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Uno scritto a caso

guardardando il cielo
[poesia]
alessandra albensi
20.11.2007

Il Buon Samaritano

"Ho tentato di raccontare questa parabola (Luca 10, 25-37) dal punto di vista di un Samaritano un po

'

L'infuocata sfera solare incendiava l'aria del primo pomeriggio, rendendola quasi irrespirabile. Un cavaliere solitario avanzava lentamente nell'opprimente calura, seguendo il polveroso sentiero che si snodava fra gli alti canaloni di pietra. Gli zoccoli della sua cavalcatura risuonavano sul fondo pietroso ricoperto di sabbia.
Elia alzò lo sguardo verso la palla dorata che sostava senza pietà sopra di lui; sapeva bene che non era il momento migliore del giorno per mettersi in viaggio, ma desiderava ardentemente essere a casa prima del tramonto. Numerose bande di fuorilegge infestavano quella zona semidesertica e dimenticata, e non era prudente farsi trovare sul sentiero dopo il calar del sole.
Il corpulento uomo bevve ancora un sorso d'acqua dall'otre appeso alla sella, il liquido ormai divenuto una brodaglia calda. Aveva anche sentito dire di uomini assaliti in pieno giorno e rabbrividì , nonostante l'afa terribile. Sfiorò il gladio che portava al fianco, una splendida lama di fabbricazione romana, e si sentì un po' meglio. Non amava le armi, ma averne una ora lo rendeva più tranquillo. Strinse l'impugnatura d'osso e sfoderò la corta spada: il lucido ferro battuto mandò bagliori dorati. Elia sorrise; gli era costato ben cinque denari, una cifra folle, ma era convinto che li valesse davvero. Rinfoderò la lama, pregando ardentemente Dio di non doverla mai usare.
Si passò ancora una volta la mano sul viso per detergersi il sudore che gli scendeva sugli occhi; il suo bel vestito grigio era ormai irrimediabilmente chiazzato, così come il berretto che portava sul capo calvo.
Il sentiero cominciò a scendere; dapprima solo con una lieve pendenza che però presto crebbe, fino a trasformarsi in una vera e propria discesa. Afferrò le briglie con entrambe le mani per controllare meglio la sua cavalcatura e farla rallentare leggermente. Il povero asino emise un raglio carico d'insoddisfazione. Elia si rimproverò con se stesso per non aver preso lo stallone persiano al posto del vecchio ronzino. Il cavallo però serviva a suo figlio maggiore, per la visita al cantiere nautico sul Giordano. Lì era in costruzione il suo primo peschereccio, una barca di nuova concezione, più alta e larga di quelle attuali.
Aveva investito tutto in quel progetto e desiderava chiedere la benedizione di Dio. Così quella mattina, alle prime luci dell'alba, era partito alla volta di Gerusalemme con il suo agnello migliore. Si era subito recato al Tempio per il sacrificio e la preghiera, ma sperava anche di poter fare qualche buon incontro. E' risaputo che numerosi mercanti visitano giornalmente la città sacra, e sono tra i più ricchi della Palestina. Dio dovette aver ascoltato le sue preghiere, poiché un ricco commerciante si era mostrato molto interessato alla sua barca innovativa e l'avrebbe affittata non appena ultima. Gli aveva fatto anche intendere che, se si fosse rivelato un buon investimento, presto ne avrebbe prese altre. Elia era ripartito felice e pieno di speranza.
La strada ora peggiorava ad ogni passo, diventando sempre più impervia e scoscesa. Il sentiero si era ristretto moltissimo. Ai lati le pareti rocciose si riempirono d'insenature e anfratti in ombra. Dovette ben presto dedicare tutta la sua attenzione a guidare l'animale in quel percorso sempre più pericoloso. Era costretto a continui cambi di direzione per evitare le buche e i massi sporgenti che disseminavano il terreno.
<< Maledizione! >> Imprecò, mentre uno zoccolo cadeva in fallo, sbilanciando violentemente la bestia, e per poco non rischiò di essere sbalzato di sella. Un lungo raglio di protesta si levò dal sentiero.
<< E va bene! Dannazione!>>
Fermò l'asino e, sceso di sella, lo afferrò per le briglie portandolo al passo. Detestava dover fare una cosa simile, ma rischiava di azzopparlo e poi sì che sarebbero stati guai! Avrebbe continuato così finché il sentiero non sarebbe tornato agibile.
