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Uno scritto a caso

La folla II
[poesia] Poesie satirica in forma di sonetto
Luigi Filippetta
27.04.2009

Imprevisti

Il timore degli imprevisti è come un contenitore vuoto che ha, nel proprio destino, solo la possibil

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Se avesse strappato la parola "Sorpresa", insieme alla pagina del vocabolario sulla quale stava stampata, quella elisione non sarebbe stata così definitiva come la scomparsa dell'imprevisto dalla sua vita. Insieme alla sua mamma era morta anche la possibilità di trovare il coraggio di riparare quella solitudine. Mamma che gli diceva sempre di uscire di casa e di trovarsi una ragazza per bene che badasse a lui, quando lei non ci fosse più stata, e lui mai l'aveva voluta ascoltare. Ora la conseguenza di questo si mostrava dentro la canottiera, cadente e giallastra, che faticava a stare appesa alle sue spalle, mollicce e in discesa, addossate ai lati di un collo grasso, raccolto in pieghe sotto un faccione inerte e senza espressione, simulacro della disarmonia del caos molto prima che intervenisse il verbo riordinatore. Lo stesso disordine era ammassato anche sul tavolino della cucina a confondere persino gli scarafaggi, due dei quali stavano facendosi complimenti spinti, pur di rinunciare a mangiarsi quelle schifezze precotte.
Seduto sulla sua sedia preferita di corde di paglia, saldate tra loro e annerite dall'unto l'uomo golosava, davanti a un orizzonte incarcerato negli stipiti scrostati della finestra che sbirciava la strada, alla ricerca di una possibile anima gemella. Quante ragazze erano passate lì sotto, ormai diventate donne e mai nessuna, in tutti quegli anni, si era accorta di lui.
-Aveva un bel dire la mamma!- si sentì riflettere in un eco di rassegnazione, mentre scorreva la sinuosa linea del contorno di un paio di bellissime gambe che spingevano un carrello colmo di spesa.
La linea di cui lui si sarebbe accontentato era molto meno fluida e sarebbe potuta precipitare a piombo su delle caviglie stanche che sformavano scarpe storte e consunte, e il suo sguardo timido non avrebbe voluto nemmeno guardare più in su.
Ma questa volta si fece coraggio e aprì al mondo, spingendo gli stipiti arrugginiti che scricchiolarono lamentandosi come la sua anima.
La donna del carrello si girò a quel rumore e lo vide sporgersi, come fosse un marinaio sul pennone più alto che stava annunciando, muto, un'isola mai vista prima, e provò piacere nel sentirsi quell'isola.
Così lei gli sorrise senza volerlo e lui s'acquattò, svelto di vergogna, senza il tempo per chiudere la finestra che rimase aperta alla speranza fino a sera. Una speranza che era già entrata, insieme al vento, a muovergli i radi capelli con carezze lievi.
Quella notte fu agitata da un tremore di cui lui non capiva la provenienza.
La mattina frizzante arrivò insieme al cinguettio confusionario dei passeri, e lui stava pronto sulla prua della sua sedia, confidando nel vento che l'avrebbe spettinata lì sotto, se lei fosse passata di lì .
Ma lei, quella mattina, non passò, e nemmeno le mattine successive.
Non si può dire se sia stato il freddo delle albe primaverili, patito al davanzale della sua speranza delusa, o la mamma che lo chiamava a sé, ma lui si ammalò di un sudore gelido che lo appiccicava alle lenzuola. Non riusciva più a muoversi dalla febbre e dal dolore alle giunture e decise di chiamare il Parroco, che la sua mamma aveva servito per lunghi anni come perpetua. Lui lo tranquillizzò pacato, promettendogli di cercare qualcuna che lo accudisse in quei giorni di bisogno.
Il mattino seguente, aprendo la porta al suono insistente del campanello, la febbre gli salì d'impeto alla vista di lei che era lì , sorridente e leggera, con il carrello della spesa sul suo zerbino spelacchiato, che gli chiedeva il permesso d'entrare.
Non ci fosse stata la sua mamma ad aleggiare curiosa nella stanza, lui avrebbe osato di più, ma si accontentò di dover guarire in fretta, anche se non lo avrebbe voluto.
Quell'angelo era di una bellezza mai vista prima che gli mozzava il respiro e, nel contempo, gli diceva che le emozioni che provava per lei mai avrebbe potuto confessarle, e s'accontentava di scrutarla quando lei era girata a sistemargli la casa, a lavare la biancheria e a cucinare cose di cui lui, avvezzo ai surgelati, non riconosceva nemmeno più il sapore.
Non parlavano quasi mai tra loro e la naturalezza con la quale lei rispondeva ai suoi bisogni lo sconcertava.
Certo non tanto come quella mattina quando, nel silenzio più totale, lei s'infilò sotto le sue coperte, dopo avergli fatto la solita spugnatura, abbracciandolo delicata.
Uno sconosciuto tumulto s'impossessò del suo cuore e gli zittì tutte le angosce che annegarono, ammutolite, nella resa.
Le mani di lei lo toccavano delicate e lievi, e il suo corpo tremava del piacere che lo aveva sempre spaventato. Ora lui non era più l'immagine che lo angosciava allo specchio e sentiva che quell'energia spaventosa, percorrendolo con una vibrante tensione, cercava un'uscita da sé.
Quando finalmente quello scorrere si liberò, precipitandosi fuori di lui, si trovò di fronte la mamma che gli sorrise amorevole, e capì che la propria morte era solo un sogno, come era stata anche la sua vita.

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Massimo Vaj pubblicato il 17.11.2008 [Testo]


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