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Uno scritto a caso

MASO:LA RESURREZZIONE
[scritto] Milano è terrorizzato da un terribile killer,sara maso?
giorgio salesi
08.10.2008

SPECIE DOMINANTE

SPECIE DOMINANTE

 

Quando il sole tramonta, in questo periodo i monti e le colline, ma soprattutto il castello e le case che cingono la piccola rocca che lo sostiene, diventano di colore arancione.  Pare che per un breve istante quell’arancione diventi rosso, tanto è l’intensità del tramonto. Che  per un istante veloce l’occhio riesca a cogliere quella massima sfumatura prima dell’ombra scura della notte.

 

-Come mai stai pulendo il fucile?-  chiese Ariosto.

Federigo! Chi ne era molto amico lo chiamava Fed, gli altri ignorando la inconsueta g al posto della c, lo chiamavano Federico, semplicemente.

Fed sedeva a torso nudo  sulla sedia e pensava che il vento che e a tratti soffiava fosse troppo freddo per essere Estate, nonostante il giorno stesse per finire. Pensava alla tosse, che odiava e che molto probabilmente si sarebbe procurato se non si fosse coperto il petto sudato.

Con uno straccio consunto strofinava la canna del fucile, lentamente, in avanti ed indietro. La ritmicità e l’insensatezza di quel movimento lo facevano sembrare uno strano vezzo più che un gesto destinato ad una qualche finalità pratica.

Fed aveva compiuto trentotto anni prima dell’inizio dell’Estate e aveva ancora tutti i suoi capelli, cosa che considerava come un privilegio, da mettere in mostra. Li portava corti e senza gel, in modo che gli stessero fermi e tanti sulla testa come una tonda spazzola.

Non era bello. Ma aveva l’addome tirato e braccia nevrite. A torso nudo era un uomo che avrebbe potuto attirare a se ancora delle donne.

 

Smise di pulire il fucile, prese la birra che aveva vicino alla sedia e ne bevve un sorso lento e faticoso.

Ad Ariosto non rispose. Neppure lo guardò. Bevve un altro sorso di birra  e si mise a scrutare intorno la sua proprietà: una grossa casa poco curata ed un immenso giardino che saliva fino a sbattere contro un monte. Li divideva una ramata consunta e bucata che spesso lasciava passare piccoli animali selvatici. (Una volta il bosco sputò una piccola volpe. Appena la vide fu divertito e pensò che l’avrebbe fotografata. Dopo qualche giorno tornò e gli parve che lo guardasse. Pareva lo fissasse, quella. L’ultima volta che venne dal bosco le sparò e la lasciò morta nel limitare della sua proprietà, dove l’erba cresceva alta senza che nessuno la curasse.)

- Ariosto?! Che nome del cazzo! Lo sai che lassù nell’erba alta c’è una volpe morta?-

-una volpe? Non ho mai visto una volpe… non pensavo ci fossero delle volpi qua … in città.-

-sì, ma non siamo proprio in città, qui siamo più in una …  periferia  …  campestre.  -

Ariosto  rise rumorosamente, pareva non volesse più fermarsi, colto da una strana felicità – una periferia campestre… e che cazzo è?... cristo! come sei ubriaco – disse a Fed.

Fed non rise. Prese un altro goccio di birra. Era gelata. La posò e si mise di nuovo a pulire il fucile. Lo guardava e ad un certo punto fece un ghigno con la bocca, con lo sguardo perso, fisso nel suo fucile. Davvero! Come sono ubriaco a sto giro, pensò.

- Ariosto caro – disse e  si fermò. Stavolta scoppiò lui a ridere, ripetendo – Ariosto caro…, dio! tu non hai mai visto una volpe, vero?- non lo guardava in faccia.

- no mai… non pensavo ci fossero qui. E come mai è morta? Poverina. La città… è la città che l’ha uccisa. È sicuramente finita qua per sbaglio e allora…..-

-non siamo in città….-

-ah, giusto… la “periferia campestre”- rise,  nuovamente; pareva non capire.

