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Uno scritto a caso

CATERINA (seconda versione)
[scritto]
IVANA CHIECCHIO
12.08.2011

Anima di puttana

 

Si guardava allo specchio e ciò che vedeva era una puttana dagli occhi invisibili. Non c’era sguardo in quegli occhi che avevano visto solo crude verità di un mondo di pazzi. Era cresciuta orfana d’affetto e ciò che aveva imparato era cavarsela da sola… in ogni maniera, ad ogni costo.  Aveva perso la verginità in modo cruento… il suo imene era esploso lasciandola stordita, delusa e dolorante, nel cuore e nell’anima, perché aveva avuto la presunzione di credere di amare. Metteva all’incanto il suo corpo per trovare il miglior offerente di felicità, ma erano tutti ciarlatani che vendevano elisir di egoismo e belle parole. Ormai la sua mente e la sua anima erano sfatte dall’usura del tempo… quel tempo che le avrebbe dovuto far dimenticare, quel tempo che l’avrebbe fatta soffrire ancora. Aveva conosciuto commercianti d’amore che le avevano promesso forzieri d’affetto, ma l’unica cosa che aveva ricevuto era la loro carne putrida dentro il suo corpo. Camminava ingobbata dal dolore di una vita che non c’era. Lei era nata adulta… non sapeva di aver avuto un’infanzia. Quando suo zio la toccò con le sue mani viscide, era adulta… quando suo fratello la obbligò a fare “quelle cose” con il suo pene ormai sviluppato e bramoso  d’esperienza, era adulta…  Ormai il cancro dell’infelicità l’aveva pervasa… Era diventata solo una lurida puttana in cerca d’affetto. Intorno a lei indifferenza e sbeffeggi. Miriadi di voci che le urlavano “PUTTANA!!! PUTTANA!!!”… portava le mani alle orecchie per non sentire… ma le voci continuavano imperterrite a gridarle la sua verità. Cercava di lenire il dolore di quel cuore putrefatto dalla vita strappandosi le rade chiome di capelli corvini…e urlava, urlava… ma in silenzio. Da quella bocca che tanto aveva abusato di sesso, non usciva niente. Perché lei non poteva urlare un dolore che aveva scelto di barattare con una utopica felicità. Camminava nel buio, ormai non aveva più occhi per guardare, consumati dall’odio, due pietre che fissavano nel vuoto un futuro già deciso. Intanto saliva scalza su quelle rocce che le pugnalavano i piedi, ma lei non sentiva dolore. La strada era ancora lunga per arrivare in cima… In cima… Che strano pensare “in cima”… era una parola che sapeva di bello… si era bella, quindi non poteva pensare ai suoi piedi che sanguinavano lasciando tracce del suo passaggio. Sì, sarebbe salita “in cima” dove nessuno l’avrebbe più usata, abusata, venduta e violentata nel corpo e nell’anima. Passo dopo passo il percorso diventava sempre più corto e piano piano in lei si insinuava una strana sensazione. Più andava avanti e più sentiva un sentimento che mai aveva provato prima. Allargò le braccia e portò il viso al cielo chiudendo le palpebre… rimase così qualche secondo assaporando la brezza. Aprì gli occhi e per la prima volta vide che il cielo era azzurro… che c’era un sole… e che quel sole stranamente riscaldava anche lei. Si guardò intorno, niente venditori di sogni, niente voci dentro di lei… Tutto ciò che vedeva era nuovo, ma tutto ciò che aveva dentro era ormai perso. Sentiva il peso della sua coscienza lurida. Portò lo sguardo ai suoi piedi ormai irriconoscibili dal fango misto al sangue. Rimase a guardarli senza pensieri, muovendo le dita come a suonare un pianoforte, forse per dare un senso di vitalità a quella vista così deprimente. Spostò i capelli dal viso che le impedivano di vedere la cima, e continuò il suo cammino. Aveva le membra stanche e decise di sedersi un pochino. Mise la sua testa in mezzo alle gambe e guardò il suo sesso puzzolente, ma in quel momento non lo sentiva così fetido, non lo vedeva così rugoso e sfruttato dal destino. Rimase con gli occhi chiusi e quasi si addormentò. Fu svegliata da una carezza così gentile che le riempì il cuore. Aprì gli occhi e vide una serpe sul suo piede che la fissava, ma scappò subito infastidita forse da tutto quel marciume. Si alzò e riprese il cammino. Il sole ormai era quasi all’orizzonte quando arrivò in cima. Si fermò sull’orlo del dirupo e quasi le venne un mancamento, come se lì ci fosse tutta l’aria che non aveva respirato nella sua vita. Fece un giro su se stessa con le braccia aperte ridendo come mai aveva fatto prima. Si fermò dando le spalle al dirupo, guardò il sole ormai arancione e cominciò a volare. Lei distesa nel vento, vedeva il cielo con le sfumature di un giorno ormai finito. Il suo volo la portava sempre più giù, ma la ripuliva dal suo peccato, le lacrime la seguivano nella sua discesa verso la libertà. Però quante cose belle aveva visto salendo verso la cima. Ora non avrebbe più visto il suo specchio impietoso che la bistrattava, non avrebbe più sentito le voci, non avrebbe più … ecco era arrivata. Le palpebre le si chiusero in un sonno eterno di libertà.


mony seed pubblicato il 24.10.2011 [Testo]


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