Mentre avanzava, cercando di sfruttare la breve ombra delle rocce, non si accorse delle tre figure che lo osservavano da dentro un anfratto. I tre sogghignarono nel vedere il suo stato di difficoltà e anche se notarono la spada alla cintura non se ne preoccuparono. Impugnando i bastoni si lanciarono sull'incauto viandante.
Elia avvertì dei passi veloci dietro di lui e voltatosi vide tre uomini sparuti, sbucati dal nulla, con le vesti lacere e le capigliature incolte, armati di lunghi bastoni. Sui visi barbuti, striati di sporcizia, aleggiava un sorriso malevolo. Erano apparsi improvvisamente alla sua sinistra ed ora distavano solo pochi passi. Ogni tentativo di fuga era impossibile.
<< Salute a te, cavaliere >> lo apostrofò il più vicino dei tre, mentre faceva oscillare il bastone e si preparava a colpire. Gli altri risero; schegge di denti marci in gengive scarnificate.
Elia lasciò le briglie ed indietreggiò; una paura folle s'impadronì di lui. Afferrò velocemente l'impugnatura d'osso sfoderando l'arma. La lama brillò come fuoco liquido. Non si faceva troppo illusioni sulla sua sorte, ma improvvisamente ritrovò la calma. Non sarebbe morto da vigliacco. Affidando l'anima a Dio si lanciò sul primo aggressore, urlando:
<< Dio degli eserciti, aiutami! >>
Il brigante fu colto di sorpresa da una simile reazione; alzò il bastone cercando di intercettare il colpo, ma l'affilata lama romana lo spezzò come un fuscello e continuò la sua corsa fino a piantarsi in profondità nella spalla sinistra. L'uomo urlò di dolore. Nel disperato slancio del suo affondo, Elia lo travolse scaraventandolo a terra, ma non riuscendo a frenare il proprio impeto perse l'equilibrio e cadde anche lui, finendo sopra il bandito.
Gli altri due rimasero pietrificati dallo stupore alla vista del compagno ferito; il seme del dubbio si affacciò nelle loro deboli menti. Ma Elia non era un guerriero, non sapeva nulla di scontri e di battaglie. Ora faticava a rimettersi in piedi, ostacolato dall'ampia veste e dalla sua corporatura abbondante. I due si mossero rapidi.
Elia cercò di rialzarsi velocemente dalla massa scalciante sotto di lui, ma era mezzo accecato dalla sabbia e la sua larga tunica non lo aiutava; riuscì in qualche modo a mettersi carponi tossendo e sputando nel polverone che aveva creato. Udì i lamenti dell'uomo sotto di lui. Improvvisamente si rese conto di aver lasciato la presa sulla spada. Allungò la mano verso il bandito, ma questi stava già strisciando lontano da lui, imprecando come un demonio, mentre tentava inutilmente di estrarre la lama dalla ferita. Elia si rialzò con un rantolo, ma non era ancora in piedi che un dolore lancinante gli esplose sulla schiena. Gli altri erano arrivati. Una seconda bordata lo fece cadere definitivamente in ginocchio. Tentò di afferrare le gambe di uno dei due assalitori, ma un colpo terribile sul viso lo scaraventò di nuovo a terra; la sua bocca si riempì di sangue misto a sabbia.
<< Bastardo di un ebreo! >> Esclamò il più anziano dei due fuorilegge, mentre lo prendeva a calci nello stomaco << che cosa cazzo credevi di fare eh? >>
Elia urlò. Il dolore era troppo grande.
<< Questo ciccione schifoso per poco non ammazzava Haruk! >> Disse il secondo, il sudicio viso contorto in un ghigno di piacere alla vista dei violenti calci del suo compare.
<< Avanti Aganemo, spoglia questo sacco di merda; quella stoffa deve valere un bel po'! Io vado a vedere come sta Haruk >> e si voltò verso il terzo compagno ancora a terra che urlava dal dolore, cercando disperatamente di estrarre il pugnale dalla ferita.
Aganemo intanto, impugnando una daga arrugginita dalla lama smussata, si diede da fare per strappare di dosso le vesti ad Elia, insultandolo e picchiandolo senza pietà.
<< Forza schifoso di un giudeo, vediamo se hai il cazzo spellato come dicono! >>
Elia piangeva per il dolore e la vergogna, raggomitolato al bordo della strada mentre il suo aguzzino raccoglieva le strisce di prezioso tessuto che un tempo erano state le sue vesti e le gettava nelle bisacce appese alla sella dell'asino. Stessa sorte toccò ai suoi sandali, alla cintura con il borsello e al berretto.