-l’ho uccisa io. con questo. – lo disse indicando  con la punta del mento il fucile che teneva stretto nelle mani.

- oh cazzo e perché? Però … io non avevo mai visto una volpe. -

-vai su e guardala allora. C’è sicuramente ancora… è lassù… nell’erba alta. Vai … vai … vai così ti sparo anche a te nell’erba alta. E ti lasciò lì… così ti cresce addosso e non ti trova più nessuno.-

 

Ariosto aveva i capelli lunghi ed era giovane … ed era anche molto bello. Fed non lo vedeva bello. Non guardava gli uomini con la capacità di giudicarne la bellezza, come del resto molte altre cose. Ma sapeva che era bello, lo sapeva perché non era certo stupido, vedeva come le donne se lo mangiavano con gli occhi. Anche prima alla festa un paio di ragazzine… le aveva viste ridere parlando di lui e lui come civettava. Eppure pareva uno scemo… e soprattutto con quella ragazza bellissima… Maria, più tardi… insieme.

Ariosto smorzò il breve e strano silenzio  che si era insinuato tra loro con un sorriso  forzato.

-dai … su … vai nell’erba alta che ti levo dal mondo vai!- proseguì Fed. Pareva ridesse e lo schermisse con rabbia.

Ariosto, imbarazzato, gli disse allora con poca forza e timidezza, come un animale  debole che tenta  a fatica di sfoderare gli artigli – NO-

Fed lo fissò e divenne serio. La sua faccia era brutta, deformata ed allargata dall’alcool. I capelli neri pennellati di grigio ai lati lo rendevano più vecchio di quanto non fosse. Afferrò la birra ghiacciata e ne tracannò quasi mezza, con rabbia e senza sete. Poi la mano bagnata di condensa se la passò nei capelli.

Si guardò l’addome, perfetto. Il vento pareva non volersi fermare e allora alzò lo sguardo al cielo per vedere grosse nuvole bianche e sfilacciate che il vento dispettoso deformava a proprio piacimento. Si sentiva inquieto e l’alcool aveva assunto la forma di una tristezza carnevalesca che ad ogni modo cerca di prendersi burla di sé, vanamente.

Ad un tratto caricò il fucile con uno scatto sicuro e lo impugno saldo tra la mano destra e quella sinistra, poi veloce come un gatto lo piazzò in faccia ad Ariosto il quale sobbalzò sulla sedia con in viso i tremori della paura. Gli avvicinò ancor di più il fucile fino a premerlo sulla sua guancia tra il naso e la bocca, spingendo il ferro sulla pelle. La sua bocca deformata dalla pressione dell’arma  pareva appartenere ad una maschera dal sorriso grottesco. Gli occhi stretti uno all’altro dalla paura parevano strabici. Non era poi così bello quell’Ariosto, adesso. Pareva stesse cagando, pensò.

-non vuoi andare nell’erba alta, bene! Ti ammazzo qui. BANGGGHHHH- urlò, fingendo il prolungarsi dell’eco. Poi, tirò in alto la canna del fucile  e stette lì a guardarlo. Aveva la faccia bianca come un fantasma ed i suoi occhi  parevano tremare come l’acqua di un lago.

-ma che cazzo fai? ti sei impazzito… porca troia di m… mi sono cagato addosso-, si alzò di scatto dalla sedia vincendo gli effetti dell’alcool – bastardo figlio di puttana… se ti partiva un po’ un colpo… mi ammazzavi.

Federigo lo guardò fissò con la faccia di un ebete e poi scoppiò a ridere come un isterico, una risata desiderosa e scomposta – ah ah ah ah hi hih ihi –

-che cazzo ridi? MA CHE CAZZO RIDI?-

-ahahahahahah, dio cristo che faccia… ah aha ah aha ha … pareva tu stessi cagando-

Ariosto lo fissò. Poi le labbra cedettero alla fragilità dei suoi sensi intorpiditi dall’alcool e si inarcarono in un lieve sorriso che precipitò come una breve cascata. Di nuovo allora si sedette e si guardarono continuando a ridere per qualche secondo e poi divenendo muti tra loro.

