era perduto. Prese la chiave dalla porta del corridoio e la usò per aprire quella della scala. Accese la luce e scese. Cercava delle impronte, anche se sapeva che non ne avrebbe trovate. La porta del magazzino non era chiusa a chiave, ma la stessa, era inserita all’interno! Paco ricordava bene che il giorno prima lui l’aveva vista e lasciata sul lato magazzino. Quindi, chi era salito sopra la sera prima, sapeva che doveva usare quella chiave. Ma riportandola giù, capendo che poteva essere sentito, e avendo fretta di fuggire, la mise all’interno. Ma Paco era certo che chiunque fosse stato, lo aveva fatto inavvertitamente, per la fretta. Accese le luci del magazzino. Percorse il tragitto che va fino alla porta esterna, la aprì, ma un rumore lo distolse e quasi lo fece spaventare. Era Franco che entrava dal grande ingresso di fronte i parcheggi. Aveva inciampato sulla pala usata da Paco il giorno prima. Si guardarono. Franco era serio e preoccupato. Paco tornò sui suoi passi e gli andò incontro.
- “Paco, mi vuol dire cosa sta succedendo?”
La voce di Franco era seriamente agitata. Paco non sapeva cosa dirgli in quel momento.
- “Franco, non voglio essere precipitoso in questo momento delle indagini. Ma ho scoperto delle cose. Ma ancora dell’oro, nessuna traccia. Ho una squadra che sta indagando all’esterno per seguirne le eventuali tracce. Io da qui sto cercando di mettere insieme i pezzi che vado trovando. Non è affatto facile, mi creda, ma un passo alla volta ci stiamo avvicinando. Stiamo lavorando per stringere il cerchio.” Franco sembrò un po’ più sollevato. Ma non del tutto.
- “Va bene, Paco. Mi fido di te, altrimenti non t’avrei contattato. Ma adesso vieni con me un attimo. Devo farti vedere una cosa.”
Paco strabuzzò gli occhi. Cosa doveva fargli vedere Franco di così urgente? Lo seguì incuriosito. Entrarono in casa e si diressero nel salone. Li c’era Giulia seduta su una sedia davanti la cassaforte. Aperta. Per un attimo Paco ebbe la sensazione che chiunque avesse preso l’oro, la sera prima l’avesse rimesso a posto. Ma sarebbe stato improbabile, data la presenza dei coniugi Marchini nella stanza di fronte. Adesso si trovava vicino alla cassaforte e Giulia si voltò a guardarlo. No. Non aveva più lo sguardo languido o di ammiccamento. Beh, certo. C’era il marito accanto, pensò.
- “Guardi Paco, ho trovato questo mentre stavo pulendo qui.”
Giulia porse a Paco un pezzettino di carta. Era strappato e faceva parte di un pezzetto più grande. C’era scritto qualcosa, a penna. Di sicuro un due, poi qualcos’altro. Paco lo osservò girandolo e rigirandolo spesso. Poi si rivolse ai due.
- “Sapete cosa sia?”
Fu Franco a rispondere.
- “Ad occhio, potrebbe essere parte della combinazione della cassaforte. Comincia con 27. E questo due sembra seguito dalla parte superiore del sette.”
Paco osservò il pezzettino di carta. Si. Franco aveva ragione. Quelli erano un due e un sette. Di colpo gli venne in mente la data di nascita di Gloria.
- “Qual è la combinazione della cassaforte? O meglio, qual era? Presumo e spero che l’avete già cambiata.”
Franco e Giulia si guardarono.
- “No. Non l’abbiamo ancora cambiata. Del resto al momento non c’è nulla da rubare. Ma la combinazione era 270690.”
Come pensava. La data di nascita di Gloria, apriva la cassaforte. Due genitori pensano alla cosa a loro più cara, per prenderne la data della sua nascita e usarla come combinazione. Non sapeva come prendere quella ulteriore novità. Ma tenne con sé il pezzettino di carta e tornò nel magazzino. Entrando si diresse verso il pollaio e si appoggiò al recinto. Era pensieroso. Poi il cellulare vibrò. Era Pietro. “Dunque, dell’oro nessuna traccia. Il mio informatore dice che nessuno dei tre è alle prese con simili quantità. Comunque non molliamo la presa. E stiamo in allerta. Per quanto riguarda il tipo che si era incontrato ieri sera con Solteri, si tratta di Riccardo Pulito. Ma non lasciarti ingannare. Di pulito, ha solo il nome. È uno spacciatore di droga. Libero da un paio di settimane.” Paco non era soddisfatto. Più che in uno spacciatore, sperava in un ricettatore. Comunque Solteri faceva anche uso di droga, oltre che a tutto il resto. Stava rispondendo a Pietro, quando sentì aprire la porta da dietro il magazzino. Si girò e vide entrare una ragazza molto graziosa. Indossava una tuta con felpa e cappuccio, che si tolse non appena fu dentro, mettendo in mostra una folta capigliatura castana. Non si aspettava forse la sua presenza, perché per un attimo si fermò quasi impaurita. Poi invece continuò e si fece avanti con un bel sorriso.
- “Ciao! Sono Fabiana, la cugina di Gloria. Vado su da lei, mi aspetta.”
