Quella notte i suoi passi erano diversi, era come se stesse perdendo materia, ma non era una cosa terribile, anzi tutto ciò lo faceva sentire leggero come l'aria del primo inverno che si affaccia timido quasi scusandosi per la feroce intrusione. Giunse al cancello che segnava i limiti con il mondo esterno, lo varcò cercando da quel momento di camminare appoggiando ad ogni passo tutta la superficie del suo piede, nonostante il suo corpo avesse ora il peso di un uccello di piccole dimensioni. Ci volle poco a percorrere il vialetto che pareva essere un'ouverture ad una grande opera sinfonica, fu così rapido che quasi non si accorse delle sue emozioni, per un attimo nascoste dalla brevità del tempo. Bussò con discrezione, e la porta si dischiuse in un silenzio che pareva una lunga attesa. Dov'eri? Perché così tanto prima della tua venuta? Lo spessore di questa quiete aveva l'odore del mare di notte. Una volta dentro, gli argini della coscienza si ruppero in un battito di ciglia, cominciò il viaggio tra stanze e corridoi densi di ciò che era stato un tempo, e che continuava a respirare a dispetto della caducità dell'esistenza. Ciò che il suo spirito assaggiò nel suo incedere discreto non fu mai detto, rimase fermo come ibernato e conservato per un tempo infinito, come se l'anima proprio lì avesse trovato la sua continuità perpetua... e l'universo si fece a portata di mano.

Tiziano Torchetti pubblicato il 11.12.2008 [Testo]