-Dio c… come siamo ubriachi….-

Fed annuì con la testa, senza aprir bocca. Pareva assorto in pesanti pensieri.

- bella festa oggi…vero?  bella…. E poi quella ragazza mora … Maria … forse ...- disse Ariosto, buttando lo sguardo altrove.

 

 

Ogni prima Domenica del mese Fed organizzava una festa nel suo giardino. Invitava i suoi amici che non si erano ancora sposati o che non avevano figli. Delle colleghe del lavoro e poi anche ragazze e ragazzi più giovani. Non aveva né moglie né figli. Conosceva tanta gente perché andava spesso in giro la notte, per locali, aveva soldi da spendere ed era spesso ubriaco da cascare a terra. Questo faceva ridere molti e molti lo trovavano anche divertente. Alcuni amici lo odiavano perché secondo loro non era mai cresciuto e giocava a fare il giovane. Quelli più giovani: alcuni lo consideravano un coglione, altri lo ammiravano come ipotesi di una maturità ed un tempo a loro lontano ma non troppo dove evidentemente si poteva continuare a fare le cose che fanno i giovani: andare in giro la notte, bere, scherzare, andare dietro alle ragazze…

C’erano alla sua festa appartenenti ad entrambe le categorie.

 

La festa era iniziata alle undici, come sempre. A quell’ora più o meno per Fed avveniva la migliore degustazione, di qualsiasi cosa. Si apriva con un lungo aperitivo con poco cibo e tanto alcool, poi chi aveva voglia pranzava a buffet.

Quel giorno aveva invitato anche un gruppo di giovani ragazzi e ragazze che aveva conosciuto qualche sera fa  in cui era ubriaco e barcollava in un locale reggendosi al bancone e parlando con chiunque storcendo gli occhi e biascicando le parole. Lo avevano trovato simpatico un gruppo di ragazzi universitari e lui li aveva invitati scordandosene immediatamente  e ricordandosene solo al loro arrivo. Lo salutarono come  Federico e lui non disse nulla, erano alcuni tra tanti. Dimenticandosene, ed in un momento di strana lucidità, gli aveva  spiegato dove abitava. Se lo ricordò solo quando li vide varcare l’ingresso. Erano tre ragazzi, uno con riccioli capelli castani e due ragazze, una con i capelli corti neri portati in avanti, molto carina.

L’altra si chiamava Maria … ed era alta poco più di un metro e settanta, i capelli lunghi lisci neri li portava raccolti in una lunga coda, senza spaziatura, né centrale né laterale; aveva occhi scuri che facevano pensare all’oriente  ma anche al Brasile, il naso fine, di profilo sembrava fermarsi prima di sfociare in un’aquilina imperfezione. La bocca leggermente carnosa si era dischiusa come un fiore nell’esprimere un cortese sorriso di saluto e la mano sottilissima gliela tese flebilmente, senza alcuna forza, al ché lui non l’aveva stretta ma solo raccolta come una grossa testa di girasole che si affloscia pendula  da un lungo stelo. L’altra se l’era passata sul viso allungando le lunghe dita sopra gli occhi e il naso in un gesto nevrotico teso a mascherare l’imbarazzo che le dava lo sguardo diretto e ipnotizzato che  quell’uomo le aveva gettato addosso.

-Ciao, piacere, mi chiamo Maria -

-Ciao … io sono Federigo … chiamami pure Fed.-

Quando le lasciò la  mano la vide scomparire per sempre, tra l’altra gente. Era leggermente ubriaco e sentiva i sensi sovraeccitati dal caldo sole del tardo mattino e da una lontana sensazione di delicatezza.

Lei se ne andò con gli altri  intorno al tavole del buffet per bere e mangiare. Vestiva un paio di jeans chiari che le modellavano le gambe ed il sedere, ed una t-shirt bianca che si alzava leggermente  dietro ai  suoi lenti e timidi movimenti. I jeans stretti alle caviglie quando camminava lasciavano intravedere la pelle nuda tra i pantaloni e le scarpe da ginnastica. La pelle il cui colore fece venire in mente a Fed le spiagge calde di qualche agosto fa.

