Registrati | Accedi

Autori

A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z

Ricerca

Autore:

Titolo:

Genere:


Uno scritto a caso

lo "slow motion" del pensiero
[salute-psiche] la scrittura come cura dell'anima
Arsenio
15.11.2017

Non ti abbandono

"La vita è stata arcigna con Ubaldo, professore in pensione. L'incontro con Emanuele, ragazzo altret

 

Ugo Coltellacci

 

 

 

NON TI ABBANDONO

 

 

 

Ubaldo, settantacinque anni, professore di matematica in pensione, si sta preparando il caffè nella sua casa a Casal Bertone a Roma. E' il 12 dicembre e la televisione accesa ricorda agli italiani le scadenze fiscali del mese. Mentre il fumo aromatico esce dalla moka, l'uomo inizia a tossire fino ad avere le lacrime agli occhi per lo sforzo. Si riprende e versa il caffè nella tazzina. Si siede davanti alla tavola apparecchiata ed inizia a sorseggiare. Quella di sedersi a tavola per fare la colazione è un' abitudine che gli ha dato Marisa, la sua ex moglie e che non ha perso neanche dopo la separazione. Si guarda intorno e vede una stanza con le maioliche, una volta bianche, ora rese grigie dallo smog e dal grasso. Gli prende lo sconforto. Per quanto un uomo si sforzi di tenere in ordine una casa, la mancanza di una donna si sente sempre. D'altronde non vuole nessuno dentro casa da quando Maria se ne è andata. Già Maria. Si erano conosciuti nel 1980 lei aveva 28 anni e lui 48. Lei non era bella ma in compenso era dolcissima e, soprattutto, giovane. Insegnava storia dell'arte nella stessa scuola di Ubaldo. Lui, di solito scorbutico con la gente, era rimasto colpito dalla gentilezza della ragazza. Si erano fidanzati ed in poco tempo lei lo aveva trasformato a tal punto da renderlo persino socievole. Nel 1982 si erano sposati ed erano andati a vivere in affitto, a Casal Bertone, nell'appartamento di due camere e cucina. Era il massimo che il loro stipendio potesse permettere. Un paio di anni felici poi un brutto giorno di maggio del 1984, tornando a casa prima del previsto, sceso dall'autobus aveva intravisto, in una macchina, una donna che somigliava alla sua Maria baciare appassionatamente un uomo. Era la sua Maria. Anche lei lo vide. Le lacrime gli riempirono gli occhi. Vagò per circa due ore nei dintorni senza meta e, soprattutto, con la scena che aveva visto che lo torturava e gli tritava le carni. Gli rivenivano in mente tutti gli avvertimenti che gli avevano dato i colleghi:

E' troppo giovane. Venti anni di differenza sono tanti. I caratteri sono troppo diversi. Con il passare del tempo lei diventa matura e tu invecchi. Ed altre baggianate del genere.

Tornò a casa, la trovò seduta in cucina. Le disse solo:

- Domani tu te ne vai.

