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Uno scritto a caso

Io scrivo
[scritto]
Alessio Stern
04.05.2008

VII capitolo

Il barbone

il barbone

 

Poiché il padre aveva osato interferire anche nelle scelte degli amici da frequentare, Viola gliene aveva dette di tutti i colori, poi, sbattendo la porta, era uscita alla ricerca di un po' d'aria pura, di un po' di sole, di un po' di libertà.

Era giunta alla Marina accompagnata da Saverio, che, guarda caso, era sotto il portone ad offrirle un passaggio.

Si sarebbe messa persino con Saverio, per far dispetto al padre e non sapeva che, proprio a Saverio, il padre l'aveva promessa.

Saverio, il giovane avvocato, assunto nello studio per risolvere le controversie che spesso intercorrevano tra i clienti e la Tributaria, era un bravo ragazzo, dai sani principi, il marito ideale per lei. Non avendo figli maschi, se i due si fossero sposati, avrebbe assicurato la continuità allo studio e alle sue ambizioni.

Di solito, Viola gradiva "i tormentoni" della musica estiva, che dal bar si spandevano per l'intera spiaggia.

Quella mattina, invece, le giungevano fastidiosi come la voce di Saverio che, facendola partecipe delle varie soluzioni per una causa in corso, non riusciva a rilassarsi neppure un attimo.

Per fortuna aveva adocchiato un angolo tranquillo, lontano da tutti, dove si sarebbe sdraiata per godersi in santa pace il mare, che trascinava a riva le sue increspature, in un dolce, riposante sciacquio.

Si alzò per raggiungerlo, nella speranza che Saverio, disteso sulla stuoia, dopo averla sistemata alla perfezione, vi sarebbe rimasto, in compagnia delle sue elucubrazioni processuali.

"Aspetta, vengo con te!", tirandosi sù con un balzo da vero atleta, invece, la raggiunse.

"Tu non vieni! Voglio stare un po' per i fatti miei!", stizzita, cercò di fermarlo.

"Che ti prende? Vuoi che me ne vada e ti lasci tornare a casa da sola?", il giovane rispose con occhi che mandavano faville, contrastando la pacatezza dei modi.

"Sei gentile, e per questo ti ringrazio, ma ripeto: voglio starmene per i fatti miei; sono grande e vaccinata e da sola tornerò a casa. Fidati!", gli si rivolse contro.

"Non puoi farmi questo, dopo la promessa!",il giovane insistette.

"Io non ti ho promesso niente! Va' al diavolo e lasciami in pace, ti dico!"

"Sei arrabbiata; la discussione con tuo padre ti fa veder tutto nero, ma ci sono io a consolarti! Dai, gattina, ritira le unghie e dammi un bacio!", cambiando tono cercò di blandirla, nel tentativo di abbracciarla.

"Come fai a sapere della lite con mio padre? Eri dietro la porta a spiarmi?", gli chiese, spintonandolo.

"Non ti spiavo, mi ha telefonato lui mentre ero nei pressi dello studio, alla ricerca di un parcheggio."

"Dunque, è una congiura! Che vi siete messi in testa, che sono di vostra proprietà? Che potete disporre di me come vi pare?", gli urlò.

"E' necessario chiarire alcune cose: tuo padre mi ha concesso la tua mano; presumo, quindi, di poter pretendere da parte tua un comportamento più consono ad una ragazza per bene! Io, dal mio canto, prometto di avere pazienza con te, perdonando i tuoi balzi d'umore, i tuoi capricci e ce la metterò tutta per renderti felice!", le comunicò.

Saverio, complice il padre, aveva avuto la presunzione di elencarle alcune postille, come fossero di una stipula in corso. Non ci poteva credere e scoppiò in una risata irrefrenabile.

"Perché ridi come una scema? Mi prendi in giro?", minaccioso, il giovane le soffiò sul viso, afferrandola dai polsi.

"Rido perché ero fidanzata con te e non ne sapevo niente. Assurdo, ma vero! Tuttavia, ti do un consiglio: cercati una ragazza per bene, ché io non lo sono! Ed ora, lasciami, cretino, ché mi fai male!", assestandogli alcuni calci sugli stinchi, si divincolò.

A quel punto, Saverio, incurante della sceneggiata , in cui, suo malgrado, si ritrovava da protagonista, alzò la mano per colpirla con rabbia, se un'altra mano non l'avesse fermata.