La fissò per un po’ nel suo intercedere e relazionare con la gente, pareva timida e debole come la sua voce. Poi se andò tra i suoi amici accanto al tavolo. Bevve un lungo bicchiere di vino bianco gelato. Si infilò in bocca una tartina unta, seguì di nuovo un bicchiere di vino bianco. Era un vino bianco dozzinale eppure apprezzò il sapore sgradevole e leggermente metallico che il mescolarsi di cibo e vino provocò all’interno del suo palato. Proseguì così per tutto il resto del gorno, fino a che non fu del tutto ubriaco. 

 

La gente inizialmente raggruppata in piccoli e separati quartieri si era mescolata causa la complicità dell’alcool. I più giovani avevano fatto prima a mescolarsi e con una bellissima semplicità di movimenti e di teneri atteggiamenti si erano inseriti l’uno nel gruppo dell’altro.

Qualcuno aveva attaccato della musica ballabile e delle ragazze avevano iniziato a ballare alzando le gonne e mostrando gambe abbronzate. Alcuni ragazzi si erano tolti la maglia e sfidavano l’aria con il torso nudo. Fed già dall’inizio della festa era a torso nudo. Il suo addome scolpito e non depilato era da lui considerato un vanto.

 

 

Nel primo pomeriggio Fed si trovò seduto su una sedia a ridere  con gli amici ed un’amica la quale sperava di poter veder nuda prima della notte. Aveva una bocca carnosa ed il seno pesante; il profumo che si era data si stava mescolando con il sudore del suo corpo in un bouquet sensuale ma a tratti ripugnante. Lunghi capelli riccioli e neri le scendevano sulle spalle. Detestava il suo gesto volgare e continuo dell’inserirsi tra le labbra la sigaretta; e allo stesso tempo trovava quel gesto erotico, molto eccitante. Le cosce prive di tono erano rese desiderabili dal colore bruno fornitole dall’abbronzatura e dalla brevità delle sua gonna che, seduta, le lasciava intravedere la parte più alta delle cosce, nel punto in cui la pelle della destra toccava quella della sinistra, a chiudere un mistero che in quel modo si rendeva quanto mai desiderabile.

Le si avvicinò per sussurrarle qualcosa nell’orecchio e le posò una mano tra le cosce nude, cercando il calore della sua pelle. Ad un tratto venne  spinto via dallo scontro con Maria che lo urtò mentre correva da qualche parte. Era senza la maglia e la pelle bagnata del suo corpo pareva liscia e fresca. Rallentando si girò verso di lui alzando una mano in segno di scusa e con l’altra coprendo con ironico pudore il petto. Il cuore che le pulsava in gola e nel petto le alzava ritmicamente il seno e la sua pelle carnosa, delicata.

Poi corse via e …  le ridevano gli occhi. Corse via che la seguiva Ariosto ridente …

….

 

oh, attenta -  gridò, seccata l’amica di Fed. – troietta - aggiunse, con voce sottile, e si mise con rabbia la sigaretta tra le labbra. – chi è quella scema… che va in giro nuda…-

….

 

….la raggiunse e lei consapevole di essere catturata si fermò e si chiuse in fronte a lui con i gomiti attaccati e chiusi al petto. Un sorriso lungo quanto un pellegrinaggio le aprì il viso fino a toccare gli occhi scuri che risero anch’essi di una gioia presente. E allora si fece prendere. Ariosto la sollevò nelle braccia e i loro occhi si guardarono. Restarono un attimo sospesi nell’aria, soli. Poi caddero sopra le ginocchia e le gambe di lui. In terra ridenti, ancora soli. Le risa salirono al cielo e si concedettero per quel solo istante a tutta le gente che era intorno a loro. Poi, muto, Ariosto le carezzò il viso, ed i capelli se li tenne nella mano. Con l’altra recise  un fiore giallo e piccolo che cresceva accanto a loro e glielo donò.

