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Uno scritto a caso

Paolino il Titano
[fantasia]
Rosita Martinelli
30.05.2017

"L'immaginazione dei Sensi"

un mondo surreale, la fascinazione di ogni singolo senso teso alla comprensione di un mondo sconosci

'La donna è una creatura che non è sempre facile comprendere perché ama, senza darlo a vedere, lasciarsi interpretare, proprio come un'opera d'arte contemporanea che non vuole essere compresa al volo, con un solo semplice sguardo, ma pretende una lunga e appassionata contemplazione. Ella adora imbrogliare sempre più il gomitolo di pensieri di chi non si limita ad una superficiale occhiata, ma sceglie, forse involontariamente, di oltrepassare quella linea gialla su cui appare imperiosa la scritta "attention!", in cerca di... cosa? Una verità? Un senso? Una storia? Una ragione? Qualsiasi cosa sappia razionalmente spiegare ciò che, come una calamita, attira, ma a cui neanche si sa dare un nome, forse... E così , con un ingenuo errore d'infantile curiosità, si entra in una realtà surreale interamente femminile da cui è molto difficile, se non impossibile, tornare indietro, perché la crescente curiosità di scoprire quel fascino misterioso che ivi impera induce ad immergersi sempre più in una spirale ipnotizzante che alle spalle inghiotte la sempre più lontana entrata nonché unica via d'uscita. La scritta "attention" sulla linea gialla sfuma sino a divenire invisibile, tutto si fa buio ed un angosciante silenzio gela il luogo in cui si è stati catapultati... Un sobbalzo: è stata accesa una potente luce che pare indicare la via da seguire. Con passo lento e timidamente silenzioso ci si avvia... D'improvviso qualcosa cambia. Lo sgomento è padrone di quello che era un corpo ma che ora non più si percepisce; non esiste movimento seppur lo si comandi, non esiste suono vocale seppur si pensi di spalancare la bocca in un urlo, non esiste vista seppur vi sia il disperato desiderio di vedere! Terrore... Passi... dei passi cadenzati inondano l'unico senso che pare appartenere al corpo insensibile o forse inesistente. Il terrore d'un tratto sparisce, regnanti assoluti di quell'unica percezione sono quei passi imperiosi e incredibilmente sicuri che attraggono su di sé ogni attenzione. Essi ricordano un po' la figura di un'anziana e austera direttrice di una scuola femminile, rigida e impettita nelle sue lustrissime scarpe a tacco largo e basso, uno di quei vecchi modelli in cuoio marrone con la punta arrotondata, sì , proprio quelli... Persi nel gioco di quell'immagine disegnata nella mente si viene richiamati da altri passi: questi, contrariamente ai primi, sono irregolari e incerti, dubbiosi e impauriti, come se si vergognassero di non saper camminare, se potessero arrossirebbero d'imbarazzo... non ricordano forse una bambina che, nel fiore della sua fanciullezza, desidera sentirsi una donna? Furtivamente avrà rubato delle scarpe della madre nascondendole sotto la grande felpa per portarle in camera sua e provarle. Ha puntato in alto scegliendo le scarpe col tacco più alto e più sottile dell'intera scarpiera, magari volendosi sentire una principessa ad un ballo ma riscoprendosi in realtà solo una bambina impacciata e ridicola... Ma anche questi passi si perdono nel vuoto sostituiti, dopo un attimo di silenzioso panico, da passi soavi perfettamente cadenzati non troppo leggeri ma piacevoli all'udito, carezzevoli per quanto la cadenza sia accentata. Forse appartengono ad una giovane donna che cammina decisa, indirizzata dalla bussola dei suoi stivaletti le cui punte la condurranno verso la sua indipendenza e la realizzazione del sogno a cui si avvicina ad ogni singolo passo. E' la nuova donna, quella che si teme ma che si ammira per la sua delicata forza e imperturbabile tenacia. Tornano i tre passi, ordinatamente prima, ma dando poi l'impressione di incrociarsi e intrecciarsi in un confuso gioco d'inseguimenti a cui si aggiungono altri passi diversi e sconosciuti, che si cerca di isolare ed ascoltare ma che si mescolano