Lei non replicò. Ubaldo pensò che forse le aveva agevolato il compito. Fece la valigia e l'indomani se ne andò. Quello che lo ferì fu il fatto che non accennò neanche ad un minimo di difesa. Non tentò di spiegare ne' di salvare il rapporto. Di lei non seppe più nulla ne' Maria pretese alcunché da lui. Semplicemente non si erano più visti. Lei aveva preso l'aspettativa ed aveva chiesto ed ottenuto il trasferimento al nord. A lui era ritornata quella scorza dura che lo aveva accompagnato da quando, a 12 anni, aveva avuto la tubercolosi. Era guarito ma il lunghissimo periodo di convalescenza in cui aveva dovuto condurre una vita piuttosto riguardata lo aveva allontanato dagli altri bambini ed aveva contribuito a renderlo introverso. Quel periodo aveva segnato profondamente il suo carattere. Aveva rifiutato qualsiasi contatto con la religione e con la Chiesa. Dio non mi ama. Altrimenti non mi farebbe soffrire così . Il padre ferroviere e la mamma operaia in un colorificio, non avevano avuto ne' il tempo ne' l'attenzione di togliergli questa convinzione. Con grandissimi sacrifici lo avevano fatto studiare. Lui li aveva ripagati conseguendo la laurea in matematica e fisica ed aveva trovato un posto come professore al liceo Visconti a Piazza del Collegio Romano. Sempre taciturno e riservato non aveva amici. Gli alunni ne apprezzavano le enormi doti di insegnante ma il tutto si fermava lì . Sembrava che, finita la lezione, finisse tutto. Nessun rapporto di amicizia con i colleghi. I suoi genitori erano morti a distanza di un anno l'uno dall'altro e ad Ubaldo non era rimasta che una vecchia zia, sorella della madre, completamente fuori di testa per l'arteriosclerosi. Dopo la separazione da Maria si era chiuso ancora di più in sé stesso. Si era buttato a capofitto nello studio e nella lettura. Passava la maggior parte del suo tempo libero sui libri. Era arrivata così nel 1992 l'ora di andare in pensione. Senza alcuna emozione aveva lasciato l'incarico salutando freddamente i colleghi ed il preside e si era rintanato nel suo appartamento a studiare ed a leggere. Di tanto in tanto, quando era bel tempo, andava a Villa Paganini, sulla Nomentana, a fare una passeggiata. Aveva una sua panchina prediletta, dalla quale vedeva una bella fetta di parco. Da lì , facendo finta di leggere, a volte scrutava i bambini che giocavano e le mamme che li accudivano. Nell'osservarli provava dapprima un senso di felicità. Poi gli cresceva il rimpianto per non aver avuto una famiglia e, di conseguenza, aumentava la sua collera nei confronti di Maria. Si sentiva sfortunato ed iniziava il suo rapporto difficile con Dio.

Perché non mi dai un po' di pace? Mi avevi fatto trovare l'amore e subito dopo me lo hai tolto in quel modo? Dimmi quali sono le mie colpe? Non sono anch'io figlio tuo?

Inevitabilmente non riceveva segnali che le sue rimostranze fossero state prese in considerazione. Lo scorso anno, nel 2005, tornando da Villa Paganini, stava attraversando piazza Galeno quando fu investito da un auto che andava a velocità sostenuta. La folle corsa verso il Policlinico gli aveva salvato la vita ma non l'incolumità fisica. Dopo tre operazioni e sei mesi tra degenza e convalescenza il risultato fu che rimase con la gamba destra leggermente più corta. La conseguente zoppia lo rese ancora più esacerbato.

Questo viaggio nel tempo rende il caffè molto amaro nonostante lo zucchero. La tv sta ora dando le previsioni del tempo per l'intera settimana. I conduttori sono allegri, scherzano e si fanno portatori dell'imminente clima natalizio. La giornata promette di essere fredda ma bella. Ubaldo si prepara, esce e prende l'autobus che lo porterà a Villa Paganini. Stamattina si è svegliato più stranito del solito. Ha sognato Maria, di cui non è più innamorato da tempo. Si è svegliato di soprassalto e non è più riuscito a riaddormentarsi. Ha iniziato a pensare. Non c'è niente di peggio che pensare di notte. Tutto si ingigantisce. Anche il problema più sciocco diviene insormontabile. Scende davanti alla villa, attraversa la strada e va all'edicola a comprare il giornale. L'edicolante è più ciarliero del solito ma lui lo liquida con due parole.

Anche lui risente del Natale. Ma che ci troveranno in questa festa? Da dove viene tutta questa allegria?presi dall'euforia spendono sopra le loro possibilità. Si sentono ricchi. Poi bastano due serate di baldoria ed il due gennaio hanno gli stessi problemi di prima se non di più.

In preda a questi pensieri viene distolto da un mendicante di colore che gli chiede l'elemosina, prendendolo per un braccio:

- Ma che modi sono questi? - reagisce sgraziato Ubaldo.

- Guarda che non ho la lebbra. Ho solo fame, tanta fame.

- Vai a lavorare che sei giovane!