 Il fiore giallo fu stretto da due mani diverse, due mani che si abbracciavano su di lui, poi…  Fed vide solo un bacio, incorniciato tra la bellezza di due corpi….

….

 

… Fed non le rispose e si alzò portando con se il bicchiere vuoto che giaceva sporco dei segni delle mani e delle sua labbra, acconto alla sedia. La guardò in mezzo alla gambe abbronzate e in quella pelle senza quella bellezza che hanno le cose quando sono bagnate. Pensò che non desiderava più scoparla… che fosse una cagna acida… e che puzzasse di sudore e grasso.

Andò verso il tavolo e prese una bottiglia d’acqua ancora intatta e ne versò un po’ nel bicchiere. La fece rotare nei due sensi e poi  guardò in terra per cercare un posto in cui poterla rovesciare.

Da sotto ai piedi del tavolo una lunga e spessa fila di frenetiche formiche andava e veniva verso una chiazza nera di loro simili che si era formata intorno ad un avanzo di cibo. Versò il bicchiere lentamente sopra di loro e facendo roteare il getto che ne usciva in modo da prenderne il più possibile. Con un leggero sorriso, forse solo immaginato, calpestò poi quel grumo di minuscole vite  misto ad acqua e cibo. Con la punta della scarpa vi disegnò con pressione dei semicerchi che andavano verso destra e sinistra mettendo fine al loro inutile e frenetico agitarsi di zampette impazzite e frastornate dalla prima alluvione. Stavolta un piccolo sorriso non rimase solo immaginato, ma disegnò un solco maligno nel suo viso.

 

                        **                               **                               **

 

Quando Maria giunse alla festa pensò che non sarebbe mai dovuta venire, che non avrebbe trovato nulla per cui restare e divertirsi. Poi quella casa, come caduta senza amore nel bel mezzo di quella spoglia proprietà che saliva fino a sbattere contro quel bosco…

Fed? Chi diavolo era quell’uomo, pareva voler essere simpatico mentre era un volgare.

 

Si portò un poco intorno al tavolo, prendendo qua e là qualche cosa da mangiare  poi iniziò a bere con gli amici.

Ariosto vagava qua e là scambiando battute con qualcuno, pareva voler essere a suo agio, a casa, camminava sicuro di sé tra i tavoli e beveva con voracità, come chi cerca velocemente di scappare da se stesso. A tratti la guardava, e la prima volta lo fece come se avesse visto qualcosa che sconvolge lo stato attuale delle cose.

Ariosto… era bello, era giovane, aveva i capelli lunghi che gli cadevano disperatamente lungo il viso bruno per l’estate. Gli occhi color delle nocciole la fissavano e quando la incontravano perdevano quel vestito di forzata sfrontatezza e sicurezza; la sua timidezza veniva smascherata quando gli occhi neri di Maria tagliavano di sbieco il suo sguardo.

Come ti chiami ?

Maria.

Ciao! Io sono Ariosto.

Che nome … antico.

Classico, suggerì lui.

Lei scoppiò a ridere, le gambe e la pelle le vibravano a causa di quella sensazione di innamoramento per ogni cosa che le dava il sentirsi un poco ubriaca.

Lui prese un bicchiere di plastica da una pila storta di bicchieri rossi e lo riempì maldestramente di vino. Glielo porse, ridendo. – è un dono – le disse.

-che carino –

Lo prese e ne bevve un sorso strizzando un poco gli occhi, e lo mise sul tavolo.

Lui lo riprese e lo finì portando sulla sua labbra un immenso profumo di altre labbra e di pelle, di capelli, di occhi, di denti.

Sono ubriaco le disse, mordendosi le labbra.

Anch’io. E abbastanza, credo. E con una mano si accarezzò all’indietro i capelli imbarazzata.

E ora? Gli chiese guardandolo.

Si avvicinò veloce con le proprie labbra alla sue e le lasciò un bacio,  poi tornò sull’attenti, ridendo, rosso in volto.