<< Dov'è il tuo possente Dio ora? >> Gli si rivolse, << Si è forse dimenticato di uno stupido grassone come te? >>
Quelle parole erano più dolorose dei calci e delle percosse per Elia, mentre versava le sue lacrime amare e continuava a pregare il Signore di dargli una morte rapida.
Il bandito più anziano, che si chiamava Naras ed era il capo di quella miserevole banda d'accattoni, tornò sorreggendo Haruk e con infilato nella cintura la spada di Elia. Il ferito era cinereo in volto e sanguinava ancora copiosamente dalla ferita, fasciata alla meglio da una striscia di stoffa lurida.
<< Quel cane aveva un gladio, dannazione a lui! >> esclamò Naras.
<< Sporco ebreo! >> Aganemo sferrò un'ennesima, violenta bastonata alla figura nuda raggomitolata ai suoi piedi; schizzi rossi chiazzarono la sabbia.
<< Sgozziamolo con il suo prezioso pugnale, è quello che si merita! >>
Ma in quell'istante si udirono distintamente gli zoccoli di una cavalcatura che si avvicinava da nord. Il cavaliere non era ancora visibile, ma sarebbe presto apparso da dietro la curva.
<< Prendi l'asino Aganemo, dobbiamo sparire. Potrebbe essere una pattuglia! >>
Aganemo imprecò, ma afferrò le redini della spaventata bestia e seguì Naras che trascinava frettolosamente il compagno ferito verso una fenditura nella roccia. In pochi attimi scomparvero.
Elia rimase immobile senza aprire gli occhi; tutto il suo corpo era un'unica fonte di dolore. Non riusciva più a muovere le gambe.
Erano andati via? Sì , non si sentiva più niente. No... non niente... c'era un rumore di zoccoli sul terreno... e si stavano avvicinando... una flebile speranza s'impadronì di lui, forse non tutto era perduto. Aprì gli occhi cercando di mettere a fuoco la strada. Il dolore alla schiena era terribile e aveva le gambe come pezzi di roccia. Con penosa lentezza cominciò a trascinarsi verso il centro del sentiero. Il cavaliere apparve: un uomo alto in sella ad uno stupendo morello. Era ben vestito, con abiti candidi bordati d'oro e lo sguardo ascetico e distante. Lo scudo di Davide brillava sul suo petto. Elia ebbe un tuffo al cuore; era un Sacerdote del Tempio! Tentò di alzare un braccio, ma per lo sforzo quasi svenne; un flebile gemito che voleva essere un grido gli uscì dalle labbra spaccate.
Non può non vedermi...
Il Sacerdote deviò il suo destriero sull'altro lato della strada, senza degnare nemmeno di uno sguardo la nuda figura sanguinante. Elia urlò davvero questa volta, tese il braccio verso il bianco cavaliere che si allontanava, ma inutilmente. Egli già sapeva, in cuor suo, che quell'uomo non avrebbe mai rischiato di contaminarsi con il suo sangue per aiutarlo.
<< Signore perché mi fai questo? E' per i miei peccati? Che cosa ho fatto per meritarmi questo? >>
Così si tormentava, mentre il sole, che cominciava lentamente a scendere verso l'orizzonte, bruciava le sue bianche carni. Provò a cambiare posizione, cercando di rialzarsi, ma era troppo debole. Riuscì solo a trascinarsi verso le rocce sul bordo della strada, alla ricerca di un po' d'ombra. Era talmente impegnato in quella dolorosa operazione, che quasi non si era accorto dell'individuo che avanzava a piedi verso di lui. Indossava una semplice tunica, disadorna ma d'ottima fattura, sandali di cuoio e un largo copricapo. Portava una bisaccia ed un otre al fianco. Il sigillo che pendeva sul suo petto lo identificava come un appartenente alla tribù di Levi. Il servitore del Tempio lanciò una breve occhiata alla lacera figura sdraiata ai margini del sentiero, ma quando vide le ferite e il sangue si affrettò a passare dall'altro lato. Elia emise un grido rauco nella sua direzione:
<< Aiuto! Aiutatemi vi prego! Abbiate pietà! >>
Ma il Levita passò oltre.
Sfinito, si appoggiò alla roccia e chiuse gli occhi. Era ormai sicuro che sarebbe morto così , su quella strada maledetta. Ripensò alla giovane moglie ed ai suoi figli, che non avrebbe mai più rivisto. Una tristezza immensa gli invase il cuore. Cominciò a piangere disperatamente.


