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Uno scritto a caso

MASO:LA RESURREZZIONE
[scritto] Milano è terrorizzato da un terribile killer,sara maso?
giorgio salesi
08.10.2008

Il mio indimenticabile pranzo di Natale

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In quel lontano 1943, la mia famiglia era composta dal nonno e dalla nonna, poi il papà e la mamma, mio fratello Pietro di dodici anni, mia sorella Maddalena di undici anni, Ester di otto anni, io e Simeone, il più piccolino.

Vivevamo in campagna, in una fattoria a pochi chilometri dalla città e come tutte le case di campagna di allora, anche noi avevamo un pollaio con galline (poche), oche (pochissime), conigli (molti, ma loro servivano per essere venduti al mercato) e un cane dal pelo color ruggine di nome Cola (in seguito ogni nostro cane ebbe lo stesso nome). Quella specie di babau ringhiante era il vero signore del cortile, tant'è che gli altri animali dovevano sempre tener conto dei suoi umori, mentre l'attraversavano.

Cola, oltre che essere mio amico personale, aveva un compito primario; impedire l'ingresso e l'uscita a tutti gli intrusi o presunti tali...compresi i tedeschi.

Avevamo anche una gatta nera come la notte, ma di lei ci si doveva fidare poco, specialmente quando iniziava a sfregarsi contro le gambe di chi le capitava a tiro, poiché all'improvviso poteva mordere e scappare, e per questa sua predisposizione finiva quasi sempre con il buscarsi qualche colpo di scopa e i rimbrotti della nonna, che era solita scacciarla con le solite parole:

<< Vai fuori brutta farabutta di una ladrona, vai a dare la caccia ai topi! >>.

Lei, << la gatta >>, non aveva un vero nome, la chiamavamo soltanto << la gatta >> e probabilmente questo nomignolo non doveva essere di suo gradimento, perché senza far torti a nessuno, lei si mostrava scontrosa e scorbutica con tutti i membri della famiglia.
Lei si cibava di quel poco, anzi pochissimo, che riusciva a trovare incustodito (ricordo il giorno in cui vidi piangere la mamma perché la pantera era riuscita a rubare un intero pezzo di burro che le era costato una mattina di lavoro), oppure, come la incitava giustamente la nonna, dando la caccia ai topi che in campagna non mancavano.
D'inverno se ne stava beatamente sul tetto a ridosso della cappa del camino, al riparo delle tegole, mentre la notte preferiva trascorrerla nella legnaia dove tenevamo, oltre alla legna da ardere, tutto ciò che in casa non serviva, compreso il materiale che il babbo non utilizzava nella sua bottega di maniscalco, e soprattutto tanti stracci d'ogni genere (La nonna era sarta e lavorava in casa con altre due vicine) che noi bambini, ogni tre o quattro mesi, barattavamo con lo stracciaiolo per avere in cambio un pezzetto di preziosa liquirizia.
Perciò << la gatta >> trovava sempre modo di starsene al calduccio anche fuori di casa.

Come dicevo, c'erano le oche e le galline, queste ultime erano intoccabili per via delle uova che servivano a noi bambini, mentre le oche, prima di essere mangiate (obbligatoriamente a Natale) dovevano mangiare.

Portarle a pascolare era il compito di noi due più piccoli, ma in realtà soltanto mio; mi rivedo con in braccio il piccolo Simeone che non aveva ancora compiuto tre anni, ed in mano il bastoncino che serviva a "guidare" le oche, avviarmi al solito posto, una striscia di prato incustodita che diventava il loro pascolo e anche il mio luogo di gioco.
Non ero mai libera del tutto, perché sebbene qualche volta per giocare trascuravo i miei compiti di custode, sia Samuele che le oche non correvano pericoli.

Insomma una vera fatica anche giocare!