al marasma di suoni crescenti di numero e d'intensità... è una follia che s'instaura in quel corpo insensibile o inesistente e che miracolosamente lo muove in uno spasmo involontario teso al raggiungimento di almeno uno di quei passi, desideroso di tastarne la consistenza, ma che si risolve in una rovinosa caduta su quello che a tatto sembrerebbe un terreno semplicemente liscio... Pare tornare, nel nuovo smarrimento, quel corpo che si temeva aver perso. Si può nuovamente sentire il calore e il gelo, il morbido e il pietroso e... i lisci capelli che scivolano come sabbia tra le dita in un lento percorso di studio appassionato che si esaurisce giungendo alle punte perfettamente curate e allineate; quanto deve adorare i suoi capelli questa donna... ragazza... bambina? Il pensiero viene trascinato in un tempo in cui una fresca fanciulla amava la lenta e sottile carezza della spazzola che le trasmetteva ogni volta un piacevole brivido, rendendola così incapace di smettere di trasmettere il suo affetto ai propri capelli così come loro, ad ogni spazzolata, lo trasmettevano a lei. Va da sé che la mano s'allunghi nuovamente verso di essi per provare ancora quella piacevole sensazione di fine amore, ma non è certo fine ciò che s'arruffa sotto i polpastrelli in un attorcigliamento insolubile di tanti fili di grosso cotone! Sembra che vogliano legare per sempre a loro la mano che per sbaglio, innocentemente, si è avventurata tra le loro confuse trame. L'immagine di una giovane confusionaria persa in sogni e svariati pensieri predomina sulle altre; odia forse i suoi capelli ma essi sono la sua firma ed il gioco infantile in cui s'immerge per trovare conforto. Si ritrae la mano spontaneamente, non per orrore, bensì per paura di risultare indiscreta ed estranea a quel mondo così privatamente complicato, ma è proprio nel ritrarsi che essa sfiora qualcosa che ricorda il primo dolce tocco... Capelli naturalmente morbidi e lasciati liberi nel loro semplice essere: ribelli e sicuri di sé perché non hanno bisogno di apparire, vogliono essere solo liberi. E' la donna che non vuole essere nulla di diverso da ciò che è, la donna che non ama artifici e che apprezza la naturalezza delle cose, la donna i cui capelli liberi sono specchio del suo essere donna semplicemente libera. Nel carezzevole desiderio di immergersi in quel morbido velo mosso dalla pura libertà della brezza trasportata dalla giovane, non ci si rende conto di ciò che andato formandosi attorno: un groviglio dalla perfetta geometria, come la tela di un ragno tessuta con ingegnosa e crudele pazienza al fine di intrappolare la preda ignara che passa di lì per caso. Solo quando capelli della più svariata natura iniziano a stringersi in quello che inizialmente poteva sembrare un affettuoso abbraccio, ma che poi diviene cinghia di possessivo controllo ed infine di vendicativo tentativo di morte, ci si accorge di aver desiderato troppo, conosciuto troppo... Il corpo si scompone in particelle sempre più minute ed insignificanti fino a divenire nuovamente nulla, ma ciò solo dopo aver permesso all'indesiderato visitatore di assistere al suo ennesimo annullamento. Qualcuno concesse la vista forse per intimidire o forse per maggiormente incuriosire... Tutto appare come un imperturbabile foglio bianco fermo nel suo sicuro candore senza nulla temere, neanche quello che potrebbe sembrare inchiostro fine e regolare che non indugia su nessuna sinuosa rotondità che disegna, riuscendo ad ammorbidire anche il punto in cui la fredda secchezza di una linea decisa dovrebbe primeggiare imperiosa; è l'ordinata e chiara calligrafia di una donna padrona della propria mano tanto da lasciarla sfiorare appena il biancore di quell'immenso foglio che mugolerebbe di sottile piacere se solo potesse. E' un calmo e uniforme tratto che par esprimere immensa tranquillità nel toccare quel bianco uniforme per colorarlo d'un nero sorriso. E' il ritratto d'una donna composta nella sua spensieratezza, canticchiante un motivetto improvvisato che forse segue