Così dicendo prosegue la sua camminata lasciando di stucco l'extracomunitario. Mentre continua a camminare gli riviene in mente una novella russa in cui un vecchio aveva sfamato, dissetato ed ospitato tre persone in pochi giorni. Una notte, in sogno. Gli era apparso Dio che lo aveva ringraziato:

- Avevo fame e mi hai sfamato. Avevo sete e mi hai dissetato. Avevo bisogno di dormire e mi hai ospitato.

- Quando avrei fatto tutto ciò Signore?

Ed ecco che all'uomo erano apparsi i tre che avevano beneficiato della sua carità e lo ringraziavano.

Ubaldo, pur essendo stato sempre affascinato da questa novella, l'ha sempre giudicata con spirito critico. Ora più che mai.

Con tutto quello che ha da fare Dio ha proprio il tempo di pensare a me! Figuriamoci. Quello altro che Dio! Era un fannullone che vuole vivere alle spalle degli altri.

Entra a Villa Paganini alla ricerca della sua panchina.

La giornata è grigia ed il cielo è bianco che sembra carico di neve. Non c'è quasi nessuno. Due cani scorazzano sui prati rincorrendosi. Apre il giornale ed il suo malumore continua. Delitti, stupri, rapimenti. Il mondo sta impazzendo. Genitori che uccidono i propri figli. Come le bestie. Anzi no. Le bestie sono migliori degli uomini perché per i loro figli sacrificano anche la vita. L'amaro in bocca ,che lo accompagna molto spesso, sta aumentando. Passa una mamma con la carrozzina. Sorride ed ha il volto felice.

Beata incoscienza! Come si fa di questi tempi a mettere al mondo un figlio. In che mondo lo si fa vivere? E' un atto di egoismo. E poi come lo educhi un figlio? Se gli inculchi dei sani principi ne fai un disadattato, se, invece, lo prepari adeguatamente alla vita rischi di farne un delinquente. Meno male che non ho di questi problemi.

Inevitabilmente l'amarezza lo riporta bruscamente alla realtà. Per evitare di pensare ancora chiude il giornale e si alza. Si avvia verso l'uscita della villa dal lato di Piazza Caprera. Scende per Corso Trieste fino al liceo Giulio Cesare. Si ferma al bar davanti alla scuola. Ordina un cappuccino caldo ed un cornetto con la crema. Il gusto del dolce gli porta un po' di buonumore che sa durerà pochissimo. Dall'altro lato della strada, attraverso le inferriate della scuola vede alcuni ragazzi che stanno fumando. Guarda l'orologio e sorride tristemente. E' l'ora della ricreazione. La scuola gli manca. I ragazzi no. Con loro non ha mai legato.

Tutti fannulloni. Si vede che crescono nella bambagia e nella maleducazione. Le famiglie se ne fregano. All'epoca mia si che ci sapevano educare. Adesso hai le mani legate. Ci manca poco che non puoi neanche bocciare. Infatti i risultati si vedono. Vengono su degli ignoranti e smidollati.

Si avvia a piedi verso via Nomentana. Le vetrine sono decorate. Rami di abete spruzzati di neve e palline colorate appese.

Già il Natale! Ho mai avuto io un Natale felice? I miei hanno sempre dato poca importanza alle feste. Facevamo l'albero più perché lo facevano tutti che per convinzione. Sentivo i miei compagni di scuola fare l'elenco di quello che avevano ricevuto. Quando lo chiedevano a me, inventavo e cercavo di eludere altre domande. Cosa potevo rispondere? Che poiché non avevamo soldi era già tanto se avevamo da mangiare. Qualcosa sotto l'albero lo trovavo ma non erano giocattoli. Sempre qualche cosa di utile.

Con questi pensieri arriva a viale Regina Margherita e prende il 19 che lo riporta verso casa. L'unica cosa che lo attrae è girare Roma. Purtroppo lo può fare solo con i mezzi pubblici. Grazie alla sua zoppia ha sempre il posto libero anche quando il tram è affollato. Torna a casa. Si prepara una minestra precotta e si mette in poltrona davanti alla tv. C'è su Raitre il telegiornale regionale. Si addormenta davanti ad un servizio sui disagi dei pendolari a causa di uno sciopero proclamato all'improvviso. Le corse forsennate della bambina del piano di sopra lo svegliano di soprassalto. Sente le urla della madre che per riprendere la figlia fa ancora più chiasso.

