La rabbia è un sentimento strano, ti prende, ti avvolge e mette radici dentro la tua anima, da queste radici crescerà un arbusto il quale produrrà a sua volta una vera pianta, la pianta della rabbia, avrà le sue foglie più rigogliose nel momento che io le nutrirò, i suoi frutti non saranno dolci e saporiti ma amari e pieni di sensi di colpa, la rabbia sarà la mia padrona?. Così stava pensando il signor Antonio mentre seduto davanti al televisore spento e dopo l’ultima grande sfuriata con la ragazza per una cosa che in quel momento pareva la cosa fondamentale, urla e strepito, tutta la casa ne era invasa, la moglie, quando il signor Antonio aveva le crisi, così diceva lei, si ritirava e lo lasciava urlare, fino che si stancava. La signora Carla, la moglie di Antonio aveva imparato che se gli dava corda, se ribatteva non si finiva più, così sopportava e taceva. Il signor Antonio, seduto la sulla sua poltrona pensava a se stesso, di carattere non sono poi uno rabbioso, anzi tutti mi dicono che non bisogna arrabbiarsi, fa male alla salute, quindi devo starmene o almeno provare di restare tranquillo, ma come faccio, come…. E pensando al come fare il signor Antonio si addormentò. Alla signora Carla vederlo così addormentato faceva venire una rabbia, ma come prima urla e strepita, mi spacca la casa e poi dorme, ma adesso lo sistemo io, pensava la signora. Intanto il signor Antonio sognava e si rivedeva ragazzo, i suoi amici lo facevano arrabbiare e gli rubavano la palla e già allora urlava e strepitava, la pianta della rabbia era nata con lui? Con questa domanda nel capo si svegliò e senza farsi accorgere dalla moglie indossò il cappotto e uscì. Fuori era notte, il freddo avvolse il signor Antonio, il quale per ripararsi alzò il bavero del cappotto ma questo gesto servì a poco. Arrivò al fondo della via, la sua intenzione era di fermarsi al bar e magari prendersi un caffè ma l’ora era tarda e il bar era chiuso. Al signor Antonio sarebbe piaciuto prendersi un caffè e magari far quattro parole, Forse avrebbero fatto tacere la pianta della rabbia e magari trovare un momento di serenità. Con questo pensiero egli si allontanò e per non tornare a casa si diresse verso la piazza principale, l’orologio appeso sopra l’edicola era fermo, all’incirca poteva essere la mezza dopo mezzanotte, la strada era deserta e il freddo pungente, incurante di tutto ciò il signor Antonio s’incammino con passo deciso, i negozi chiusi, la strada deserta, pareva un’altra città, sconosciuta, in quell’istante si trovava bene, anche con se stesso, non gli importava di essere solo, anzi lo rendeva sicuro e faceva tacere la pianta che albergava dentro di se. Arrivò in piazza, le panchine vuote, ne scelse una la ripulì dall’umidità e si sedette, la solitudine della notte e le stelle che facevano da guardiane al suo animo contrastato, sempre in lotta per farsi sopraffare dalla sua principale nemica, la rabbia. Pensò a tutte le volte in cui aveva ferito, non fisicamente ma moralmente la propria consorte, la quale aveva sempre sopportato e per amore aveva perdonato. Quante volte, pensava il signor Antonio ho detto, “ti prometto non lo farò mai più, cercherò di controllarmi” con delusione si disse “fino alla prossima volta”. Il signor Antonio voleva veramente provarci, combattere la rabbia era per lui un sogno e in quella fredda notte promise alle stelle sue uniche e mute testimoni che non si sarebbe lasciato trascinare, che non avrebbe reagito urlando alla prima occasione. Si alzò e poco convinto della promessa a se stesso, tornò a casa. Quando si trovò in prossimità della sua abitazione mise la mano in tasca per cercare le chiavi, al tatto non le trovò, il cancello ovviamente chiuso, tentò allora di passare dall’ingresso secondario ma lo trovò rigorosamente