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Uno scritto a caso

LA SFINGE
[scritto] Sfinge greca
Maria Pace
29.05.2012

Il treno

Quando tutto sembra in rovina...

'

Stava lì , appoggiato al parapetto del cavalcavia in attesa che passasse il treno.

Anche da bambino passava delle ore in attesa di veder apparire il pennacchio di fumo e udire la sirena che annunciava l'arrivo di quell'insieme di vagoni sferraglianti.

Poi correva al parapetto opposto per vederlo fuggire via e restava fermo finché poteva vederne i fanalini o udirne il rumore.

Quanti anni erano passati!

Adesso non c'era più il fumo a disegnare una grossa virgola nel cielo settembrino, ma la magia del treno resisteva a tutto.

Solo il paesaggio non era cambiato.

Gli stessi filari di cipressi, arroganti contro un cielo assolutamente terso in cui brillavano, ammiccanti, le stelle; un cielo in cui si avvertiva un presagio, come un suggerimento d'inverno; lo stesso fiumiciattolo che scorreva poco più in là e che, nel pieno dell'estate mostrava tutti i sassi piatti e bianchissimi del fondo e ora iniziava appena ad ingrossarsi, per poi diventare una presunzione di torrente; la stessa campagna, gli stessi colori, lo stesso profumo indeciso che hanno le stagioni quando cambiano, con un ricordo d'estate e una promessa d'autunno.

Tutto eguale, soltanto lui era cambiato.

E non soltanto per gli anni trascorsi, perché da bambino si era lentamente trasformato in un uomo anziano, ma perché era cambiato dentro, incredibilmente, assolutamente, irreparabilmente cambiato.

Di uguale ad allora gli era rimasta soltanto la passione per i treni.

Quanto l'aveva preso in giro lei per questa sua continua voglia di andarli a vedere, di parlarne; era anche in corrispondenza con persone che avevano il suo stesso interesse e poterne discutere, sia pure per lettera, lo faceva sentire meno solo e meno...stupido.

-Stupido, ho sposato un uomo assolutamente irresponsabile, incapace e incredibilmente stupido. Perché poi l'avrò fatto, Dio solo lo sa, ero giovane, bella, intelligente...magari tanto intelligente no, chè altrimenti non mi sarei certo fatta incantare dai tuoi occhi e dalle tue promesse.

Promesse, promesse, promesse...che saremmo andati via dal paese, saremmo andati a vivere in città, in una casa decente, che ti saresti trovato un lavoro dignitoso...ma già, tu figlio di contadini sei e tale resterai tutta la vita...

" è vero, pensava lui- che ad un certo momento smetteva di ascoltare- è vero, sono figlio di contadini e contadini poveri. Mia madre e mio padre hanno sempre lavorato la terra e badato agli animali, ma non li ho mai sentiti insultarsi come lei fa con me e quando papà è morto, mamma mi ha detto soltanto "sono con lui" e poi è andata a dare il mangime ai polli, ma c'era un amore infinito in quelle parole, un amore che non ho mai sentito nelle sue..."

Quando lui si era comprato un trenino con tanto di rotaie, una cosa semplice, da bambini, lei lo aveva insultato pesantemente per più giorni, accusandolo di egoismo, infantilismo, pocaggine.

Lui l'aveva sistemato in cantina, in modo che non ingombrasse la casa e stava bene attento ad usarlo quando lei era a letto o fuori con le amiche.

Gli sembrava di sentirla "ha il complesso di Peter Pan, ho sposato un bambino, fosse almeno capace di farne di suoi di bambini" e lì una sghignazzata lasciando intendere che anche in quello era lui carente.

Glielo aveva riferito una delle sue "amiche", cercando di sedurlo, forse per vedere se quell'accusa ne nascondesse anche una d'impotenza.

E' vero, bambini non ne erano venuti e non certo perché lui non li avesse desiderati.