Meno male che c'è ancora qualche genitore che sgrida i figli.

Improvvisamente i rumori al piano di sopra cessano e cala il silenzio. Ubaldo sente, suo malgrado, la mancanza di quei rumori. Ora regna sovrano il silenzio. L'uomo si alza e prende il suo nuovo acquisto in libreria: I pilastri della terra di Ken Follet. E' la storia di un costruttore di cattedrali ambientata in Inghilterra nel Medio Evo. La storia lo affascina anche perché vengono descritte le tecniche di costruzione delle chiese. Studia con passione maniacale i calcoli descritti per far sopportare il peso delle pietre agli archi ambiziosi descritti dall'autore. Con il suo regolo e la calcolatrice verifica la fondatezza di ciò che il libro racconta. Fuori sta facendo buio. Ha passato almeno un paio d'ore immerso nel Medio Evo. Improvvisamente rammenta di non avere il latte per la colazione di domani e,controvoglia, scende in strada e si dirige verso il supermercato lì vicino. Nella via lo colpisce la vista di un ragazzetto seduto in terra:

- Vi prego signore, aiutatemi. Ho fame.

Stranamente, forse perché sopra pensiero, non ha la solita reazione infastidita verso i mendicanti. Si ferma lo guarda. Indossa un paio di jeans leggeri, un golfino ed un pezzo di panno che una volta deve essere stato un cappotto.

- Quanti anni hai?- gli chiede in tono un po' brusco.

- Quindici, signore.

- Tuo padre e tua madre dove sono?

- Non li ho più. Sono morti.

- E vivi da solo? - chiede sospettoso.

- No. Vivo con una vecchia zia malata.

Sicuramente mi sta raccontando un sacco di balle. Ce ne sono a bizzeffe di falsi mendicanti!

Stranamente, però, Ubaldo non prova il solito senso di repulsione. Prende una decisione:

- Hai detto che hai fame, vero?

- Si signore.

- Allora alzati e vieni con me. Ti porto in un bar a mangiare.

- Ma anche mia zia malata ha fame. Mi servono i soldi per comprare qualcosa anche a lei.

- Mi dici cosa vuoi portarle e te la compro io.

Il ragazzo si alza e lo segue. Entrano nel bar dove Ubaldo si serve di solito ed il proprietario strabuzza gli occhi nel vedere il vecchio in compagnia. In tantissimi anni lo ha visto quasi sempre solo come un cane. Ordina un caffellatte e tre paste che, vista l'ora, sono ormai rinseccolite. Il ragazzo si lancia su quel cibo dando la riprova di avere veramente fame.

- Mangia piano altrimenti ti strozzi.- dice bruscamente il vecchio.

- Si signore, mi scusi.

Il suo tono mortificato imbarazza Ubaldo.

- Ma no io lo dico per il tuo bene. Non ti devi scusare.

Ma che sto facendo? Che mi succede? Mi sto preoccupando per lui? Ma chi lo conosce? Nessuno si è mai preoccupato per me; perché devo pensare agli altri?

- Come ti chiami?

- Emanuele, signore.

- Ma non vai a scuola?

- Non ho tempo per andarci. Devo trovare i soldi per vivere.

- Ma non puoi fare il mendicante per tutta la vita! Dove abiti?

Il ragazzo ammutolisce.

- Dove abita tua zia?

Emanuele si alza e fa per fuggire. Ubaldo lo afferra per un braccio e lui inizia a piagnucolare.

- Non fuggire. Non dobbiamo prendere qualcosa per tua zia?

Ma che mi sta succedendo? Mi preoccupo anche per una persona che non ho mai visto?

Ubaldo si avvicina al bancone e paga la consumazione. Quindi esce in strada con Emanuele:

- Adesso andiamo qui da Auchan e compriamo qualcosa per te e per tua zia.

