Carlos tirò su il bavero del cappotto ed affrettò il passo. Come ogni mercoledì si stava recando a casa di Manuel per la consueta partita di poker con i suoi amici. Era un inverno estremamente rigido e le sue ossa se ne stavano accorgendo. Cercava di camminare con passo sostenuto evitando le pozzanghere sul marciapiede. Solo cinque isolati lo separavano dalla sua meta, i soliti cinque isolati che aveva percorso negli ultimi 15 anni, ma quella sera gli sembravano una distanza incolmabile. Era in ritardo come al solito. E come al solito era uscito di casa sbattendo la porta perché, come al solito, aveva litigato con Maria. Perché le donne devono sempre rompere le palle? E' un fatto genetico? Non l'aveva mai capito. Ma la verità era un'altra e lui lo sapeva. Maria non rompeva le palle più di tanto, ma riguardo alla sua partita a carte settimanale aveva ragione. Non navigavano certo nell'oro lui e Maria, anzi, per dirla giusta, cercavano di arrivare alla fine del mese. Era ovvio che la sua compagna fosse furibonda per il fatto che lui, ogni mercoledì negli ultimi quindici anni, fosse uscito per andare a giocare e puntualmente fosse tornato con le tasche vuote. Lei non sopportava il fatto che Carlos buttasse il denaro a quel modo e lui non poteva dargli tutti i torti. Il problema fondamentale era uno solo; Carlos, in quindici anni, non aveva mai vinto. Mai una sola volta. Così , ogni mercoledì , era uscito da casa agguerrito e determinato più che mai, convinto che quella sarebbe stata la notte della riscossa, e puntualmente era tornato con la coda tra le gambe. Si sentiva mortificato, ferito nell'orgoglio, deriso dai suoi compagni di gioco dei quali era diventato lo zimbello. Si sentiva in colpa nei confronti di Maria, alla quale cercava di dare una vita migliore con il solo risultato di peggiorarla. Pensò che stava decisamente sbagliando qualcosa. Così quel pensiero che lo aveva tormentato negli ultimi tempi iniziò a riemergere. La luce arancione dei lampioni si rifletteva sul selciato bagnato e gli faceva sembrare quella strada, quel quartiere, quasi accettabili.. 'Comportati da uomo' disse a se stesso. 'Tira fuori le palle. Affronta la cosa come si deve. Smettila di fare il cretino'. Camminava e parlava con se stesso. Perché lui sapeva quale era la cosa giusta da fare. L'aveva sempre saputo. Ma il desiderio di rivincita, di riemergere lo aveva trascinato, avvinghiato, travolto. E lui si era lasciato trasportare in qualcosa che non sapeva controllare. Vide la sua figura riflessa in una vetrina e si fermò. Si guardò attraverso il vetro. Si accorse di avere le spalle leggermente curve e le tirò subito su. Cercò di giudicarsi obiettivamente. Concluse che per avere quarant'anni avrebbe potuto avere un aspetto migliore. Non era mai stato un bell'uomo. Il massimo complimento che aveva mai avuto da una donna era stato 'interessante', che è un modo carino di dire 'fai schifo, non te la darò mai ma se vuoi possiamo essere amici''. Tutte tranne Maria. La sua Maria. Quando, molti anni prima, aveva accettato di uscire con lui, Carlos pensò che fosse per prenderlo in giro. Maria, la ragazza che tutti desideravano, che tutti corteggiavano, che tutti avrebbero voluto nel letto, usciva con lui. Della sua bellezza non aveva avuto bisogno di conferme. Furono la sua semplicità, la sua sincerità e dolcezza a stupirlo leggermente. Maria, che avrebbe potuto scegliere chiunque, decise di essere la sua donna. Inconsapevolmente accennò un sorriso a quel ricordo. Al ricordo di come toccava il cielo con un dito, di come si sentiva un uomo completo, felice. Di come si amavano. Di come si desideravano. Di come si prendevano. Mai una donna lo aveva fatto sentire importante, lo aveva gratificato come aveva fatto Maria.Quando si sposarono e andarono a vivere in quei quaranta metri quadrati si sentirono come due principi. Il lavoro part-time di Maria presso il supermercato ed il suo lavoro alla nettezza urbana erano sufficienti per condurre una vita dignitosa. Tutto sembrava perfetto. 'Sei un coglione' disse a se stesso fissandosi nella vetrina. Stava mandando tutto a puttane. Un vero imbecille. La brama di recuperare il denaro bruciato in tutti quegli anni lo faceva ricadere ogni settimana nella stessa trappola. Eppure, nel suo intimo, sapeva che quello era un comportamento suicida. Non vi era nulla di positivo in quello che stava facendo. E neppure di gratificante. Quei mercoledì erano diventati un incubo per lui ed avevano perso anche di significato. La voglia di stare con i suoi amici era svanita. Essere preso per il culo costantemente e ripetutamente lo aveva allontanato da loro. Era evidente; tornava lì solo per quella assurda presunzione di recuperare il suo denaro. Quindi, traendo le somme, il risultato era evidente. Stava gettando il denaro suo e di Maria da vero incosciente.