chiuso, sferrò un calcio alla porta la quale non reagì, il signor Antonio dimenticò in fretta la promessa fatta e sferrò un altro calcio ala porta ma anche questa volta questa restò muta. Tornò sui suoi passi e l’unica soluzione disponibile fu il campanello, il signor Antonio scartò l’infelice e unica idea, erano forse le tre del mattino, il freddo della notte lo avvolgeva e in breve il signor Antonio decise che non poteva più attendere, suonò il campanello, una, due tre volte, nessuno, sentimenti di ansia e di confusione si intrufolarono nella testa, la certezza che la sua personalissima pianta trovava facile alimento. Con rabbia istintiva suonò con forza il campanello, il dito indice spingeva il piccolo rettangolo di plastica, nessuno dall’altra parte provava pietà. Il signor Antonio si trovava completamente avvolto dalla rabbia, finalmente una voce assonnata rispose con un “chi c’è” la risposta del signor Antonio fu furiosa, frasi dettate dalla rabbia investirono la povera signora Carla, la quale, ormai stanca delle promesse del marito decise che era ora di intervenire, e lo fece con studiata sicurezza, si trovava in posizione di netto vantaggio e dall’apparecchio disse “non apro agli sconosciuti, mio marito non c’è”. Nel frattempo gli abitanti del condominio, svegliati dalle urla minacciarono di chiamare la forza pubblica costringendo il signor Antonio ad allontanarsi. Mortificato e ancora fuori di se si allontanò ma con il proposito di tornare e fare una strage. La notte non era finita, il signor Antonio pieno di livore e senza una meta decise di eliminare la sua pianta che non sapeva domare. Tornò allora sulla piazza, la panchina che aveva lasciato era ora occupata da un vagabondo, questi dormiva placidamente, avvolto nel suo cappotto maleodorante, il signor Antonio guardò l’uomo, questi occupava la sua panchina, all’onor del vero di panchine la piazza era piene e a quell’ora di occupate ve ne era giusto una, la sua. Il signor Antonio amava quella panchina, anche se era la prima volta che ci si sedeva, ma era li che aveva giurato la lotta alla sua nemica, la rabbia, ora quel giuramento fatto alle stelle era miseramente fallito, era solo, solo come quel barbone. Si sedette in un angolo della panchina cercando di non svegliare l’uomo, ma il rumore, il parlare e il freddo lo svegliarono, il signor Antonio impaurito si alzò e rapidamente si allontanò, in fin dei conti non era così coraggioso e quando urlava e strepitava era sempre solo a casa sua, mai fuori. L’uomo della panchina si alzò, a vederlo in piedi faceva ancora più paura, alto, una barba nera, lunga, due occhi di fuoco fulminarono il signor Antonio, il quale non fece abbastanza in tempo a fuggire che una mano l’agguantò per il bavero del cappotto e lo trascinò alla panchina, il signor Antonio si dibatteva cercando di svincolarsi dalla presa, ma l’uomo disse “ sei tu che mi hai svegliato, tu con le tue cazzate sulla rabbia, mi sembri un vero cretino” Il signor Antonio era terrorizzato, e con una voce checca implorò l’uomo di lasciarlo andare, ho la moglie a casa che mi aspetta, disse, non venne creduto, e il suo continuo parlare scatenò la reazione del vagabondo che gli assestò un gran pugno sul naso del signor Antonio e lasciando la presa dal bavero, rilasciò anche un calcione nel di dietro dello sfortunato signor Antonio, il quale finalmente libero fuggì lesto. La notte era al termine e il signor Antonio tutto dolorante si diresse rapidamente verso casa, la rabbia era totalmente scomparsa, e la sua pianta che tanto lo aveva tormentato era seccata, quasi felice arrivò sotto casa e suonò il campanello, subito la signora Carla, la quale attendeva quello squillo, rispose “chi è”, sono Antonio, tuo marito, apri sono tornato. “
Osvaldo
pubblicato il 25.03.2013 [Testo]