Il ragazzo lo segue muto. Il vecchio capisce che non deve insistere sul voler sapere dove abita. Probabilmente avrà paura. Entrati nel supermercato, prende una confezione di fettine di carne:

- da quanto è che non mangi la carne?

- Da tanto tempo

Prende due scatole di latte ed un pacco di biscotti. Alla cassa se li fa mettere in una busta.

- La ringrazio signore.

- Figurati!

- Ora vado a portare da mangiare a mia zia.

Ubaldo lo prende per un braccio:

- Aspetta un attimo. Non ti posso accompagnare?

- E' meglio di no. Non abito vicino.

- Ma dimmi almeno dove.

- Laggiù. - il ragazzo indica vagamente verso l'orizzonte, si divincola e si allontana rapidamente. Prima di girare l'angolo lo chiama:

- Signore?

- Si?

- Grazie. - fa un sorriso e sparisce.

Il vecchio rimane solo con i suoi pensieri. Chissà se mi avrà detto la verità o mi avrà fregato. Bah. Dalla faccia mi sembrava un bravo ragazzo. Si avvia verso casa con la sua busta del latte. Si sente stranamente confuso. Non è da lui muoversi a compassione verso il prossimo. La sera mentre guarda la tv non riesce a non pensare ad Emanuele. Sarà vero quello che mi ha raccontato? E se è vero come fa a vivere sempre di elemosina. Perché non studia per mettersi in condizione un domani di lavorare.

Con questi pensieri arriva mezzanotte e decide di coricarsi. Il suo sonno è agitato. Si sveglia, pensa al ragazzo, è una strana sensazione. Pensa che starà al freddo a badare ad una vecchia malata. Si riaddormenta. Poi si risveglia. Fuori è buio. Si alza, va in bagno. Quindi va in cucina. Guarda l'ora. Sono le sei. Si avvicina alla finestra e guarda in strada dai vetri appannati. Poche auto portano al lavoro i loro occupanti. Si rimette a letto a leggere il suo libro. Ma il pensiero va costantemente all'incontro della sera precedente. Verso le sette si alza, fa colazione, si prepara ed alle otto esce. Si aggira per la zona con la speranza di incontrare Emanuele. Compra il giornale all'edicola sotto casa e si dirige verso l'unico pezzo di verde che c'è in zona. Oggi il solito giro a Villa Paganini non ci sarà. E' troppa la speranza di incontrare il ragazzo. La sua attesa viene delusa. Verso le due fa ritorno a casa. Solita routine. Pranzo, lettura tv e parole crociate. Verso le sette esce per una nuova ricognizione. Niente di niente. Di Emanuele nessuna traccia. La notte dorme più tranquillo. In fondo è meglio così . Chissà le cazzate che mi avrà raccontato. Ed io fesso mi sono pure preoccupato.

I giorni passano con le solite passeggiate a Villa Paganini. Oramai ad Emanuele non pensa che raramente ed anche con un certo senso di fastidio convinto di essere stato preso in giro. Il venti dicembre, di ritorno dalla sua solita passeggiata, scendendo dall'autobus, lo vede. Il ragazzo è seduto sul muretto davanti alla fermata. Ubaldo risentito, ma contento di averlo rivisto, finge di ignorarlo.

- Signore?

- Si?

- Non mi riconoscete?

Il vecchio finge di sforzarsi di ricordare ma ha il cuore colmo di gioia:

- Ah si. Ora ricordo. Come stai?

- Ora bene. Mi sono ammalato la sera che ci siamo incontrati.

- E cosa hai avuto?

- Ho avuto la febbre. Ma poi è passata da sola.

- E la vecchia zia?

- E' sempre malata.

- Hai fame?

- No grazie. - si schermisce il ragazzo con dignità.

- Hai da fare?

- Dovrei racimolare un po' di soldi.

- Quanto devi ehm racimolare?

- Ma non saprei. Quello che la gente mi da. Dieci euro, venti.

- Senti, te ne do io trenta, però tu vieni con me.