Paco la salutò solo col cenno della testa e la scrutò mentre percorreva il tratto fino all’altra porta. Entrambe le cugine erano delle belle ragazze. Ecco comunque Fabiana. Occhi da cerbiatto, e passo atletico. Fisicamente molto più minuta di Gloria. Era pratica. Non entrava dall’ingresso principale. Del resto, anche Gloria usava quelle uscite per andare da lei. Fabiana si voltò per guardare alle sue spalle, prima di prendere le scale che portavano al piano di sopra da sua cugina Gloria. Paco non capì se si fosse girata a guardare lui. Il diverso contrasto di luce, non faceva capire bene. Di colpo gli venne in mente che aveva tralasciato il fratello di Franco. Luigi. Uscì di nuovo fuori dalla porticina, lasciandola aperta. Stavolta si incamminò verso la casa di Luigi. L’avrebbe fatto con sicurezza. Ma senza avvicinarsi troppo. Vide che la cascina era uguale a quella di Franco e Luca. Cambiava solo la posizione. Di diverso, c’era la mancanza di una tettoia per le macchine. Vide che loro le tenevano all’interno del grande magazzino. Si guardò attorno. Vide che era a distanza di sicurezza per non destare sospetti. Avrebbe voluto introdursi all’interno e vedere cosa c’era. Ma le finestre erano tutte aperte e chiunque, in qualsiasi momento, lo avrebbe potuto vedere. Tornò indietro, e cercò un altro modo. La parte di fianco della cascina non aveva nessuna apertura. Solo due finestre poste al piano di sopra. Riprese a percorrere lo spiazzo col brecciolino e andò sul lato dei cipressi. Li percorse finché arrivò in direzione dell’angolo della cascina. Poi vi si diresse e si appiattì sulla parete. Per un attimo gli sembro di essere un ladro. E mai come quella volta, sperò di non essere visto da nessuno. Girò l’angolo e si diresse, sempre costeggiando la parete, verso l’apertura del magazzino. Si guardò un po’ attorno, poi entrò. L’interno era delle stesse dimensioni di quello di Franco. Era solo diviso con qualche tramezzo in legno e non aveva galline. Era già qualcosa. Fu in quel momento che si chiese cosa diavolo era andato a fare lì dentro. Cosa doveva cercare? Ma soprattutto, dove? Ebbe paura di essere scoperto. Ma fece finta di niente e osservò un po’ l’interno. Era tutto molto più scompigliato, rispetto al magazzino di Franco. Sembrava esserci molta più confusione. Notò solo un trattore col cofano aperto e attrezzi sparsi un po’ a terra un po’ sul trattore stesso. Gli si avvicinò giusto per curiosità, che per la speranza di trovarci qualcosa. Il motore era in parte smontato. Non sembrava in buone condizioni. Era intento a capire di che guaio si trattasse, quando sentì rumore di macchina in avvicinamento e subito dopo delle voci, oltre che ad un gran abbaiare del cane. Paco si irrigidì facendosi prendere dal nervoso, perché non sapeva come uscire senza farsi vedere. Si avvicinò alla parete dove vi era agganciato il grosso portone scorrevole. Quel magazzino non era molto illuminato, e scelse la parte più esposta in modo da vedere meglio i movimenti fuori. Vedeva due uomini. Uno era di certo il fratello di Franco, l’altro era più, giovane, era un commesso. Lo aveva capito perché guidava il furgoncino con quale era venuto e sul quale era ben visibile la scritta di una ditta di autoricambi. Il fratello di Franco era più grosso di quanto si aspettasse. Ma il viso sembrava di un uomo mite, buono. Però, quando lo sentì sbraitare a telefono, non sembrava così mansueto. Il cane, un grosso pastore tedesco, si era seduto accanto al padrone e guardava il commesso, che non sembrava affatto spaventato dalla presenza ravvicinata del cane, che fra l’altro, da come scodinzolava, sembrava più incline ad un invito a giocare che ad altro. In tutto questo frangente, Paco non fece attenzione a tutto ciò che si dicevano i due. Era più attento ai movimenti per studiare nel più breve tempo possibile, una via di fuga o un nascondiglio. Capì però, che Luigi Marchini aveva un conto aperto con quella ditta e che quello sarebbe stato l’ultimo credito che gli avrebbero fatto. Ad un tratto il commesso si spostò nella parte posteriore, coperti dallo sportello aperto del furgoncino. Era questo il momento buono. Paco sgattaiolò fuori il più velocemente possibile senza prestare molta attenzione se qualcuno, dalle finestre, si potesse accorgere di lui. Arrivato nel lato della casa di Franco, emise un forte e profondo sospiro e contemporaneamente, escluse Luigi dalla lista dei sospettati. Quel sentirgli dire “portameli subito” e “al più presto”, era riferito ai pezzi di ricambio per il suo trattore. Anche se aveva dei debiti con una ditta di ricambi, lo stesso non poteva essere tanto alto da giustificare il furto dell’oro.
Paco entrò dentro il magazzino e si avviò verso la porta di servizio. Lungo quel tragitto sentì qualcosa nell’aria, ma non riusciva a capire cosa. Stava per salire per le scale, quando Franco lo chiamò. Paco tornò indietro, andandogli incontro.
- “Paco, io non sto più nella pelle. Se hai qualcosa da dirmi, fallo!”
Franco Marchini era visibilmente turbato. Sembrava quasi impaurito da ciò che Paco stava scoprendo ora dopo ora. Ma Paco capì, che la sua era una paura del tutto legittima. Perché in qualche modo, Marchini, temeva il coinvolgimento, diretto o indiretto, della sua famiglia. Ed escludendo lui, rimanevano sua moglie e sua figlia. Paco era combattuto. Ma non se la sentiva ancora di raccontare tutto. Doveva ancora mettere qualche tassello a suo posto. Ma sentiva che la soluzione non era molto lontana.
- “Franco, lei a fiducia in me?”
Marchini non rispose neppure. Lo guardò dritto negli occhi e vide in Paco uno sguardo molto determinato. Fece cenno di sì con la testa.