*


Enos guidava il suo focoso sauro lungo il sentiero accidentato, contenendo gli scarti violenti del possente cavallo da guerra, non abituato a quel tipo d'andatura.
<< Buono Argo, calmo >> gli sussurrò, accarezzandogli la criniera rossiccia.

Argo sbuffò di protesta, ma si tranquillizzò nell'udire la voce del suo padrone; con una serie d'agili balzi superò un brusco dislivello, fino a portarsi su un tratto di sentiero meno ripido. La forte calura pomeridiana non infastidiva molto il cavaliere e la sua cavalcatura, entrambi abituati a lunghe marce nel deserto. Enos afferrava le redini con la mano sinistra, mentre la destra era chiusa sull'impugnatura del giavellotto. Il suo sguardo allenato scrutava negli anfratti e nelle gole, alla ricerca dei segni di un'eventuale imboscata. Argo fremette per aumentare l'andatura, ma Enos lo tenne al passo. Non voleva rischiare che si azzoppasse; per nulla al mondo sarebbe sceso di sella lì ! Sistemò meglio il grosso scudo tondo che teneva sulla schiena, sul cui lucido rivestimento di bronzo campeggiava la montagna sacra, il Garizim, mentre i suoi occhi non abbandonavano mai le pareti rocciose; sarebbe bastato un buon arciere per mettere fine al suo viaggio. Fortunatamente gli archi erano armi costose e difficili da realizzare, e gli arcieri non abbondavano in Palestina.
Diede uno sguardo al suo, di arco, agganciato al fianco sinistro della sella e già cordato. Un'arma pregiata, costruita in robusto bambù, corno e tendine di bue. Era appartenuto ad un capo tribù dei Parti. Enos lo aveva vinto a duello parecchio tempo fa, in una locanda di Babilonia. Per cinque anni aveva servito nell'esercito Parto, combattendo contro i Romani nelle continue scaramucce di frontiera. Si era subito distinto nel tiro a cavallo, diventando ben presto letale quasi quanto i temutissimi arcieri delle steppe. L'emblema della Montagna Sacra divenne molto famoso fra i centurioni. Roma non apprezzò. Misero anche una taglia sulla sua testa ma Enos non ricordava di quanto denaro. Probabilmente poco, dato che nessuno lo aveva mai infastidito.
Un leggero rumore dietro di lui lo mise in allarme. Si voltò fulmineo, giusto in tempo per vedere due uomini armati uscire da un anfratto a meno di dieci metri. Quasi contemporaneamente, altri due apparvero davanti, ancora più vicini. Pensare ed agire furono una cosa sola per il veterano della Cappadocia; mentre il giavellotto volava a tutta velocità verso il nemico più vicino, sganciò l'arco e con un unico, fluido movimento incoccò e scagliò senza nemmeno soffermarsi a mirare. Nell'istante in cui la freccia partiva, il giavellotto raggiungeva il primo fuorilegge sfondando carne ed ossa ed inchiodandolo alla roccia. Un istante dopo la freccia raggiungeva il suo bersaglio. Tenendo fermo Argo con la pressione delle ginocchia, Enos si voltò all'indietro, incoccando per la seconda volta e scoccò a bruciapelo dritto in faccia all'uomo che sopraggiungeva. La pesante asta di cedro dalla punta ferrata trapassò cranio e cervello, fuoriuscendo dalla nuca. Il bandito volò all'indietro in un arco cremisi. Il quarto era però vicinissimo, ma la paura ora aleggiava nei suoi occhi. Enos non tentò nemmeno di estrarre un'altra freccia; applicò invece una leggera pressione sul fianco destro di Argo. Il possente destriero, pronto alla battaglia, si voltò di scatto travolgendo il bandito, che cadde a terra rovinosamente. Argo lanciò un terribile nitrito e, com'era stato addestrato a fare, sfondò il cranio dell'uomo con i suoi micidiali zoccoli.
L'intera battaglia era durata solo pochi istanti, ma quattro cadaveri ora giacevano riversi sulla sabbia chiazzata di rosso. Enos riagganciò l'arco alla sella, slegò lo scudo e lo imbracciò scendendo da cavallo. Estrasse la sua lunga spada ricurva e avanzò guardingo tra i corpi a terra. Recuperò le frecce, mentre il giavellotto era rimasto irrimediabilmente danneggiato dall'impatto con la roccia. Enos imprecò fra i denti. Era d'ottima fattura e ci sarebbe voluto del tempo prima di trovarne un altro simile. Trascinò i cadaveri ai bordi del sentiero, mettendoli in fila. Osservando le loro vesti a brandelli e le armi arrugginite, Enos ebbe pietà di quei disperati e pregò il Signore di perdonare le loro colpe. Li coprì alla meglio con un po' di sabbia e rimontò a cavallo. Non poteva fare altro, ed era pericoloso indugiare oltre; sarebbero sorte domande imbarazzanti, se una pattuglia romana lo avesse sorpreso con quattro cadaveri.
<< Vai Argo, via! >> Argo nitrì allegro e ripartì al trotto, superando agilmente le asperità del terreno. Dopo poche centinaia di metri il sentiero si era di nuovo fatto ripido ed accidentato ed il Samaritano dovette concentrarsi attentamente sulla strada. Era entrato in una strettoia che non prometteva nulla di buono, quando notò qualcuno ai bordi del sentiero, appoggiato alla parete rocciosa. Era nudo e sembrava ferito. Non si muoveva. Temendo una trappola afferrò l'arco ed incoccò la freccia, tendendo la corda fino a sfiorargli le labbra. Fece lentamente avvicinare Argo all'uomo, il quale non sembrò accorgersi della sua presenza. Era un individuo corpulento, sopra la quarantina, calvo e dal viso curato. Forse un giudeo benestante. Sul suo corpo erano evidenti i segni di un violento pestaggio. Enos esplorò con lo sguardo le pareti di roccia che lo sovrastavano: tutto era immobile e tranquillo. Ripose l'arco e chiese:
<< Ehi tu? Chi sei? >>