Il ragazzo lo guarda perplesso. Ubaldo percepisce la preoccupazione e si affretta a dire:

- Vorrei aiutarti. Sempre che tu lo voglia.

- Perché volete aiutare proprio me?

- Non lo so neanche io. Però mi farebbe piacere.

- E come potreste aiutarmi?

- Vedi io ero professore di matematica. Potrei aiutarti a prendere un diploma. Poi chissà cercarti un posto di lavoro.

Emanuele è molto titubante. Ubaldo lo scruta, poi soggiunge:

- Lo capisci che non puoi mendicare per tutta la vita. Finirai con il fare cattive amicizie.

- Ma perché volete aiutare proprio me? Mi avete visto solo una volta.

E adesso che gli dico? Io non ho mai aiutato nessuno. Che mi sta prendendo? Ma in fondo non me ne dovrebbe fregare niente di questo ragazzo.

- Senti, io non ho figli. Mi è venuta una voglia di aiutarti. So ancora riconoscere i ragazzi che hanno voglia di migliorare. Tu mi sembri così . Se ti va ti posso mettere in condizione di prendere un diploma ridotto entro giugno.

- Ma per i soldi come farò? Io ho bisogno di mangiare.

- Io ti darò un tanto al giorno. Ti procurerò i libri. Verrai da me mattina e pomeriggio. Studieremo insieme.Quando hai smesso di studiare?

- Due anni fa, dopo la terza media.

- Allora non hai perso del tutto l'allenamento. Vedrai, se mi seguirai ti farò prendere il diploma.

Per la prima volta nella sua vita Ubaldo si sente leggero e contento di fare del bene. Si danno appuntamento per l'indomani. Il pomeriggio si reca in una libreria a procurarsi il necessario per iniziare le lezioni. Sono quindici anni che ha smesso l'insegnamento ma l'idea di ridare lezione non gli dispiace affatto. La mattina seguente si sveglia di buonora dà una messa in ordine alla sala da pranzo. Si sente di buonumore! Neanche lui sa spiegarsene il perché. Alle nove suona il campanello. Va ad aprire.

- Ciao Emanuele, entra

- Grazie signore.

- Senti, noi dobbiamo lavorare insieme. Smettila di chiamarmi signore. Io mi chiamo Ubaldo, dammi del tu, almeno lavoriamo meglio.

- Va bene sign...mi scusi, anzi.... Scusa... Ubaldo.

Ma che mi sta succedendo. Mi faccio dare del tu da un ragazzo. si sente turbato ma leggero. Iniziano a studiare matematica ed il ragazzo apprende velocemente e si dimostra volenteroso. Arrivano le tredici e decidono di fare una pausa.

- Tu devi tornare a casa?

- No, la zia ha una vicina che le fa compagnia.

- Allora ci facciamo due spaghetti con il pomodoro. Ti piacciono?

- Si ma non è che li mangio spesso.

Mentre il vecchio cucina, il ragazzo non perde una mossa di quello che fa.

- Come mai non ti sei sposato?

- Sono stato sposato ma....è una storia lunga.

- E non hai avuto figli?

- No.

- Ti è dispiaciuto?

Ubaldo rimane pensieroso. Mille risposte gli frullano in testa ma le parole non escono.

Mi è dispiaciuto? Fino a che non ti ho conosciuto non mi è dispiaciuto. Ora però avrei voluto un figlio come te.

- Si vede che non era destino. Sai non è che il destino sia stato tenero con me.

Nel dire queste parole si rende conto di avere davanti uno ancora più sfortunato di lui. Lo guarda gli sorride passandogli la mano tra i capelli e soggiunge:

- Neanche con te è stato tenero.

Iniziano a mangiare. Emanuele mangia con grande appetito. Poi soggiunge:

- Io non mi lamento. Mi poteva andare peggio. In fondo ho incontrato te.

- Capirai che acquisto! Sono vecchio scontroso e, a volte, anche stronzo.

- Con me non lo sei.

- Io non voglio scoraggiarti ma la vita è dura. Le fregature sono sempre in agguato. La gente è molto cattiva.

- Tu non lo sei.

- Si anche io lo sono.

- Con me no.