- “Allora mi stia a sentire. Le cose hanno bisogno di tempo. Non mi faccia fretta. Le posso solo dire che la soluzione è vicina. Ancora non abbiamo notizie dell’oro, ma paradossalmente, per me questa è una buona notizia”.
Finì la frase con un piccolo sorriso. Franco Marchini strinse le labbra e fece cenno di sì con la testa.
- “Dai Paco, vieni dentro, che mia moglie ha preparato del thè”.
Il freddo era pungente, e l’idea di un bel thè caldo, gli piacque.
Una volta in casa erano solo loro tre. Paco aveva dimenticato della cugina di Gloria che era venuta a farle visita. Un po’ era dispiaciuto. Un po’ incuriosito. Chissà se le sta raccontando di lui, della serata passata assieme…? Ma no! E per quale motivo? Magari invece le sta parlando di quel Solteri! Ecco! Di nuovo quella stupida gelosia! Basta! Pensa al thè, si ripeté un paio di volte. Stranamente non si parlava del caso. Franco e sua moglie parlavano del tempo, che se avrebbe piovuto anche quella sera, avrebbero dovuto fermarsi coi lavori nel terreno per altri giorni ancora. Paco non ne capiva un bel niente. Annuiva per educazione. L’unico rapporto che ebbe lui con la terra, fu qualche anno prima, quando comprò un geranio e lo trapiantò, e dopo solo nove giorni, esalò il suo ultimo respiro. Dopo di ciò, più niente. Il tempo in quella casa però trascorreva piacevolmente. Nonostante il furto, nonostante tutto.
Fuori era già buio. Paco si ritrovò a sentirsi molto stanco e assonnato. Si scusò coi signori Marchini e andò di sopra. Aveva bisogno di una doccia calda e di riposarsi un po’ prima di cena.
Si sentiva fresco e meno stanco di prima. Nel frattempo sentì la voce di Gloria che salutava la cugina, che come sempre, usava l’uscita secondaria. Si sdraiò a letto e riprese il tablet. Doveva aggiornare un po’ di cose e rileggere il tutto. Mentre lo stava facendo, ebbe però l’idea di fare una ricerca. Oro nazista! La ricerca portò alla luce decine di pagine dedicate. Scelse quelle la cui fonte sembrava la più attendibile. Le studiò a fondo. Lesse, controllò immagini. Si fermo a fissare il soffitto. Con l’indice della mano destra iniziò a spostare ipotetici pezzi di un puzzle. E man mano che lo faceva, Solteri diventava sempre più un puntino lontano e il suo sorriso si faceva più grande. Si alzò di scatto e col tablet buttato sul letto uscì per andare ad aprire la porta del ripostiglio. Appena aprì quella porta, il suo sorriso divenne una fragorosa risata. Si. Il caso si stava per risolvere. Mancavano ancora un paio di informazioni. Prese il cellulare e scrisse a Pietro. “Pietro, voglio avere urgentemente informazioni della famiglia Lotti, quelli del civico 38 di via Manzoni! Chiedi pure a Clelia o a chi vuoi, ma mi servono al più presto.
Per l’oro, ferma tutto. Non fare cercare più niente!”
Quella notte non avrebbe dormito. Troppa l’adrenalina in corpo. Tutto si stava ricomponendo. Scrisse tutto sul tablet, cercando di non tralasciare nulla. Doveva fare ancora una cosa però. La prova del nove. Scese da basso dal ripostiglio. Lo fece senza fare il benché minimo rumore. Non accese nemmeno le luci. Aveva la torcia del suo cellulare. Gli serviva e gli bastava. Una volta in magazzino, andò dritto tirato in una sola direzione. Si fece luce la dove gli serviva. La dove il suo istinto lo indirizzò. Vide quello che doveva. La prova del nove. Adesso, l’unico dettaglio, era aspettare notizie da Pietro. In realtà sarebbe stato solo un piccolissimo dettaglio. Poi, tutto si sarebbe chiarito e avrebbe convocato la famiglia Marchini e non solo… Paco tornò di sopra. Di colpo tutta l’adrenalina sparì e si sentì sfinito. Si buttò a letto e in meno di un niente dormiva.
Quella mattina si svegliò di buonumore. Scese giù fischiettando un motivetto inventato al momento. Ad ogni scalino che scendeva, sembrava facesse un passo di danza diverso. Entrò in cucina e salutò i coniugi con un bel sorriso. I due lo fissarono meravigliati. Lui lo capì.
- “Entro stasera vi chiamerò tutti e vi dirò del caso”.
Lo disse come se fosse una cosa normale e il suo sorriso ormai sempre in viso, lasciava presagire qualcosa di positivo. Fu Giulia però a parlare per prima.
- “Cioè? Vuol dire che ha scoperto chi ha rubato l’oro? E anche dove si trova? E se c’è ancora?”
Giulia lo guardava con occhi che chiedevano conferma alle sue domande. Paco la guardò e accennando con la testa, le rispose con un semplice sì.
Giulia si sedette e tese la mano al marito che gliela strinse amorevolmente. Si guardarono per parecchi secondi, poi lei chiuse gli occhi e le sgorgò una lacrima. Di felicità, pensò Paco. O di sollievo.
- “Però non chiedetemi nulla fino a stasera. Aspetto ancora una risposta. E non sono sicuro di stare qui ad attenderla. Franco, stamattina vado in città a “prendermi” la risposta che aspetto. Ormai non ha più senso la mia copertura. Quello che dovevo scoprire l’ho scoperto. Dovrebbe solo stare attento affinché nessuno entri nel magazzino fino al mio ritorno”.