***


Ad Elia parve di udire una voce lontana chiedere il suo nome. Aprì gli occhi con grandissimo sforzo, ma sulle prime la luce accecante del sole non gli permise di vedere nulla. Lentamente rimise a fuoco e vide un guerriero massiccio, armato di tutto punto e in sella ad un destriero enorme. Portava sulla schiena un grosso scudo rotondo. Elia pensò di avere le allucinazioni, ma decise di fare almeno un tentativo:
<< Mi chiamo Elia, mi hanno derubato... stavo andando a Gerico... >>
Il guerriero scese da cavallo e si avvicinò; la sua voce era forte e chiara:
<< Io mi chiamo Enos. Non temere, non ti farò del male. Ho appena ucciso quattro di quei disgraziati, non so se erano gli stessi che ti hanno aggredito. Ora non parlare però. Dobbiamo fasciare queste ferite. Lascia che ti aiuti. >>
Cosi dicendo lo afferrò delicatamente, sollevandolo come fosse un bambino, e lo adagiò sul sentiero. In quel momento Elia notò il simbolo sul suo scudo e lo riconobbe: la montagna sacra di Samaria, il Garizim! Era un Samaritano! Nessuno mai avrebbe esposto un simile emblema, se non fosse appartenuto alla setta. I Samaritani erano mal visti in tutta la Palestina, sia dai Romani che dai Giudei, eppure quel Samaritano lo stava aiutando. Probabilmente non si era ancora accorto che lui era giudeo. L'uomo aveva slacciato lo scudo dalla schiena e lo stava appoggiando alla parete rocciosa. Si diresse verso il cavallo e prese due otri ed una bisaccia dalla sella.
<< Bevi >> gli disse, porgendogli un otre sulle labbra gonfie. Elia bevve e gli parve di non aver mai assaggiato un vino così buono e dissetante. Il forte vino rosso lo rinvigorì e lo rese lucido. Enos cominciò a pulire le sue ferite con il vino rimasto ed una pezza che aveva preso dalla bisaccia. Il bruciore dell'alcool sulla carne viva fu come una benedizione per Elia; per la prima volta in quel terribile pomeriggio cominciò a pensare che forse non sarebbe morto. Enos terminò la pulizia e aprì il secondo otre. Un pungente aroma d'olio si diffuse nell'aria. Il Samaritano sorrise e iniziò a fasciargli le ferite, impregnando le bende nell'olio. Quando giudicò il suo lavoro soddisfacente, lo aiutò ad alzarsi; anche se barcollante, Elia lentamente riuscì a rimettersi in piedi. Piangeva dalla gioia. << Che il Signore ti benedica, Enos!>>
Il sorriso del guerriero si fece più caldo. Prese il suo mantello e lo diede al giudeo.
<< Non puoi camminare, devi riuscire a montare sulla mia cavalcatura. >>
Elia annuì , ma non ci sarebbe mai riuscito se quell'uomo straordinario non l'avesse in pratica sollevato di peso e adagiato sulla sella. Argo manifestò tutta la sua disapprovazione per quel carico sconosciuto, ma era abituato ad obbedire ciecamente al suo padrone e bastarono poche parole per calmarlo.
<< Tieniti al collo del cavallo >> disse Enos, mentre sganciava l'arco dalla sella e se lo metteva in spalla. Si allacciò la faretra al fianco e recuperò lo scudo; se proprio doveva andare a piedi, voleva almeno essere pronto a combattere. Afferrò le redini e cominciò a camminare lungo il sentiero.