Poi, un giorno, lei gli aveva detto chiaramente che non voleva più avere rapporti fisici, che lui non le piaceva più, anzi, le faceva anche un po' schifo.

Sospettava che avesse una relazione con il fornaio, ma la cosa non gli interessava più di tanto.

Si era scavato una specie di tana mentale, da cui escludeva tutto quello che la riguardava e trascinava la sua esistenza così , senza una donna da amare, senza un bimbo da far crescere, senza interessi, lavorando duramente la terra.

Ma la terra, si sa, non è che renda mai molto e certi anni è addirittura ingenerosa, ora c'è l'alluvione e ora la siccità; ora i raccolti sono talmente scarsi che bastano a stento per la sopravvivenza, ora sono talmente abbondanti che il prezzo di mercato cala paurosamente, quindi era un continuo brontolare, lagnarsi, recriminare.

Lui si rasserenava quando poteva andare a far funzionare il suo trenino.

Aveva costruito case e ponticelli, una piccola stazione, una serie di botteghe che aveva posto al di là di una precaria massicciata; aveva messo muschio e rametti e sassolini e zolle di terra.

Aveva, insomma costruito il panorama ideale per il suo treno e passava molte ore della sera a vederlo andare, a immaginare, fantasticare.

Viaggiava con la fantasia molto più di quello che aveva mai fatto o avrebbe mai potuto fare, era la sua oasi, la sua serenità, fino a quando...

Lei era particolarmente irritabile in quel periodo, lui sospettava che fosse finita la sua avventuretta extraconiugale, certo è che lo aggrediva verbalmente più del solito, lo prendeva in giro quando arrivava la posta dei suoi corrispondenti, lo minacciava di "fargli uno scherzo di cui si sarebbe ricordato"

Era tornato tardi dai campi, quella sera; lei non c'era, la casa era insolitamente in ordine; per un attimo pensò che se ne fosse andata definitivamente e la prospettiva gli sembrò allettante.

Sul tavolo della cucina c'erano una pagnotta, dei pomodori, la bottiglia dell'olio e uno spicchio di aglio.

Era un pasto che, tutto sommato, non gli dispiaceva e, se fosse stato fortunato, lei sarebbe tornata tardi e lui avrebbe potuto leggere in pace due lettere che erano arrivate il giorno prima e non aveva ancora potuto aprire e passare qualche tempo sognando con il suo trenino.

Mentre mangiava rifletteva sulla sua vita e fu con un grande sospiro che si levò da tavola, rigovernò le poche cose che aveva sporcato e si avviò verso lo scantinato.

Ogni passo che faceva, però, non gli dava quella sensazione di gioiosa anticipazione che provava sempre quando poteva scendere a rimirare il suo plastico, c'era nell'aria come una forza maligna, un che di negativo che gli rendeva i passi ed il cuore pesanti.

Scese la stretta scala, accese la luce e...vide.

Tutto distrutto.

E non con la cieca furia che può, forse, essere giustificata, ma con una malevola determinazione.

Tutto fatto a pezzi, con un martello, con le mani, preso a calci, dilaniato.

Si sedette, muto, ad osservare; si alzò, spense la luce, salì le scale e andò a letto.

Ora, in quella bella serata settembrina, era lì , come tanti anni fa, appoggiato al parapetto del cavalcavia e aspettava che passasse il treno.

Lo sentì arrivare, prima di vederlo, da una vibrazione che gli si trasmise dai piedi all'anima, poi, finalmente, sbucò da dietro la curva e gli venne incontro.

C'erano le luci negli scompartimenti, sembravano un invito "vieni, vieni, vieni"

E lui afferrò la moglie, inerte per una botta in testa, ma assolutamente viva, la issò sul parapetto e con implacabile, incredibile tempismo la lasciò cadere davanti al treno nel momento preciso in cui questo passava sotto il cavalcavia.

'


linda maria messina pubblicato il 15.04.2006 [Testo]


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