Un giovane in gins, maglietta, occhiali scuri, berretto con visiera, lunghi capelli e barba incolti, si era goduta la scena insieme ad altri, per intervenire al momento giusto.

"Signorina, questo tizio la sta importunando?", tuonò la sua voce, e rivolto a Saverio, con un sorriso che non prometteva niente di buono:

"Non si picchiano le donne! Lasci in pace la signorina o saranno guai!""

"Io e questa signorina non abbiamo bisogno di ficcanaso! Sparisci, se non vuoi che ti prenda a pugni o chiami la polizia!", Saverio gli intimò, aggiungendo parole indicibili, che nessuno, fino ad allora, gli aveva sentito proferire.

Viola, infatti, non aveva mai visto né udito Saverio, di solito propenso più agli accomodamenti che agli scontri, così sicuro e determinato e, per un istante, ebbe per lui dell'ammirazione: aveva mostrato gli attributi, finalmente!

Ma il tempo dell'ammirazione durò ben poco: in men che non si dica, lo vide disteso a masticar sabbia per un colpo bene assestato dal barbone.

Invece di darle, dunque, le aveva ricevute, senza sconti!

Saverio, che curava il suo corpo frequentando palestre di arti marziali, si era fatto stendere da uno, all'apparenza più esile. Dimenticando ogni cruccio, fu colta da una sorta di contentezza: due uomini si erano battuti per lei! Avrebbe riso di gusto, ma cercò di mostrarsi seria, nel difendere Saverio:

"Il mio amico ha ragione! Come si permette d'impicciarsi di fatti che non la riguardano? Si può sapere lei chi è, vestito a quel modo? Un barbone di passaggio o un ladruncolo che si vuole approfittare di una nostra distrazione?"

A ridere di gusto, questa volta fu il barbone, che al suo sguardo stupito le incollò sulla guancia un sonoro bacio, prima di allontanarsi, continuando a ridere.

Viola era indecisa se andargli dietro e prenderlo a schiaffi o soccorrere Saverio, che, intontito, giaceva sulla sabbia a contemplare gli esiti della sconfitta: il tizio sapeva ben colpire senza lasciare tracce, a parte quelle del dolore e della vergogna.

Decise di restarsene ferma, giacché lo sconosciuto aveva raggiunto un gruppo di altri dal suo stesso aspetto. Un branco di fuorilegge? E se così fosse stato, doveva considerarsi fortunata per non aver subita alcuna aggressione, a parte quella del bacio.

Ma era stata davvero un'aggressione? A quel pensiero non poté fare a meno di arrossire.

"Se ne è andato l'energumeno? Hai finito di civettare? Bella figura, mi hai fatto fare!", le andava dicendo Saverio, porgendo la mano affinché l'aiutasse ad alzarsi.

Non rispose, ma lo sguardo aveva un significato ben preciso, e Saverio si alzò da solo.

Di che colore erano gli occhi del barbone? Forse neri, di certo non chiari; li aveva appena intravisti sotto la visiera di quell' assurdo cappellino, durante il bacio. E le mani? Malgrado il discutibile aspetto dell'abbigliamento, le mani, nerborute e forti, non erano trascurate, anzi! E la bocca? Ne ricordava il sorriso impertinente. Caldo, il tocco, e ancora si sentì di arrossire, poiché neppure nei più trasgressivi dei suoi sogni aveva immaginato una simile alchimia per un fugace contatto con uno sconosciuto. Per scrollarsi di dosso tali pensieri, prese dalla borsa fogli e penna e iniziò a tracciare uno schema, fatto di righi, caselle, numeri, a completamento della pratica che aveva sbattuto sulla scrivania del padre, prima di uscire infuriata dallo studio.

"Povero papà, forse meriterebbe una figlia più arrendevole, anche se i miei momenti di ribellione non sono che fuochi di paglia!", pensava intanto, per tacitare il suo turbamento e la sua coscienza.

Viola amava moltissimo il padre, per il quale aveva tradito i suoi sogni, pentendosi persino, di averne appena vissuto uno della durata di un solo istante.

Gli avrebbe consegnato lo schema, quale ammissione di colpa, e comunicato che si sarebbe sposata con Saverio.

Lui o un altro per lei non faceva differenza, perché la differenza l'aveva provata in un attimo della sua vita, di sicuro,irripetibile.

 

(continua)

 


Vally Sabbà pubblicato il 24.05.2010 [Testo]


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