Lei, gelata dall’inaspettato,  prese una brocca d’acqua e gliela rovesciò in testa dall’alto,  lentamente.

Ariosto sentì sulla pelle calda il fresco dell’acqua invaderlo a cascata fino ad inzuppare la maglia che si strinse forte contro il suo corpo come un abbraccio.

Che bella che sei.

Si tolse la maglia che resisteva appiccicata alla pelle. Poi le si avvicino e avvolse la sua maglia intorno al collo di lei, come una sciarpa, e la tirò contro di sé. Strizzò la maglia intorno al suo collo e l’acqua che conteneva le si riversò lentamente lungo il petto. La maglia bianca di Maria prese su di se l’acqua della maglia di Ariosto, l’odore della sua pelle.

Si tolse la maglia guardandolo negli occhi e mostrandogli la bellezza del suo corpo ed il segreto del suo seno.  Poi lei passò alla birra. Gliela lanciò dalla bottiglia, nel petto e nei capelli e nel viso. Fu allora che  lei iniziò a correre ed Ariosto la inseguì…

                       

**                               **                               **       

 

 

Ad un tratto un gatto scivolò giù dal bosco, si infilò tra l’erba alta, basso come se cercasse di catturare qualcosa, di uccidere qualche preda. Poi, accortosi della presenza  dei due uomini si fermò, rizzò il collo e li fissò.

Fed fece un balzò maldestro con il fucile in mano. Poi, mentre il gatto continuava a controllare le sue mosse, adagio tentò di avvicinarsi, cercando di limitare il rumore dei suoi passi. Ancora un metro e poi il gatto fuggì via. Allora corse come meglio poteva con il fucile saldo nella mano destra. Le cose gli apparivano sfocate ed una strana rabbia lo spingeva a correre violentemente.

Ariosto un po’ divertito ed un po’ sorpreso lo seguì nella corsa.

Giunto nel punto in cui c’era il gatto Fed si piantò sulle gambe e guardò nella direzione in cui era fuggito. Fermo a duecento metri da lui se ne stava immobile. Si appoggiò il calcio del fucile sulla spalle destra e mirò. Il gatto lo guardò un poco e poi se ne andò tra l’erba alta e sparì. Non sparò e abbassò il fucile.

Dietro di lui Ariosto attendeva immobile a quell’immagine. - Ma che cazzo volevi fare ?-

- lo volevo uccidere …  era nel mio territorio-

- ma è solo un gatto -

-e noi siamo uomini, siamo al momento la specie dominante… questo è ora un nostro diritto..-

…..

 

 

Il sole incandescente si preparava allo spettacolo di fuoco che lo vedeva  perdersi nel mare lontano fino a scomparire in un pozza di liquido rosso vibrante.

L’ombra a poco a poco saliva sulla collina  lasciando illuminato di un arancione sempre più intenso il castello che vecchio la sovrastava,  prima che il sole scomparisse lasciando anch’esso nel buio.

Usciti dal mare, prima che fosse buio, le aveva promesso che l’avrebbe portata fino alla vecchia rocca, sulla scalinata di selciato che porta al castello, per vedere il fuoco dell’ultimo sole. Avrebbero lasciato le biciclette all’inizio della salita e avrebbero proseguito a piedi.

Era così bella che sperava di baciarla, di stringerla a sé, sentire quella strana gioia dell’avvicinare il proprio corpo a quello di un corpo femminile.

Si sedettero sul muro a sassi che costeggiava tutta la via, fino al grande ingresso chiuso da inferriate robuste e antiche. Le indicava il mare e quella palla di fuoco che nel tuffarsi avevo fatto esplodere il cielo e le nuvole in fucilate di rosso. Parlavano della scuola nuova, a Settembre. Del liceo che da lassù si poteva vedere.

Sentiva il cuore saltare in un frenetico moto di eccitazione.

-non ti resisto più - le prese i capelli tra le dita e guardò i suoi occhi concedersi al suo desiderio.