il filo di quella melodiosa scrittura in tonalità maggiore; la graziosa figuretta di una piccola e anziana maestra elementare, calma e composta, che lascerebbe un sorrisetto intenerito se solo si possedessero delle labbra con cui modellarlo... ma non arriva neanche a delinearsi nella mente la naturale e morbida incurvatura di un sorriso che immediatamente viene sostituita da una linea piatta di sgomento dinanzi all'ondeggiare del mare grosso di una nuova calligrafia, che tende prima verso destra secondo un moto sconosciuto di una mano mal ferma, per poi ripiegare a sinistra stufatasi di quell'eleganza corsiva propria dell'inclinarsi leggero verso il lato destro del biancore ormai turbato. Quale immagine proietta agli occhi se non quella d'una giovane curiosa intenta a gettare velocemente la neonata conoscenza sul quel malcapitato foglio per poi poter proseguire con altro e altro ancora, senza mai saziarsi e senza curarsi minimamente del disegno finale, godendo invece delle sue linee e rotondità: forse una parola, una frase, un contenuto? Eccola, la belva nel suo continuo cambiar di posizione non riuscendo a trovarne una che acquieti la sua fame; si porta appresso il bianco foglio, succube, e il nero inchiostro, spietato braccio destro, in ogni suo minimo spostamento, perché non può separarsene, non può, il bisogno di imprimere ogni pensiero è straziante... E' nello sfumare di quella scrittura così carica d'emozione che appare una leggerezza pacata e razionale, semplice nella sua chiarezza estrema ma in realtà solo maschera di una complessità impenetrabile. Lei, seduta compostamente alla sua modesta scrivania, è la precisa e attenta studiosa di quella che è la sua ragion vitale; disegna la propria strada con piccoli e omogenei tratti curvilinei rispettosi degli spazi altrui, tratti discreti e silenziosi sicuri della loro meta, imperterriti nel raggiungerla. Pazientemente il tratto s'allunga ad indicare quella che sembrerebbe la strada da seguire, perdendosi però, ad un certo punto, nel nulla del bianco assoluto... s'attende fissando lì dove pochi istanti prima un puntino nero è scomparso, come assorbito, aspettando che qualcosa ancora appaia, qualsiasi cosa, ma nulla... D'improvviso però s'innalza una sinuosa curva danzatrice come un serpente incantato che si lascia ammirare nella sua pericolosa bellezza; pare ammiccare ed invitare a qualcosa di più del semplice ammirare da lontano, ma mentre si dispera cercando un modo per raggiungerla questa pian piano perde colore e consistenza... si assottigliano gli occhi per vederne le ultime particelle mescolarsi al nulla fino a quando per il dolore gli occhi si chiudono: ed è proprio allora che la sensazione della medesima sinuosità giunge tramite una dolce brezza alle narici che accolgono quelle particelle scomparse poco prima alla vista. Un sottile ed invitante profumo, carico di irraggiungibile ed ignota sensualità, rimanda ad una danzatrice dalla calda pelle impregnata di quell'impalpabile essenza che porta il suo nome; penetra nel profondo prepotentemente, insolente, arrivando a bussare a porte interiori finora sconosciute, da cui sfuggono sensazioni libere e desiderose di maggiore libertà proprio come quella danzatrice la cui anima e il cui corpo all'assoluta libertà sono consacrati. L'energica flessuosità dei suoi movimenti viene imitata alla perfezione dalla scia del suo profumo ammaliante e sfuggente persino a quell'odorato così attento perché incredibilmente affascinato, ma inguaribile perché mai potrà conoscere il mistero padrone di tale sensualità... svanisce lentamente il profumo inebriante allontanandosi verso chissà quale meta o venendo semplicemente assorbito, lasciando comunque una piccolissima macchia che conduce ad un altro profumo più o meno percepibile inizialmente, ma che diviene sempre più penetrante man mano che questo pare avvicinarsi: un profumo indefinibile e sconosciuto, forse un miscuglio di forti aromi naturali involontariamente aspirati e spesso seguiti da un piccolo arricciamento del