I due annuirono sorridendogli. Paco tornò di sopra, prese il cellulare e il tablet e uscì fuori a prendere la Giulietta.
Girovagò un po’ a caso, nell’attesa che i minuti passassero e desse a Pietro il tempo di svegliarsi e leggere il messaggio che gli aveva mandato quella notte. Ripensò a tutto. Si sentì orgoglioso di se stesso. Ma anche un po’ stupido per altre cose. Ma quella sera doveva sviscerare tutto, volente o nolente. Si fermò a comprare il giornale e poi a bere un caffè. Guardava l’orologio ogni cinque minuti, sperando che ne fossero passati cinquanta. Dopo un po’ gli arrivò un messaggio. Era Pietro. Gli dava conferma che fra non molto si sarebbe rimesso in moto. Paco gli rispose subito che già si trovava davanti la farmacia che aveva aperto da due minuti. Lo avrebbe aspettato lì.
Clelia fu molto precisa nel dettagliare la situazione dei signori Lotti. Paco ascoltò il giusto. Il resto erano dettagli che ormai gli servivano a poco se non a Pietro per poter continuare a parlare con lei. Si, aveva ragione. Clelia era una bella donna. Ma anche Tina lo era, pensò. Vallo a capire cosa passava per la testa di Pietro.
Quindici minuti dopo uscirono dalla farmacia e attraversarono la strada per prendere un caffè nel bar di fronte. Per Pietro sarebbe stato il primo, per Paco, già il terzo.
- “Paco, allora…?”
Pietro lo guardava sorseggiando il caffè. Aspettava le risposte che voleva sentire. Stettero un paio d’ore seduti al tavolino. Nel frattempo i caffè si sommavano ai precedenti. Gli raccontò tutto, dalla prima all’ultima scoperta. Pietro lo guardò con ammirazione. Era molto più grande di Paco e lo considerava quasi un figlio. Si sentiva orgoglioso di far parte del suo staff, specie quando risolveva i casi. E questo, non era il solito caso. Anzi.
Alla fine i due si salutarono. Paco gli raccomandò di passare da lui la settimana successiva per riscuotere il suo onorario, dopo di che si diressero in direzioni opposte.
Il ritorno nella cascina Marchini fu lento e rilassato. Si ricordò solo di avvisare Gloria di una cosa importantissima. Forse la più importante. Sperò solo di trovarla a casa al suo ritorno. Ma non sarebbe stato un problema. Nemmeno il tempo di finire quel pensiero, che gli vibrò il cellulare. “Ehi, che fine hai fatto? I miei mi hanno detto che hai risolto il caso! Non posso avere anticipazioni? ;) Gloria”
Paco sorrise. Gloria si era fatta dare il numero da suo padre. Non poteva essere altrimenti. Ne approfittò subito per chiederle di fare quella cosa importante e di attendere fino alle sette per conoscere tutti i dettagli.
A pranzo, Paco non scese dai Marchini. Si fermò nella sua camera. Doveva riordinare tutti i pezzi e metterli nel posto giusto. Voleva tutto il tempo. Non voleva arrivare impreparato quella sera. L’appuntamento sarebbe stato per le sette. Tutta la famiglia Marchini era ancora al piano terra. Sentiva parlare Gloria con sua madre e Franco che ogni tanto interveniva. Paco doveva scendere di sotto nel magazzino. Appena fu giù, vide che il portone principale era sbarrato. Aveva detto a Franco che non doveva far entrare nessuno. Sperò che nessuno avesse usato la porticina opposta. No. Nessuno vi era entrato. Quindici minuti dopo, fu di nuovo nella sua camera, stando però attento che nessuno si accorgesse di lui.
Alle sette in punto si trovarono tutti e quattro nel salone. Mancava ancora una persona però.
- “Gloria, hai avvisato quella persona…?”
Paco glielo chiese guardandola fissa negli occhi. Ormai non aveva più nessun timore a farlo.
Gloria annuì, guardando il suo orologio. Mentre i suoi genitori chiesero di chi si trattasse. Gloria guardò Paco, aspettando che fosse lui a rispondere. Ma fece cadere li la domanda, e allora Gloria capì che non doveva dire nulla. Un paio di minuti si sentirono dei rumori dal piano di sopra. Tutti si girarono in direzione delle scale. In pochi secondi arrivò Fabiana, la cugina di Gloria.
- “Ciao a tutti.”
Lo disse con la voce un po’ spezzata. Come quando ti aspetta un esame importante ma sai di non essere preparato a sufficienza.
- “Che ci faccio qui?” Lo disse guardando tutti, ma soprattutto Paco. Lo aveva conosciuto per caso, nel magazzino, era un operaio. E adesso aveva tutta l’aria di chi doveva fare una conferenza. E in effetti era un po’ così. Anche Franco e Giulia rimasero senza parole. Tant’è che salutarono la nipote con un filo di voce.
Paco si schiarì la sua, di voce. Poi esordì.
- “Bene. Siamo tutti. È giusto che mi presenti alla signorina Fabiana. Mi chiamo Paco Caliente, e sono un investigatore privato assunto da suo zio Franco”.
Si presentò con un leggero sorriso. Che non voleva essere, né beffardo, né sadico. Di contro, Fabiana, sgranò gli occhi e con un sibilo di voce, pronunciò solo un: “investigatore privato…!” Poi Paco continuò.
- “Adesso vi esporrò tutti i fatti. Vi prego solo di non interrompermi. Se avrete delle domande, le farete alla fine”. Prese il tablet in mano e posò delicatamente un pesante zaino a terra.
