Registrati | Accedi

Autori

Ricerca

Autore:

Titolo:

Genere:


Uno scritto a caso

Cari fanatici
[recensione] libro sottile ma non facile
Edith
04.02.2019

Due stanze ed un bagno

microscopici

Ho pianto due giorni e due notti, questo l'ho so. L'ho sofferto come una nascita dolorosa, non voluta. Chiusa nel mio due camere ed un bagno, più un loculo che un vero cesso, non sono riuscita ad arginare quell'inondazione di cocenti sentimenti. Un cocktail micidiale di depressione, ansia, angoscia, disperazione, frustrazione, rabbia, senso di privazione e di profonda solitudine. Ho torturato il mio animo con le flagellazioni morali, ho indossato il cilicio della paura, privato le mie membra di sostentamento, privato il mio essere di ogni illusorio conforto umano. Telefono staccato, cellulare spento, musica deprimente allo stereo, porta sprangata ed avvolgibili abbassati. Non un raggio di luce ha macchiato i miei pavimenti. Non una percezione del tempo fuori mi ha distolto dal mio uragano interno. Qualsiasi cosa il mondo abbia combinato la mia cronaca era incernierata sul mio assordante psicodramma. Solo al finire della seconda giornata ho percepito un debole bussare alle porta d'ingresso, sicuramente mia madre.

Povera donna! A lei devo il minuscolo spazio in cui mi muovo, a lei devo il potermi appartare in questo ridotto, personale, inespugnabile spazio di dolore. E' lei che mi ha accolto qui rinunciando al vantaggio che l'affitto delle due stanze più bagno, con aspirazioni velleitarie ad essere chiamato appartamento, offrivano alla sua misera pensione. Non ci ha pensato due volte quando mi sono presentata, come si suol dire con una mano davanti ed una dietro, reduce da un fallimento coniugale. Senza soldi, senza lavoro, senza lacrime né speranze. Un vero schifo umano, uno di quei tanti casi pietosi che invadono le televisioni. Gonfia di pianto e di botte, senza dignità né orgoglio. Buttata fuori di casa da un rimpiazzo. Magra consolazione sapere già che fine farà chi ha preso il mio posto. Così quella madre, che ora ho respinto, ha rinunciato al suo esistere per soccorrere e lenire le pene di una poco saggia discendente. Dopo avere amorevolmente fornito il materiale morale e fisico per la mia ricostruzione, si vede lasciata fuori nell'angoscia di non sapere fino a che punto questa volta si spingerà l'ingrata figlia con la sua ondata di devastante autocommiserazione.

Si sa i figli sono ingrati ed egoisti, e nessuna compassione attenua la rabbia nel mio urlo in risposta al debole bussare: "Voglio solo essere lasciata in paceeeee". Nell'immaginarla allontanarsi con la testa bassa ed il cuore in ansia mi sentivo invadere ancora di più dalla rabbia e dalla disperazione.

Quando stai immensamente male tutti gli altri ti sembrano immensamente sereni e ti infastidiscono immensamente. Ti senti in colpa per la preoccupazione che infliggi ai tuoi cari e paradossalmente senti che loro ti caricano anche di quell'ulteriore fardello. Qualsiasi comportamenti gli altri abbiano accentua il tuo disagio e il tuo dolore. Vorresti annientare tutto come se la causa venisse dall'esterno.

In quel preciso momento ho odiato mia madre e le ho attribuito tutte le colpe del mio esistere, non foss'altro che mi ha generato dando il via a quella orribile giostra. Accasciata sul pavimento le lanciavo improperi con una bocca impastata di pianto, biscicante al pari di un ubriaco. Ero ebra di dolore, livida di rabbia e sbavavo di disperazione. Tutto questo nel buio appena stemperato dalla fiammella dell'ultimo moccolo rimastomi. Non riuscivo a sopportare il dono di Edison troppo intenso per le mie pupille sprofondate fra le gonfie palpebre.

E proprio in quella melodrammatica posizione ho avuta la prima inquietante percezione di una piccola ma veloce ombra. Sto zitta. Ferma, ferma. Un fruscio alla mia sinistra. Uhmmm.
Ho gli occhi troppo stanchi, sono così gonfi che sembro un pesce abissale. Ne percepisco l'abnorme lievitazione solo al tatto, figuriamoci se avessi il coraggio di guardarmi allo specchio! Ecco ancora il fruscio e di nuovo l'ombra. Ah ci sei, bastardo! Sono sicura che un qualche insetto è venuto ad infrangere il mio isolamento. Che sia un inviato di quel demonio di mia madre?

Mi sollevo immediatamente dal pavimento, ci manca solo di sentire le zampette di qualche essere schifoso sulla mia pelle e poi impazzisco davvero. Cavolo c'è troppo buoi, al diavolo la mia repulsione verso la luce, mi giro di scatto ed avanzo verso l'interruttore. Ma il mio gesto è troppo repentino e nel compierlo ho inconsapevolmente imbrogliato il mio ospite che è rimasto intrappolato fra la mia pantofola ed il pavimento. Crac. Più che altro schiacciato sotto la mia pantofola. Benedico la mia decisione di infilarle presa poco prima che la mamma bussasse alla porta. Il rumore dello spiaccicamento mi ha evocato brutti ricordi ed uno sgradevole presentimento mi invade il cervello allontanando ogni altro fosco pensiero. Con due passi, ringraziando le ridotte dimensioni della stanza, guadagno ingresso ed interruttore. Accendo. Fuggi, fuggi generale. Una gran quantità di orribili schifose blatte si dà daffare per sfuggire la luce come vampiri al sole. Non ci posso credere! Sto allevando bestiacce e non lo sapevo. Oh cavolo, e ora? L'urlo sale da solo incontrollato dalle visceri e risale prorompente per la gola andando a tintinnare sull'ugola. Prima ancora che il mio cervello reagisca le mie corde vocali hanno modulato l'orrore in un disumano rombo.

In una frazione di tempo apprezzabile solo da chi ha super poteri, la mia super mamma raschia alla porta come un gatto inseguito da un branco di pitbull. Apro. Mi guarda in faccia, grida. Certo che se tua madre ti guarda in faccia e grida il tuo aspetto deve essere davvero orrido. Ma il movimento sul pavimento le fa distogliere lo sguardo da me per dirigerlo, ugualmente orripilato, nell'ammasso informe sulle mattonelle.

Le mamme si riprendono subito e ritornano nel loro ruolo di salvaguardia della prole anche se con il volto tumefatto. Così mi prende sottobraccio e come se fossi impossibilitata a camminare mi conduce nel pianerottolo, spegne la luce, chiude la porta e mi rassicura: "Domani chiamiamo lo zio Mario che sterminerà quelle bestiacce". Due passi ed entriamo nel suo appartamento. Sempre stretta a me, mi accompagna nella stanza di mio fratello. Mi adagia sul letto, mi copre con una coperta, si china e mi sussurra all'orecchio "Ora riposa".

Ed eccomi qui nel ristretto tre camere ed un bagno di cui il mio loculo a fianco è una costola. Ospitata nella stanza splendente di trofei e della voglia di vivere di Paolo, io, l'inutile fallita sorella, esiliata dall'ultimo baluardo della mia esistenza dalla numerosa famiglia di blatte, chiudo gli occhi e finalmente riposo grata di essere amata.


(di sotto in "Contenuti correlati" il racconto precedente)


daria cemonda pubblicato il 05.11.2009 [Testo]


  questo scritto ha 13 preferenze


Commenti dei lettori
Per lasciare un commento Registrati | Accedi