E così avanzarono, lentamente. Elia avvolto nel lungo mantello grigio, appoggiato stancamente al collo del possente sauro, condotto al passo da Enos. Fortunatamente non fecero altri brutti incontri e, mentre il sole tramontava, uscirono dal canalone roccioso. Finalmente il sentiero assunse i connotati di una vera strada.
In lontananza si distinguevano le luci di una locanda. Enos guardò il suo compagno: era pallido e respirava con affanno. Chiazze rosse macchiavano le bende.
<<Coraggio Elia, siamo vicini a Gerico ormai. Ci fermeremo in quella locanda laggiù stanotte. Devi riposare. L'oste è un mio amico e ci tratterà bene vedrai. >>
Elia tentò di sorridere.
Avanzarono ancora per qualche tempo, attraverso la luce spettrale del crepuscolo, fino a che non giunsero davanti all'ingresso dell'imponente costruzione di pietra, alta due piani.
Enos aiutò Elia a smontare, ormai prossimo allo sfinimento. Un ragazzo, che era uscito per accudire il cavallo, li salutò
<< Salve signori, benvenuti alla locanda di Tell El Qelt >>
Enos mormorò un ringraziamento.
<< Il vostro compagno non si sente bene? >> chiese, vedendo che Elia non si reggeva in piedi.
<< Non è nulla, prenditi cura della bestia e poi portami tutto il mio bagaglio. >>
Il garzone annuì e si affrettò a condurre Argo nelle scuderie.
L'interno della locanda era fresco e ben illuminato. Un altro giovane stava accendendo il fuoco nel gran camino centrale. I pochi avventori seduti ai tavoli si volsero pigramente verso i nuovi arrivati. Alcuni rimasero ad osservare incuriositi, mentre altri distolsero subito lo sguardo; avevano riconosciuto l'alto uomo con lo scudo in spalla e preferivano non averci nulla a che fare. Enos li ignorò e avanzò verso il bancone trascinandosi dietro Elia.
<< Per gli attributi di Ercole! Ma guarda un po' chi si rivede! Pensavo che stavolta fossero finalmente riusciti ad ammazzarti. >>
La voce proveniva da dietro di loro, e Enos sorrise perchè aveva riconosciuto il tono burbero di Macai, oste della locanda di Tell El Qelt.
<< Sono duro a morire, vecchio mio >> rispose, voltandosi verso il gigante calvo e barbuto che avanzava verso di loro. Macai indossava un ampio grembiule che forse, molti anni prima, doveva essere stato bianco, e stringeva nella mano destra un enorme cucchiaio di legno sgocciolante. Sorrise, mostrando una dentatura bianchissima. L'oste e il guerriero si abbracciarono con calore.
<< Macai mi serve una stanza per me ed il mio amico. E' stato aggredito dai briganti sulla strada ed ha bisogno di cure. >>
L'oste cominciò a grattarsi la barba con la mano libera, mentre osservava attentamente Elia.
<< Lo vedo >> disse alla fine. << Poi prendere la sei, ci sono due letti. Vuoi che mandi a chiamare il chirurgo a Gerico? Mi sembra conciato male il tuo amico. >>
<< Non penso sia necessario. Un po' di riposo e del tuo miracoloso unguento lo rimetteranno in sesto. >>
Macai annuì : << Uhmmm... d'accordo allora, andate subito di sopra; ti faccio portare la cena in camera e anche un bel bagno. Oggi abbiamo stufato di lepre allo zenzero! >> Aggiunse con orgoglio.