- “Allora… sono stato ingaggiato da lei, signor Franco, perché siete stati vittime di un furto. Due lingotti d’oro del peso complessivo di circa venticinque chilogrammi. Quando venni a fare il sopralluogo, capii subito che c’era qualcosa che non quadrava. Soprattutto perché non vi era stata nessuna effrazione. Quindi le ipotesi erano due. O il colpevole doveva essere per forza uno di voi tre, o una quarta persona doveva conoscere il modo di entrare senza essere vista e in più doveva conoscere la combinazione della cassaforte!”
Paco guardò volutamente Fabiana, che invece aveva lo sguardo fisso a terra e sembrava innervosita.
- “Sarò sincero. Devo esserlo per forza. E mi scuso per le cose che vi dirò. Ma era necessario. La prima persona di cui dubitai, fu Gloria!”
Paco la guardò. E lei lo ricambiò sgranando gli occhi, incredula. Stava per dire qualcosa, ma Paco la stoppò con la mano.
_” Fammi dire, Gloria. Per deformazione professionale, tendo a seguire un mio istinto. Quella storia dell’amica Anna, non mi convinceva. Tanto che ho chiesto ai miei collaboratori, di scoprire chi ci abitasse in quella casa e di scoprire quanto più possibile. Scoprii due cose che contrastavano nettamente con la teoria di Anna. Primo, che non vi abitava nessuna Anna e secondo, che invece vi abitava e vi abita un delinquentucolo, un certo Solteri. In quel momento feci due più due. Pensai che fosse stata Gloria ad escogitare il furto e usare Solteri per metterlo in atto. Ma nonostante tutto, non capivo il perché. Gloria viveva in una buona famiglia, non le mancava nulla. Perché un furto del genere? La cosa che man mano scoprii, fu il fatto che in realtà, dalla porticina del magazzino, poteva entrare chiunque. Ma non fu un “chiunque” ad entrare. Ma ci arriveremo. Ricordi la sera che uscimmo, Gloria?” Non aspettò neppure la risposta. Andò avanti col resoconto. “Anche quella sera i miei collaboratori tenevano d’occhio Solteri. E proprio per pura coincidenza, vi siete incontrati in quella rosticceria. Mi furono mandate delle foto dove si evinceva che voi due stavate parlando. Lì i miei dubbi sulla tua innocenza vacillarono e parecchio (tralasciò il fatto che tutto fu condito da una fortissima dose di gelosia). Tornando a casa, andai a curiosare nel ripostiglio che collega la scala al piano di sotto. Non avevo un motivo particolare per farlo. Ma sempre il mio istinto mi portò in quella direzione. Già ero stato in quel ripostiglio facendo il tragitto inverso, ma quella sera, notai qualcosa di particolare. Un odore, una fragranza… qualcosa! Li per li non ci feci caso”. Poi si rivolse a Franco.
- “Franco, lei mi chiamò per un timore. Che quei lingotti potessero venire alla luce se avesse chiamato la polizia o i carabinieri. E la paura di scoprire che eravate in possesso di oro marchiato con le svastiche naziste, vi ha convinti a contattare me. Beh. Posso tranquillizzarvi di una cosa. Quell’oro, non è nazista. Ho fatto alcune ricerche. Ebbene, di tutto il famoso oro marchiato con le svastiche, neanche un grammo è finito in mani sbagliate. Nessun lingotto perso. Nessuno. L’oro che avete voi, è oro “pulito”. Ma anche qui ci arriveremo fra poco”. Poi si rivolse a Fabiana.
- “Fabiana, il pomeriggio in cui ti sei quasi impaurita vedendomi dentro il magazzino di tuo zio, ho notato lo stesso odore che avevo sentito la sera precedente nel ripostiglio. E ripensando a quel frangente, ricordo che prima di aprire la porta e salire su, ti sei voltata a guardare nella direzione da cui sei venuta. Ad un primo momento avevo pensato che ti eri girata a guardare me, ma poi ho riflettuto. E ho capito che stavi guardando nella direzione dove avevi nascosto i due lingotti!” Fabiana era diventata paonazza mentre sudava e ansimava. Contemporaneamente Franco si alzò di scatto dalla sedia urlando:” Cosa??”. Mentre Giulia e Gloria rimasero letteralmente a bocca aperta. Paco placcò subito Franco, anche se in verità non si era mosso di un passo una volta scattato in piedi. Era più incredulo che furioso. Anche Gloria, poi, si girò verso la cugina con gli occhi sgranati e sconvolti, farfugliando qualcosa che Paco non riuscì a comprendere. Di contro si rivolse a Fabiana con voce rassicurante.
- “Stai tranquilla Fabiana. Non ti succederà nulla.”
Paco si abbassò e prese lo zaino da terra. Lo poggiò sulla sedia e lo apri. Ne tirò fuori, prima un lingotto. Poi l’altro, posandoli sul tavolinetto al centro del salone. - “I lingotti non hanno mai lasciato la vostra casa. Erano nascosti in uno dei due fustoni neri con l’acqua. Il colore scuro dei fustoni, rendeva impossibile vedere cosa ci fosse nel fondo. Tranne se non si ha una torcia e si sa cosa cercare. La prima volta che vidi quei fustoni, provai a spostarli. Uno era pieno. L’altro sembrava quasi vuoto, dal sentire l’acqua sbattere fra le pareti, eppure sembrava più pesante del dovuto. Ci feci caso dopo. Quando iniziai a ricomporre i pezzi. La sera che uscimmo, io e Gloria, tu eri di sopra nel ripostiglio, vero Fabiana?”
La ragazza piangeva. Con la manica della giacca che indossava si asciugò le lacrime. Poi rispose con voce singhiozzante.