naso. L'imperiosa figura di un'austera signora impellicciata compare all'improvviso nella mente che trattiene il respiro per quell'attimo di paura, lasciandosi poi andare in un gioco di sguardi curiosi in risposta a quelli della signora che studia circospetta, dalla punta dei capelli all'unghia del ditino del piede, chi osa passarle a poca distanza, cercando di non darlo a vedere, naturalmente. L'aroma diviene tanto forte da quasi soffocare, ma non c'è nulla che possa impedire di percepirlo; non resta che attendere che l'ebbrezza si attenui e che tale profumo svanisca come tutti gli altri, prima o poi. Si ricerca disperatamente qualcosa a cui aggrapparsi per fuggire da quella morsa velenosa fino a quando un aroma tanto sottile da dubitare della sua esistenza sembra farsi strada cortese e delicato... porta primavera, fiori, freschezza, ma v'è in esso anche un risvolto appena percepibile che suggerisce qualcosa di gustoso seppur infantile: latte caldo... Si delinea la figura di una splendida giovane mamma che culla il suo cucciolo intenta a concedergli la sua linfa vitale a cui il piccolo si aggrappa affannosamente come se da un momento all'altro potesse finire, ma non finirà... Ci si aggrappa a quel profumo materno lasciandosi andare al desiderio di assaporare quel caldo latte appena nato dal vellutato seno, lo si immagina carezzare la gola dove lo si lascia scorrere fino al raggiungimento della dimora accogliente... non si è mai stanchi, si vuole sempre più, ancora, ancora... Si beve insaziabilmente fino al blocco di ogni facoltà. La morbida quiete in cui si è dolcemente caduti impedisce inizialmente di mettere in moto anche il più minuscolo e insulso meccanismo mentale, ci si limita a leccarsi appena quelle che dovrebbero essere labbra ma che, privi di tatto, non si riesce a percepire; su di essere è però rimasto ancora un poco di quel dolce sapore che si rincorre fino all'ultimo debolissimo goccio, dopo di che, con rinnovata curiosità, si attende nella certezza che qualcosa giungerà per lasciarsi assaporare e mettendosi quindi in posa per un nuovo dipinto... si attende, ma invano, perché nulla giunge. L'unica spiegazione è che quel lieve ricordo di latte caldo non vuole andarsene, oppure lo si trattiene involontariamente in quanto inconsciamente impauriti da ciò che potrebbe accadere distaccandosene? ... D'un tratto qualcosa di nuovo sovrasta il dolce ricordo del latte e su di esso ci si arrampica come su una scala che porta dritta all'uscita. Dovrebbe essere un sapore avvolgente e caldo, seppur non si sia in grado di confermare questa ipotesi ingenuamente formulata; è certamente sensuale e conduttore d'altri sapori che si diramano tra il dolce e il leggermene amaro... vino, vino rosso... sì , decisamente sì . L'atmosfera sfumata e ovattata in cui si è immersi affascina la mente che si lascia condurre ed ammaliare non accorgendosi di avvicinarsi sempre più alla perdizione... con pensieri malfermi si riesce ad abbozzare l'immagine di labbra carnose appena colorate dal rosso penetrante di quel vino, sorridono maliziose e soddisfatte, ma perché? Inutile porsi domande a cui mancherebbe una certa risposta, meglio abbandonarsi all'immagine che ora si espande mostrando una figura di una donna seducente e fatale adagiata su qualcosa che pare un divanetto, o una poltrona? Poco importa; la si vede abbandonarsi a pose ardite e intriganti distendendo nel mentre le morbide labbra in un sorrisetto ambiguo rivolto ad un ipotetico osservatore che non dà prova di esistere. Tiene in mano un bicchiere in cui talvolta affoga lo sguardo come rapita da quel denso rosso quasi palpabile. La si immagina, d'un tratto, socchiudere le labbra in un piccolo risolino che pare crescere ad ogni piccolo sorso sino a diventare una grassa e gustosa risata totalmente incontrollata; il riso è contagioso ed il bisogno di ridere si fa sempre più intollerabile nell'impossibilità di aprire le labbra inesistenti e lasciar liberamente vibrare le corde vocali altrettanto assenti, ma tutto d'improvviso