<< Il mio piatto preferito! Mi servono anche delle bende pulite e del vino, amico mio >> disse Enos, mentre aiutava Elia a raggiungere le scale per il piano superiore.
<< Ma quando la smetterai di portarti dietro tutta quella ferraglia? Non lo sai che il praefectus Pilato ha emanato un editto restrittivo sull'uso delle armi ? >> gli gridò dietro l'omone.
<< Lo sai il praefectus dove può infilarselo il suo editto? >>
Macai impallidì , voltandosi immediatamente verso gli avventori; ma erano tutti tranquilli, alcuni addirittura sorridevano della battuta. Nessun Romano quella sera alla locanda di Tell El Qelt.
<< Pazzo incosciente, se vuoi farti ammazzare cercati un altro posto, non il mio locale! >>
Enos rise di rimando, ormai dal piano superiore. Sempre con Elia sottobraccio, raggiunse la stanza sei ed entrò. La camera era piccola ma pulita, con due letti appoggiati alle pareti, un armadio e un tavolo con una sedia. Una finestra ad arco si apriva nella parete a nord. Enos adagiò Elia sul letto vicino alla porta, si liberò dalle armi ed esaminò le ferite del suo compagno.
<<Non è niente di grave, sei di una tempra robusta Elia, guarirai in fretta. >>
Elia annuì . Si sentiva sempre più assonnato ma anche fiducioso; il peggio era passato.
<<Enos, perché mi aiuti?>>
<<Eri in difficoltà, era mio dovere farlo. >>
<< Ma io sono giudeo. Ho visto il tuo scudo, tu sei un Samaritano vero ? >>
Enos annuì : << Si, sono di Samaria. Ma Dio non c'insegna forse ad essere misericordiosi anche verso i nostri nemici? Io penso che i nostri popoli non debbano essere nemici Elia; i nostri nemici sono altri. E poi sono convinto che tu avresti fatto lo stesso per me. Ora basta parlare però. Riposati prima della cena. >>
Elia rimase in silenzio; non era molto sicuro di come si sarebbe comportato a ruoli invertiti. Stava per dirlo, quando bussarono alla porta: i ragazzi di Macai avevano portato la vasca per il bagno e i bagagli. Piazzarono la grossa tinozza di rame, colma d'acqua fumante, al centro della stanza e se ne andarono. Enos insistette che fosse Elia il primo. Gli tolse le bende e lo aiutò ad entrare. Per il giudeo, sebbene sfinito, fu meraviglioso potersi togliere tutto il sudore, la sabbia e il sangue di quella terribile giornata. Macai aveva fatto portare anche l'unguento e le bende pulite. Enos asciugò Elia, gli fasciò di nuovo le ferite ungendole con il preparato e lo rimise a letto. Poi si spogliò e si concesse anche lui un meritato bagno ristoratore.
Quando gli inservienti tornarono con la cena, Elia dormiva. Appoggiarono i vassoi e portarono fuori la vasca. Il profumo dello stufato era eccezionale. Enos svegliò Elia per farlo mangiare; inizialmente si rifiutò, ma la bontà del cibo lo convinse a buttare giù qualche boccone, prima di riaddormentarsi del tutto. Enos terminò il pasto e si sedette davanti alla finestra. Rimase in silenzio a contemplare il cielo sempre più scuro, fino all'apparire delle prime stelle. Le luci di Gerico ammiccavano in lontananza e la fredda aria del deserto rinfrescava la stanza. Chiuse gli occhi e levò la sua preghiera al Signore.