- “Si. Sapevo che sareste usciti. Gloria mi aveva parlato che aveva conosciuto uno degli operai del padre e che gli era simpatico”. A quell’affermazione, Paco non potette evitare di mostrare un leggero sorriso. Ma nessuno se ne accorse, tanto erano attenti ad ascoltare Fabiana. “Così ho detto ad un mio amico di tenervi d’occhio, così da avere tutto il tempo per salire di sopra ed escogitare un piano. In verità non sapevo nemmeno di che piano potessi avere bisogno. A quel punto ero solo confusa e impaurita. Volevo rimettere a posto i lingotti, ma non potevo, dato che gli zii erano in casa. Volevo poi portarli nel ripostiglio, ma avevo paura di fare troppo rumore col rischio di farmi scoprire. Poi, quando il mio amico mi ha avvisato che stavate tornando a casa, sono scesa giù rientrando a casa mia”.
Poi si rivolse agli zii con un tono di chi implora di evitargli la pena di morte.
- “Vi prego, perdonatemi!! In realtà non avevo alcuna intenzione di rubarli! E una volta presi non sapevo più come agire, vi prego! Perdonatemi!”
Lo zio Franco colse la sincerità nella voce rotta dal pianto della ragazza, si alzò, si avvicino a lei, e inginocchiandosi le prese le mani. Poi le chiese: “Fabiana, perché lo hai fatto? Lo sai che hai commesso qualcosa di molto grave?”
Fabiana non ebbe il tempo di rispondere. Lo fece Paco al posto suo.
- “Franco, credo lo abbia fatto perché nelle sue intenzioni voleva aiutare suo padre. Suo fratello Luigi, credo stia attraversando un periodo di crisi economica. Ieri ho visto che aveva delle difficoltà per farsi consegnare dei pezzi di ricambio per il suo trattore, perché li voleva a credito. E da quello che ho capito, non era la prima volta. Dico bene, Fabiana?”
Fabiana e tutti gli altri lo avevano ascoltato attentamente. E la ragazza annuì, e scoppiando di nuovo a piangere, cerco di spiegare la loro situazione.
- “Il trattore è solo uno dei problemi. Non è nemmeno andato dal meccanico per farlo aggiustare. Ha voluto fare tutto lui, proprio perché altrimenti sarebbe stato costretto a pagare anche lui e non poteva permetterselo. Siamo messi male da alcuni mesi. Lui dice che non dobbiamo preoccuparci, perché parlando anche con mia mamma, ci hanno detto che hanno dei fondi, ma sono vincolati e che fino ad un tot di tempo non possono farne uso. Ma ci sono. Hanno chiesto alla banca un ulteriore fido proprio dando a garanzia quei fondi. Ma non so perché la banca temporeggia”.
Franco le prese il viso, costringendola a guardarlo in faccia. Intanto Giulia si era avvicinata sedendosi accanto a Gloria.
- “Fabiana, perché non me ne avete parlato? Perché non venivi da me?”
- “Zio. Tu conosci tuo fratello. È orgoglioso. E piuttosto che arrendersi di fronte alle evidenze, è pronto a giocarsi fino alla sua ultima carta disponibile prima di chiedere aiuto a qualcuno”.
Poi Paco le volle chiedere una cosa.
- “Fabiana, solo una cosa non mi torna. Come hai fatto ad aprire la cassaforte?”
- “Settimane prima, dicevo a Gloria che anche noi avremmo voluto farci una cassaforte. Non era vero. Ma usavo quello stratagemma per vedere se potevo arrivare a conoscere la combinazione. Le chiedevo informazioni. Fino a farmi dire se la combinazione doveva essere per forza complicata o bastava anche qualcosa di semplice. Gloria, ingenuamente, mi disse che la loro era di sei cifre e che gli zii avevano scelto la sua data di nascita come combinazione. Quando venni ad aprirla mi ero scritta la combinazione su un pezzettino di carta che poi strappai e me misi in tasca”. Si rivolse verso la cugina. Gloria aveva un’espressione, a metà fra la delusione e la comprensione.
- “Potrai mai perdonarmi, Gloria? Io ti voglio bene!”
Gloria si fece spazio e abbracciò la cugina sussurrandole qualcosa all’orecchio.
- “Signori, adesso possiamo occuparci dell’oro?” Di colpo tutti prestarono attenzione su Paco. - “Franco, sono questi i lingotti mancanti, giusto?”
Franco li prese in mano e sorridendo annuì.
- “Franco, adesso le faccio vedere una cosa”.
Paco prese il tablet, schiacciò un paio di icone e col dito fece scorrere alcune immagini. Poi le mostrò a Franco che ancora teneva un lingotto fra le braccia.
- “Nota delle differenze fra i due lingotti?”
Franco diede una rapida occhiata, poi, con occhi meravigliati, rispose affermativamente.
- “Vede Franco, quello che ha in mano è un lingotto “pulito”, perché non hanno nulla a che vedere con i fantomatici lingotti nazisti. Vede le svastiche nelle foto? E vede quelle fatte su questi lingotti?”
Franco continuava a dire sì con la testa e i suoi sorrisi erano la prova che si stava rassicurando.
- “Quelle che dovrebbero essere svastiche, sono in realtà intagli posticci. Fatti con un coltellino, o un punteruolo. Con qualcosa di appuntito o tagliente. E se confronta il lingotto che ha in braccio con l’altro sul tavolino, noterà che gli intagli non sono nemmeno uguali! Qualcuno ha voluto far credere che fosse oro nazista. Non so chi, non so perché… ma sta di fatto, che non è affatto oro macchiato di sangue!”
