Registrati | Accedi

Autori

Ricerca

Autore:

Titolo:

Genere:


Uno scritto a caso

Mica tòcca èsse stròllichi !
[poesia] Satira politica in moriconese
Pierluigi Camilli
12.04.2008

Ammazzacaffè

Era una notte debole,il mattino bussava alla porta e il libeccio sud-sahariano faceva bestemmiare i pochi ubriaconi che ancora tormentavano le strade con i loro passi goffi e lenti. Mozziconi e carte si muovevano in un roteare continuo e dolce come in un raffinato valzer austriaco.

I bar erano ormai chiusi e anche la luna si sentiva in dovere di riposarsi un po' dietro una mandria di cumulo nembi impazziti.

Un'insegna sopra la via principale urlava "Hombre negro" con caratteri luminosi e appariscenti.

Sotto i soliti poveracci sputati dai bar all'ora di chiusura come pasto indigesto .

Ognuno con i suoi problemi,le sue paure,le sue fissazioni,ognuno con una storia da raccontare,qualcuno con mille pronte per uno spettatore improvvisato.

I più fortunati custodivano segretamente qualche sorso di rosso delle colline vicine;gli altri guardavano fissi nel vuoto come a pianificare un futuro migliore.

Johan era una di loro.

E dire che lei non beveva nemmeno tanto.

Anche se non si negava mai una coppa di vino a cena (rigorosamente bianco frizzante e della casa) e un ammazza caffè in occasioni speciali.

 

Brava ragazza,buona famiglia,scarpe sempre nuove e un gran bel letto a baldacchino.

Quando la madre la veniva a trovare la ricopriva di carinerie,la pregava sempre di rimanere a cena e rimaneva sempre composta a tavola.

Anche quando si parlava del lavoro e dei tasti dolenti che Johan preferiva celare anche a se stessa.

L'unico modo al mondo per far imbestialire Johan era farle un regalo,offrirle dei soldi.

Assicurava sempre,costantemente che lei se la cavava,era capace di badare a se stessa.

Non era vero.

Lavorava par-time in un negozio di biancheria in centro.

Lavorava poco;e guadagnava poco.

Ma era felice,libera,vagava i pomeriggi in cerca di niente (lei avrebbe detto in cerca della vita) e non le mancava il sugo per condire un piatto di pasta a fine giornata.

Viveva,quando ne aveva tempo,con un ragazzotto di nome Guillermo. Veniva da Aldea de San Miguel,un paesino spagnolo di 219 anime nella comunità autonoma di Castiglia e Leon.

E non perdeva mai occasione per sottolineare come si stava bene là.

Grandi possibilità di lavoro,buon vino e grandi tornei di canasta al venerdì sera.

"Ma in Catalogna le ragazze sono più focose"diceva"al mercato si parla di sesso tra un chilo di pomodori e un paio di arance che un napoletano spaccia per italiane,e si può andare a ballare in una delle tante balere,fedeli custodie di segreti e alcool".

Guillermo era giovanissimo ma il suo aspetto lo incatenava spesso in commenti non molto ortodossi. Aveva una barba incolta e sudicia,e quando indossava la kefia acquistata da un venditore ambulante tunisino sembrava proprio uno di quei talebani che il TG delle 9 non perdeva e non perde tuttora occasione di mostrare.

Aveva grosse sopracciglia nere che avvolgevano due piccoli occhietti da castoro,pungenti come pruni che ogni tanto si perdevano nell'osservare i muri psichedelici del loro appartamento in Via della Cerveza.

Labbra carnose e rosse ed un viso segnata dall'acne ormai non più giovanile.

E dall'alcool.

Un montgomery di lusso,che tutti si chiedevano dove l'avesse trovato e sempre,sempre un pacchetto di Lucky Strike in tasca.

L'accendino mai.

A volte lei si divertiva un mondo a guardarlo in casa in versione boccaccesca mentre cercava di accendersi la cicca al fornello senza bruciarsi.

Goffo.

E non lo faceva apposta,era proprio così .

Goffo.

 

Era una sera tiepida di maggio quando Guillermo tornò da un colloquio di lavoro andato male e al quale era andato controvoglia. Johan era stata categorica:

"metà stipendio per uno"strillava continuamente"o fuori".

"Tu vali questi,non di più" continuò una sera di rara cattiveria,indicando una banconota da dieci euro.

E non perdeva occasione per aggiungere che lei cucinava (e bene) e lavava con un coraggio da centauro mutande e calzini che avevano girato il mondo.

Tornò e chiese da mangiare.

La sua richiesta si sovrappose a quella della giovane:

"allora?"disse

"bo,non lo so,dice che mi richiama,ma forse sai non è poi il lavoro giusto per me"biascicò con l'aria e la voce di un bambino colto con le mani sulla torta da portare alla nonna.

Lei capì ma rimase in silenzio.

Non aveva voglia di ragionare;e in fondo gli voleva bene.

Scivolò in un lampo in cucina e,volta di spalle cominciò ad affettare una cipolla che mai gli sarebbe servita.

Tornò al tavolo da pranzo (e in questo caso da cena),gli versò del Lancers bianco ed alzò il coperchio di una pentola,orecchiette alle rape,sussurrando:et voilà.

Guillermo replicò con un applauso convincente accompagnato da una smorfia di ragionevole apprezzamento.

Smise.

Assaggiò.

Ricominciò ad applaudire.

Quel giorno goccia a goccia,riempì il suo vaso di completezza e piano piano se ne andò senza vaghi sospetti o chiasmi di alcun genere.