***


<< Non sono mica una balia!>> esclamò Macai, mentre versava dell'altro latte di capra nella tazza davanti ad Enos.
Il guerriero fece tintinnare due denari sul bancone.
<< Piantala di frignare, non è ridotto così male. Devi soltanto dargli da mangiare e controllare le ferite. Vedrai che in un paio di giorni sarà fuori. Ho degli affari urgenti da sbrigare in Nabatea, ma al mio ritorno ti darò il resto. >>
Macai afferrò le monete e, dopo averle saggiate con i denti, le infilò nella tasca del suo grembiule. <<Sicuro, sempre se i Romani non ti appendono ad una croce od i Parti non ti scuoiano prima! >>
Enos alzò le spalle << Non temere per me, vecchio grassone!>> Finì il suo latte e si alzò dallo sgabello. Macai uscì dal bancone e gli si avvicinò. << Il tuo amico dorme ancora ?>>
<< Si, è esausto. Non me la sono sentita di svegliarlo. Salutalo tu per me.>>
I due uomini si strinsero la mano, fissandosi negli occhi per un breve istante. Poi si abbracciarono.
Il gigante barbuto mormorò: << Abbi cura di te, dannato pazzo, e non preoccuparti per il giudeo, ci penso io. >>
Enos annuì : << Grazie, che Dio ti benedica >> e così dicendo si voltò verso le grandi porte, già aperte e inondate dai primi raggi solari. Macai rimase immobile sulla soglia, guardando la montagna sacra allontanarsi ondeggiando.
Argo aspettava scalpitando, impaziente di muoversi, tenuto per le briglie dal garzone.
Il Samaritano lanciò una moneta al ragazzo, che sorrise, passandogli le briglie: << Un cavallo stupendo, mio signore. Vi auguro di fare buon viaggio.>>
Enos sistemò il bagaglio e balzò in sella. << Lo sarà >> rispose e spronò Argo al galoppo lunga la strada sabbiosa. Il fiero destriero nitrì tutta la sua gioia, lasciandosi dietro una lunga scia dorata mentre correva incontro al sole nascente.

'


Dott_Gonzo pubblicato il 22.02.2008 [Testo]


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