Franco si voltò a guardare sua moglie e sua figlia. Erano tutti sorridenti e sollevati. Fabiana non aveva ancora il coraggio di tenere gli occhi alzati. Franco volle riprendere la parola, alla luce di quei fatti inaspettati.
- “Paco, ti ringrazio di tutto! Non pensavo ad una soluzione che è a dir poco sconvolgente. Anche perché tutto era sotto i nostri occhi. Domani mattina dirò ai miei fratelli di incontrarci e di parlare di quest’oro.” Si girò verso Fabiana. “Non dirò nulla del tentativo di furto. Dirò che ho chiamato un esperto per far vedere i lingotti, il quale mi ha rassicurato sulla legittimità della sua provenienza e che potevano essere venduti senza problemi”.
Tutti si alzarono e fu un gran brusio. Fabiana si alzò di scatto andando ad abbracciare lo zio. Gloria si avvicinò a Paco e con uno sguardo che non riuscì a tradurre si sentì dire: “Bravo Paco Caliente! Domani sera mi porterai a cena e mi spieghi un paio di cosette, chiaro?”
Gli occhi di Gloria non presagivano nulla di buono, ma prima di allontanarsi da Paco, gli fece l’occhiolino inarcando l’angolo destro delle labbra. Paco ne fu rassicurato. Del resto, era normale che volesse spiegazioni sui suoi dubbi.
Le ventiquattro ore successive, passarono velocemente. Paco si era ripreso la sua roba e aveva lasciato l’accogliente camera della cascina Marchini. Aveva appuntamento con Gloria e non vedeva l’ora di vederla ancora. Intanto aveva da incassare l’assegno che gli ha dato Franco Marchini. Si trovava in banca con Pietro. Ancora stavano parlando del caso risolto. Ma Pietro, ogni volta, portava il discorso su Clelia. Paco non capiva se fosse cotto, infatuato o solamente attratto.
Quella sera Paco si vestì più elegante che potette. Solo una cosa non gli era chiara. Sarebbero usciti con la Giulietta o con la macchina della signora Giulia? Poi pensò al finestrino ancora rotto. Strinse i denti e capì da solo. Ma si ripromise di aggiustarlo, quel finestrino. Percorse la strada fino alla cascina fischiettando motivetti a caso. Era felice. O forse sereno. Aveva risolto un altro caso che gli aveva fruttato una buona parcella. Avrebbe portato Gloria nel miglior posto della città. Niente rosticcerie o cose del genere! Si chiese come sarebbe stata vestita Gloria per l’occasione. Ma mancava poco per scoprirlo. Paco entrò attraverso il cancello, parcheggiò la macchina dove l’aveva messa fino al giorno prima e si avviò verso casa Marchini. Ad accoglierlo fu Giulia. Una Giulia diversa. Raggiante. Adesso sembrava molto più bella. Ma a Paco non vennero idee strane. Sorrise, pensando a quanto fosse stato sciocco a credere in una reciproca attrazione con la mamma di Gloria. Franco non c’era. Era da Luigi insieme a Luca. Questo le disse Giulia. Ma Paco non volle nemmeno sapere il perché. Del resto, non sarebbero più stati fatti suoi. Si limitò solo a chiedere come stessero. La risposta sorridente di Giulia, lo rinfrancò. Poco dopo si sentì Gloria urlare dal piano di sopra.
- “Due minuti e scendo!!”
Mai, prima di allora, una donna fu così puntuale. Forse non erano nemmeno passati due minuti, e Gloria scese giù. Paco la guardò e ne rimase ammaliato. Molto più di tutte le altre volte. Molto più di tutte le altre volte messe assieme. Gloria era elegantissima. Indossava un vestito lungo a fantasia floreale, scarpe a décolleté nere, e una borsa marcata Chanel anch’essa nera. I capelli li aveva raccolti. Stonava completamente con l’immagine della prima Gloria che aveva conosciuto. Ma in entrambi i casi, per lui rimaneva bellissima. Si avviarono verso la città. Paco era ammutolito. Gloria invece era, come sempre, più sfacciata.
- “Allora? Non hai niente da dirmi?” gli chiese girandosi a guardarlo.
Paco capì di essere diventato rosso, ma grazie al buio e alla pochissima illuminazione all’interno dell’abitacolo, Gloria non se ne sarebbe accorta. Poi, dopo aver deglutito leggermente, si girò verso di lei e le rispose.
- “Che devo dirti… sei bellissima!”
Gloria fece una smorfia e gli diede un colpetto sul braccio.
- “Non mi riferivo a quello, sciocco! Ma a quello che è successo ieri sera!”
Paco si sentì davvero uno sciocco, ma al contempo era soddisfatto perché le ha detto ciò che pensava. Poi riprese.
- “Cosa devo aggiungere? Hai sentito bene ieri sera. È una deformazione professionale dubitare di chiunque. Anche di chi non vorresti.”
Gloria guardava dritto la strada.
- “Vuoi dire che non avresti voluto dubitare di me ma ti ci sei visto costretto?” - “Si, è così.”
- “Perché ieri sera, una volta preso il discorso di Anna lo hai poi lasciato perdere?
Perché non sei andato avanti?”
La discussione era molto seria, ma per niente tesa.
- “Perché alla fine risultava inutile ai fini delle indagini. E mi bastava sapere ciò che avevo scoperto.”
- “E dimmi… cosa avevi scoperto?”
- “Che Anna in realtà è la signora Iolanda Lotti. Ma non sono riuscito a mettere insieme questi pezzi… ragguagliami tu.”