Guillermo avrebbe voluto baciarla,abbracciarla per la sua discrezione e per la pazienza che aveva avuto nei suoi gesti e nelle sue parole.

Ma non ne ebbe il coraggio.

Sapeva di non essere quel che si dice un "Adone".

Non sapeva invece di puzzare;glielo confido Johan una delle sere seguenti.

E quasi lui se ne fuggì di casa.

Urlava,strillava come colpito da qualche morbo sconosciuto e pericoloso.

"Non è puzza,è l'odore delle mie origini,di mia madre che mi cullava sul suo ventre caldo,è l'odore che lasciavano gli schiaffi di mio padre sulla mia pelle paunazza da bimbo di campagna.

"Non capisci nulla".Disse.

"Non mi capisci."replicò convincendosi.

Johan tentò di avvicinarsi,passo dopo passo,attaccata alla parete con una forchetta tenuta a mo' di pistola.

Terrorizzata.

Sempre più vicina,ancora un metro.

Quando lo toccò sentì l'estate;quando la sua mano strinse quella di lui sentì odore di ginepro che emanava qualcosa di incomprensibile e meccanico dal piano di sopra;quando lo baciò non sentì più nulla.

E fu vita.

Si spensero le luci. E fu vita.

Si chiuse con veemenza la porta di camera. E fu vita.

Si mossero le coperte. E fu vita.

E fu amore.

Il più bello della loro vita.

Quella stessa notte la strinse a sé e la guardò fin dove gli occhi potevano guardare e la baciò nelle sue parole:"baciami".

La lasciò scivolare in un sonno leggero e immortale carezzandole una ad una le sue ciocche piene di nodi che mai erano state così crespe.

Li districò lentamente,massaggiandole il capo come solo il mare dell'est al tramonto sa fare.

Si addormentò e lui si sentì in dovere di scriverle qualcosa.

Poi accartocciò il foglio e lo bruciò.

Alzò il braccio destro come un'anatra l'ala e acchiappò una sigaretta sparsa nella tasca del giaccone.

Una Lucky Strike.

La fumò. Rise.

Si addormentò.

Sul divano.

In piedi.

Ad occhi aperti.

Anzi in effetti non dormì affatto.

Non era mai stato così felice nella sua vita inutile e piatta.

Johan sarebbe diventata sempre più la donna della sua vita;era appena una amica quando la conobbe,e rimase tale fino a quel giorno.

In un attimo i suoi capelli crespi diventarono un'arpa,le sue gote rosate fragole.

Guillermo,per la prima volta nella vita,provò affetto per qualcuno,e si innamorò.

Poi alla fine dormì .

 

I giorni passavano velocemente,i mesi gocciolavano uno dopo l'altro un po' più lentamente.

Le visite della madre di Johan diventavano sempre più fitte e durature. Addirittura riusciva a dare un naturale e umano saluto al coinquilino di sua figlia,si scambiavano idee e caffè,e bisbigliando ammetteva anche di volergli un po' bene.

La loro vita sarebbe cambiata per sempre:lui trovò un lavoro in un bar e aveva tempo e voglia di amarla tutte le notti.

Lei si guardò allo specchio e si vide bella,nella diversità delle sue forme che la rendevano ancora più affascinante.

Sua madre le regalò una madia,suo padre una lampada spaziale e un po' d'argenteria. Perenti riempirono la loro casa di cianfrusaglie degne di un mercato arabo;e loro erano felici.

Johan e Guillermo. Suonava bene,come Dani. Gran bel nome,pensavano.

Quella sera,che l'autunno rese insostenibile,squillò il telefono. Lei corse e cadde.

Guillermo sentì delle grida e balzò da lei. Johan stava rannicchiata nell'angolo della stanza,stringendosi le gambe a sé con le braccia tese e vicine.

Una scia di sangue si allungava dalle sue gambe.

Lui fu annullato dalla sua voce.

Lei strillava come stesse sopportando il peso della vita su di sé,la vita che piano piano la portava via.

Quando Guillermo la volle vicino,lei non c'era più,e lo sbattere della porta principale sottolineò il suo voler sparire.

Da quella casa,da una festa morta,dallo sguardo inconsapevole da uno di campagna dipinto su quegli occhietti da castoro. Guillermo la cercò ovunque,senza risultati,e poi perse sé stesso,sulla sua auto usata,fumando l'ultima Lucky Strike.

Era una notte debole,il mattino bussava alla porta e il libeccio sud-sahariano faceva bestemmiare i pochi ubriaconi che ancora tormentavano le strade con i loro passi goffi e lenti. Mozziconi e carte si muovevano in un roteare continuo e dolce con in un raffinato valzer austriaco.

I bar erano ormai chiusi e anche la luna si sentiva in dovere di riposarsi un po' dietro una mandria di cumulo nembi impazziti.

Un'insegna sopra la via principale urlava "Hombre negro" con caratteri luminosi e appariscenti.

Sotto i soliti poveracci sputati dai bar all'ora di chiusura come pasto indigesto .

Ognuno con i suoi problemi,le sue paure,le sue fissazioni,ognuno con una storia da raccontare,qualcuno con mille pronte per uno spettatore improvvisato.

I più fortunati custodivano segretamente qualche sorso di rosso delle colline vicine;gli altri guardavano fissi nel vuoto come a pianificare un futuro migliore.

Johan era una di loro.

Aveva appena perso un figlio e 10 euro dal portafoglio,tutto in poche ore.


Leonardo Sanzò pubblicato il 04.02.2009 [Testo]


  questo scritto ha 18 preferenze


Commenti dei lettori
Per lasciare un commento Registrati | Accedi