Lo faceva in un modo che non lo divertiva nemmeno. Stava rischiando anche di perdere Maria. Questo ultimo punto gli provocò un brivido. Perdere Maria? Non riusciva neppure lontanamente ad immaginare una vita senza lei accanto. L'aveva fatta incazzare davvero. Quella sera in modo particolare. Lei aveva alzato la voce, aveva urlato. E Carlos, come al solito, aveva ignorato le sue urla. E lei si era incazzata ancora di più. Dalla sua bocca erano uscite delle parole che non sembravano dette da lei. Maria era una passionale in tutte le sue manifestazioni. 'Devo portarmi a letto qualcuno per farti restare a casa?!!!' gli aveva urlato. Carlos sorrise di nuovo. Maria....Maria. Che caratterino la sua donna. Combatteva per tutto quello in cui credeva e a cui teneva. Quelle minacce. Andare con un altro uomo. Non l'avrebbe mai fatto. Non era nella sua indole. Ma era una combattente e in guerra tutto è consentito. Dio come l'amava. Affrettò il passò ed in cinque minuti fu sotto casa di Manuel. Salì le scale con una serenità con non provava da molto tempo. Come ogni settimana la porta si aprì e gli sberleffi, le battute su come loro, i suoi amici, avevano bisogno di soldi, lo aggredirono. Imbecilli. Guardava i loro volti. Quelle smorfie. E si sentì , per la prima volta dopo anni, forte. Lui era migliore di loro. Lui era molto più fortunato di loro. Quattro deficienti che non aspettavano altro che il mercoledì per mettersi in tasca un po' di denaro. Per pagarsi le rate della macchina o del cellulare o per qualche puttana. Che quartetto di idioti. Si sentì forte. Forte della sua decisione. Forte di quello che possedeva e che aveva rischiato di distruggere. Forte del fatto che quella sarebbe stata l'ultima partita per lui ! Si. L'ultima volta, e poi mai più. Guardò i suoi compagni di gioco. I loro sguardi felini, famelici, mentre venivano distribuite le carte. Banda di idioti. E' proprio vero. I detti popolari hanno sempre un riferimento reale. Come si dice....'Fortunato in amore non giochi a carte'. Era proprio quello il punto. Come aveva fatto a non capire in tutti quegli anni cosa rischiava di perdere? Maria. Che lo aveva sempre amato e atteso nonostante la sua idiozia. Proprio l'amore di Maria gli aveva sempre dato la forza di vivere. E forse proprio quell'amore gli impediva di vincere a carte, ma diavolo !!!...Come pensare di mettere a confronto le due cose!!!! Maria che lo aveva sempre amato ed era sempre stata dalla sua parte. Nonostante lui avesse messo a dura prova il suo amore.
Sarebbe tornato da lei quella sera. Le avrebbe detto quanto era importante per lui e le avrebbe detto che con le carte era finita. Non avrebbe più gettato denaro. E sarebbe sempre rimasto con lei. 'Fortunato in amore non giochi a carte'. Perché non aveva dato retta prima a quel proverbio? L'angolo della bocca gli si curvò in un sorriso. Si sentì felice. Aprì le sue cinque carte con superficialità. Guardò i quattro fessi intorno a lui e rise dentro di sé. Improvvisamente il suo cuore perse un colpo e quasi si fermò. Sentì una goccia di sudore freddo scendergli lungo la schiena. I suoi occhi stavano fissando le sue cinque carte. Stavano fissando una scala reale di cuori.
Roberto Fischetti
pubblicato il 02.08.2006 [Testo]