Come chi sta per saltare da un alto scoglio le carezzò il mento, il viso, il naso, la bocca … poi cercò le sue labbra con le proprie.

….

 

… ma che cazzo dici … sei ubriachissimo, posa il fucile per favore -

-dimmi di Maria!-

Sorrise, con l’imbarazzo di chi è stato sorpreso a fare una cosa, ma non del tutto deplorevole. – Maria è bella…

- sì ma la vita è una questione di prepotenza e forza, dobbiamo divorarci per aggiudicarci il nostro spazio..

….

 

Sentì la sua pelle concedersi, le sue labbra dischiudersi. Le mise una mano dietro la nuca e la spinse a sé. Con l’altra le cingeva il fianco morbido e caldo. La baciò sul collo e l’alito di lei rimbombava caldo e vibrante nel suo orecchio appoggiato alle sue rosse labbra dischiuse in sospiri profondi. La strinse ancora a sé e avrebbe voluto sdraiarsi su di lei. Sentire il suo corpo sotto il proprio, il suo pube sotto il proprio, nell’esperienza di un piacere disperatamente anelato.

In un silenzio di baci e lievi sospiri la mano si spinse fin sotto la maglietta dove la pelle di lei diveniva sempre più calda e tesa, dove il cuore aveva un battito netto e più percepibile. Incontrò lo stupore dei suoi seni, che si concedevano a lui come un peccato mortale, con lo splendore di una percezione nuova e meravigliosa.

Il silenzio di lei che acconsentiva a quel piacere gli appariva un mistero svelato, un passaggio ad una nuova era … un miracolo. Le dischiuse  lievemente le gambe e la sdraiò un poco sul muretto e con l’incanto di un’alba inattesa appoggiò il suo corpo dentro il suo,  dove gli abiti leggeri dell’estate permettevano un contatto morbido e sensibile tra parti di corpo che non si erano mai sfiorate….

….

 

 

Un’aria tiepida si alzò lieve e inaspettata tra le fronde dei lunghi platani intorno alla sua proprietà, fino a scendere tra l’erba alta e tra i fiori gualciti, insoliti eroi che crescevano tra erbacce e rami secchi abbandonati.

- tu, Ariosto, sei più debole di me -

Appoggiò  veloce il calcio del fucile alla spalla destra e tenendolo ben fermo lo puntò sul viso di Ariosto. In quel momento i capelli lunghi che incorniciavano il suo volto, ora inebetito dallo sguardo feroce del  buco nero dell’arma che lo fissava, vibravano mossi dal vento.

Sparò, e lo colpì a destra della fronte, quasi sulla tempia. Il viso esplose in un violento sputo di sangue.

Cadde tra l’erba alta con un tonfo muto e violento. Dalla sua fronte un leggero fumo odorante di capelli bruciati fece un balzo, come il soffio di una pipa.

….

 

…sotto il suo pene il piacere vibrante di quella sua parte morbida e delicata, separata dalla leggerezza di lievi tessuti …

All’improvviso un colpo di fucile violentò quel tempo che tra loro si era fermato, intenti alla scoperta di quella primavera di sensazioni. Si alzò da sopra lei di scatto, come un amante sorpreso, come un cristiano colto nel mezzo del suo peccare.

Passato l’eco dello scoppio intorno era tornato un silenzio felice. Il sole era all’apice della sua esplosione, rosso in volto come colto nel momento di un terribile orgasmo. Qualche uccello commentava l’arrivo della sera nella bella stagione, e sul muretto che cingeva la strada per il castello un gatto balzò accanto a loro, scoprendoli rossi in volto e con le labbra umide.

Fed gettò a terra il fucile e poi cadde in ginocchio accanto al giovane amico senza più respiro. In alto, verso la rocca, gli parve di vedere le figure di due giovani, piccoli e stretti sul lungo muro che incornicia la strada per il castello.

Il castello splendeva, dietro le loro piccole figure intrecciate,  di una luce arancione intensa e bruciante, quasi rossa.

Bellissima.


david pubblicato il 11.04.2012 [Testo]


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