svanisce, si spegne... L'accendersi di un pensiero elementare provoca il risveglio della mente intorpidita e smarrita che s'accorge che nulla è cambiato, che ancora qualcosa deve succedere... è necessario che succeda perché tutto abbia fine, forse. Ancora in stato semi-confusionale si attende senza saper quantificare il tempo che pare infinitamente dilatato al fine di condurre alla disperazione che si vede costretta a graffiare, tentare invano di lacerare le pareti della mente in cui è chiusa senza alcuna possibilità d'uscita; scroscerebbe in lacrime pregando perché l'essere ormai inumano possa tornare completo, urlerebbe perché qualsiasi cosa appaia ad indicargli una via d'uscita, si dimenerebbe in preda alla pura follia pur di ritrovare la normalità perduta... ma nulla accade... l'acido gusto di vino rivoltato e non ben digerito sembra farsi sempre più forte come a voler prepararsi a respingere un altro sapore che potrebbe sbaragliarlo da un momento all'altro... ma ancora nulla accade... il sapore d'acidume non s'arrende convincendosi di poter vincere ogni nemico che tenti di invadere il territorio conquistato, ma si sbaglia... un nuovo sapore, tanto aspro e forte da risvegliare la mente dal suo lungo torpore, si fa strada: ogni facoltà mentale immediatamente tenta di analizzare ogni suo minimo rimando ad altri sapori in quanto esso pare essere totalmente sconosciuto e prima d'ora ignorato, ma pur tanto chiamata e ricercata una qualsiasi conclusione tarda a giungere... Si rimane così ancora nella quasi totale immobilità mentale concentrandosi unicamente sul nuovo ritratto che attira a sé ogni singola forza rimasta perché possa almeno vagamente formarsi, ma nulla... la creazione del ritratto è forse l'unica via di ritorno, ma come creare un'immagine di qualcosa di assolutamente indecifrabile e sconosciuto? Si cerca un aiuto, anche minimo, ed esso non tarda a farsi avanti: una voce riecheggia stridendo nell'udito ritrovato, blaterando confusamente qualcosa a proposito di un veleno... il tempo che si lascia alla mente di elaborare un qualsiasi pensiero a riguardo, anche futile, non basta, perché dell'altro giunge ed è un dolore che contorce ogni muscolo in spasmi isterici, seguito immediatamente dalla vista di una figura completamente nera di cui si distinguono unicamente gli occhi lucenti di follia dinanzi al terrificante spettacolo probabilmente da lei stessa creato... Il desiderio dell'assoluto annullamento dell'essere e delle sue percezioni segue il ritrovamento di ogni senso di cui ci si capacita grazie all'acutezza della straziante tortura che sembra non giungere ad una fine, per qunto agognata... si va mescolando tutto ciò che si riversa sui sensi dell'essere, che appena riesce a distinguerne alcuni... forse una risata, più risate! Il contorcimento incontrollato del corpo e la tensione innaturale di ogni muscolo, l'aspro odore e sapore che impregna gola e narici e poi nero, solo nero, vasto, infinito, non delineabile... nero... Tutto si è spento... E' forse giunta la morte? No, non può essere possibile... morire per aver peccato di troppa curiosità? Questa è la punizione di chi si ferma a contemplare, ammirare, studiare...? La troppa curiosità di conoscere, il desiderio di arrivare a dare una spiegazione al fascino provocato da qualcosa di misteriosamente inspiegabile e irraggiungibile razionalmente ma anche umanamente... questo è il peccato di cui si è responsabili: l'ardita ricerca di una maggiore conoscenza, forse di una spiegazione, di qualcosa che è probabilmente destinato a rimanere circondato dal sottile alone di mistero che è la sua natura, lontano dalla logica spiegazione umana ma splendido in tutte le sue sfumature di colore come un arcobaleno dipinto ad acquarelli nel cielo; tale è la donna che ama essere ammirata, contemplata ma forse non vuole essere studiata in quanto scrigno intoccabile di segreti a lei stessa nascosti, o forse no... '


Elena Gatti pubblicato il 15.11.2007 [Testo]


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