- “Si, hai ragione. Anna è Iolanda Lotti. La prima volta che la conobbi fu quando prestai servizio al San Donato, in geriatria. Lei era ricoverata e a badare per lei c’era solo il marito. Già allora dava segni di demenza senile. Ma col tempo è peggiorata. Dopo che fu dimessa la andavo a trovare spesso. E ogni volta che la vedevo le trovavo un piccolo peggioramento rispetto alla volta precedente. Ormai l’Alzheimer aveva preso possesso di lei. Fino a che, Iolanda non esistette più. Quando la chiamavo Iolanda, lei si girava verso di me e sorridendo mi diceva che il suo nome era Anna, non Iolanda. Aveva invertito il nome con quello di una sorella defunta, che per lei invece era Iolanda. Da allora anche per me era diventata Anna e io per lei ero sua figlia. Figlia che non ha mai avuto. Spesso mi diceva che la mia stanza era pronta per la notte. E quando lei “decideva” che dovevo dormire li, dovevo farlo. Altrimenti sarebbe stata irrequieta per tutto il tempo. Suo marito è anziano e anche lui non gode di ottima salute. Se dovesse fare tutto da solo, non ci riuscirebbe. Per questo a volte vado da loro e dormo là. Anna è una persona adorabile, pur nella malattia. Mi siedo di fronte a lei, che mi prende la mano e inizia a raccontarmi di quando era piccola, ragazza, di tutto quello che faceva. Non so se sono cose vere o frutto della sua fantasia. Suo marito non può conoscere particolari dell’infanzia di sua moglie. A volte lo sento piangere nell’altra stanza, quando le sente dire, a volte, che è ancora signorina e che non ha ancora trovato l’uomo giusto per lei. Sai… è tenera quando racconta queste cose. Viene fuori un’innocenza incosciente. Gianfranco ne soffre molto. Ma sa che non è colpa sua, ma della malattia. Ma almeno su questo, uno dei due rimane lucido.”
Gloria parlò come se dovesse togliersi un peso. Ma in realtà era tutta emozione. Anche Paco si emozionò ascoltando il racconto.
- “E Solteri lo conoscevi per questo motivo. Perché ogni tanto vi incontravate.”
- “Si. Era normale dopo tutto. Ma se la cosa ti può tranquillizzare, non ho mai avuto simpatie per lui. Anzi. Ho sempre capito che era un poco di buono e me ne stavo alla larga. Forse lui aveva delle attenzioni nei miei confronti. Ma ad onor del vero, non si è mai spinto oltre. Buon per lui.”
Paco si sentì rallegrato nel suo intimo. Se quella non era una dichiarazione d’amore nei suoi confronti, poco ci mancava.
- “Paco, sai? Una cosa mi lascia un dubbio…”
Lasciò la frase in sospeso girandosi verso di lui che si girò a sua volta.
- “Cosa, dimmi!”
- “La sera che Fabiana prese l’oro, io tornai da casa sua e sono più che sicura di aver chiuso la porticina dietro di me. Sono certa al cento per cento, che la porta era chiusa dall’interno. Possibile che sia passata dal portone?”
La domanda di Gloria era più che legittima. Ma Paco le spiegò come erano andate le cose.
- “No, Gloria. Troppo il rischio di farsi vedere di tuoi zii che hanno la cascina di fronte. Forse non ci hai mai fatto caso, ma dove c’è la serratura della porticina, in basso, ho visto che c’è un piccolo foro. Quando feci il primo sopralluogo all’esterno, notai a terra dei pezzetti di fil di ferro rigidi, piegati. Poi capii a cosa servissero. In pratica, tua cugina, trovando la porticina chiusa, prese quei pezzetti di fil di ferro e piegandoli ne ricavò degli uncini, che infilando all’interno del foro, li poté utilizzare per agganciare la maniglia e aprire dall’esterno.”
Gloria lo ascoltò pendendo dalle sue labbra. Lei non si era mai accorta di nulla. Ecco perché uno diventa investigatore, si disse fra sé e sé. Era incredibile tutto questo.
- “Sai un’altra cosa, Paco? Mio padre ha riunito i fratelli e hanno discusso dell’oro. All’inizio, avevano deciso di venderlo e dividerne il ricavato in tre parti uguali. Ma poi, mio padre e lo io Luca, hanno deciso di fare diversamente. Dato che loro due non hanno molti problemi economici, hanno deciso di dividersi l’incasso di un lingotto e di donare l’altro per intero a zio Luigi!”
Paco sorrise e si sentì sollevato da quella notizia. Era davvero una bella notizia.
- “Stamattina, poi, Fabiana mi ha riportato le poche cose che aveva preso per inscenare il furto. Davvero poche cose e di nessun valore. Mi ha fatto tanta tenerezza!”
I due erano arrivati al ristorante. Nel parcheggio, un simpatico signore faceva cenno a Paco dove mettere l’auto. Scesero e si raccomandarono per l’auto col signore di origini esotiche, ma sempre sorridente. Avviandosi verso l’entrata, Gloria si aggrappò al braccio destro di Paco, posando la sua testa sulla sua spalla.
- “Allora, investigatore… mi vuoi spiegare da dove spunta fuori questo nome assurdo?? Paco Caliente??”
Erano già entrati nel ristorante, ma si misero a ridere fragorosamente. Poi, lui iniziò: “Devi sapere, che il mio bisnonno, non si chiamava affatto Caliente…”, cominciò a spiegarle, mentre la faceva accomodare di fronte a sé, pregustando quella serata, che sarebbe stata la più belle degli ultimi anni.
Giuseppe
pubblicato il 06.01.2020 [Giallo/Thriller]