Poi, con mio sommo piacere, le oche cominciarono a diventare sempre più grasse e questo significava che il Natale si avvicinava, ed io, ma anche i miei fratelli, già pregustavano il pranzo natalizio.

Io quel Natale l'attendevo per quattro diversi motivi: per vedere il presepe che nostro padre preparava di nascosto la sera della vigilia dopo averci mandato a letto presto, per la bella tovaglia bianca che la mamma quel giorno avrebbe usato per apparecchiare la tavola (che da sola mi dava l'idea della festa grande e delle cose buone da mangiare), per la mia prima letterina che avrei messo sotto il piatto del babbo e per la bambola che avrei avuto in dono, (sempre la stessa!) che era già stata il balocco delle sorelle maggiori e che pochi giorni dopo sarebbe << sparita >> per riapparire il Natale successivo.
Finalmente venne il grande giorno, ed io, che fino ad allora non mi ero ben resa conto della guerra (A quel tempo avevo sei anni), ebbi modo di farne conoscenza proprio a Natale!
Quella mattina la mamma aveva guidato la mia mano a scrivere la letterina da mettere sotto il piatto del babbo, e con tanta fatica avevo impiastricciato poche righe che avrebbero dovuto avere questo senso;

Questa mattina ho chiesto al mio cuore:
- Suggeriscimi tu le parole
da dire al babbo in ogni momento.
E il mio cuore ha indicato, felice e contento:
- Fagli un sorriso e digli soltanto:
Ti voglio bene...ma tanto, tanto, tanto...

Il pranzo era atteso da tutti noi e consisteva obbligatoriamente in un bel piatto fumante di polenta gialla e dalla nostra oca con patate cotte nel suo grasso. Una vera leccornia!

Non potrò mai dimenticare il delizioso profumo dell'oca che arrostiva nell'enorme tegame sulla stufa a legna e soprattutto l'emozione per le esclamazioni di sorpresa che il babbo avrebbe avuto al ritrovamento della mia letterina sotto il piatto, quando improvvisamente un rumore sordo e cattivo riempì l'aria terrorizzandomi.
Il nonno prese noi piccini e ci portò di corsa nella bottega del babbo, ci fece sdraiare sotto la forgia che, disse, ci avrebbe riparato dai proiettili degli aerei.
Obiettivo dell'incursione degli aerei alleati era un piccolo aeroporto poco distante dalla nostra casa.
La paura tentò di farmi impazzire, ma fu il rumore delle esplosioni che si prese la bambina che ero stata, e per la prima volta capii che da allora tutto sarebbe cambiato per colpa della guerra...proprio nel giorno tanto atteso del presepe, della letterina, della tovaglia bianca e dell'oca!

Poi, passato il pericolo e riavutami dalla paura, sentii il grido disperato della nonna: << l'oca, l'oca! >>

Era successo che nel trambusto creato dal bombardamento, nessuno aveva curato << la gatta >>, che sfidando bruciature e scopa, aveva scoperchiato la grossa pentola e si era impadronita del nostro prezioso pranzo natalizio.
Per fortuna mio fratello Pietro recuperò l'oca in un angolo del cortile, un po' lacerata dalle sue unghie, ma ancora in carne, e così il nostro pranzo ebbe inizio tra i mugugni della nonna e il << magone >> della mamma.

Che Natale fu quello! La paura della guerra, sommata al dispiacere della mamma, mi tolse la gioia della festa.

Ma si sa, a noi bambini basta poco per dimenticare le cose brutte che ci circondano, e grande fu il mio stupore quando, alcune settimane più tardi, una domenica, in tavola, oltre alla solita polenta c'era la tovaglia bianca e la mia letterina, assieme ad un fumante e profumatissimo coniglio arrosto che divorai con gusto

Quello si che fu il mio indimenticabile pranzo di Natale.

Maria Santander
1^ media, sezione B della scuola Nazario Sauro

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Legend pubblicato il 11.05.2006 [Testo]


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