- Si ma lo sono stato. Cattivo ed egoista.

- Tu credi in Dio?

- No. Anzi si ci credo ma non penso che, con tutto quello che ha da fare, abbia il tempo di pensare a me.

- Io ci credo e penso che protegga sempre ognuno di noi. Anche quando non ce ne accorgiamo.

Ubaldo, di fronte alla logica disarmante di Emanuele, comincia ad innervosirsi:

- E quando da piccolo ho avuto la tubercolosi dove era Lui? E quando mia moglie mi ha tradito a che pensava? E quando sono morti i tuoi genitori?

Emanuele rimane in silenzio. Due lacrimoni gli riempiono gli occhi.

- Scusami, forse ho esagerato.

Il ragazzo sorride triste. Ubaldo è in imbarazzo. Ma che mi è saltato in mente? E' solo un ragazzo. Mi dovevo controllare.

- Non dovevo scaldarmi così . Però tu ed io ne abbiamo passate troppe.

- Ma ora ci siamo conosciuti e tu mi stai aiutando. Chi ci ha fatto incontrare secondo te?

- E le cose brutte che ci sono capitate chi ce le ha fatte capitare?

- Nulla accade per caso. Tutto fa parte di un grande disegno in cui ognuno di noi è una parte infinitesimale. Nel dire che Dio ce l'ha con te, tu ti poni al centro dell'universo. E' come se Dio avesse solo te come riferimento. Secondo me questa è presunzione!

- Ragazzino, tu sei molto più maturo di quello che sembri! Però non sono d'accordo con quello che dici.

Rimangono in silenzio. Ma la mente di Ubaldo lavora a pieno ritmo. Hai capito il ragazzetto! Ha intelligenza da vendere. Dopo pranzo riprendono lo studio senza toccare più l'argomento di prima. Alle sette Ubaldo decide che è ora di smettere di studiare, da trenta euro ed una busta di latte con un po' di frutta al ragazzo. si danno appuntamento per l'indomani mattina alle nove.

- Domani però alle tredici devo andare via. La vicina che fa compagnia a mia zia è impegnata.

- Va bene, vorrà dire che tornerai il pomeriggio.

Rimasto solo il vecchio, stanco ma felice si adagia sulla poltrona. Accende la tv ma non presta attenzione a quello che stanno trasmettendo. I suoi pensieri sono altri. E' stato faticoso ma gratificante. Il ragazzo è molto sveglio. Avessi avuto io un figlio così ! Stranamente è molto educato. Non sembra neanche che non abbia i genitori. Comincia a fantasticare su che tipo di padre sarebbe potuto essere. Poco dopo il sonno lo vince. Si risveglia dopo un'oretta. Breve cena ed a letto con l'animo stranamente leggero. Il mattino dopo quando si risveglia, perfino la cucina gli sembra più accogliente. Non ha neanche la bocca amara che lo accompagna da moltissimi anni. Alle nove il ragazzo arriva. Studiano fino a mezzogiorno e mezzo. Ubaldo decide di fare una pausa e si rivolge al ragazzo:

- Tra due giorni è Natale. Tu come lo passi?

- Vicino a mia zia.

- Siete voi due soli?

- Si.

- Mi piacerebbe passarlo con voi.

- Noi non ci possiamo muovere. Mia zia è costretta a stare a letto.

- Potrei venire io. Porterei io le cose da mangiare. Potremmo farci compagnia.

Il ragazzo è in evidente imbarazzo.

- Dove abiti?

- Credimi Ubaldo, non è possibile. Mi piacerebbe ma non posso proprio.

- Ma almeno dimmi dove abiti?

- E' meglio di no. Ti prego.

- Va bene. Non insisto.

Ubaldo è molto deluso. Non riesce a comprendere tutto questo mistero da parte del ragazzo. Perché non mi vuol dire dove abita? Cosa ha da nascondere?

- Ubaldo, non è che ti sei offeso?

- No però non riesco a capire.

- Credimi è meglio così .

Il vecchio cambia argomento. Riprende la lezione. Arriva l'ora di interrompere. Si salutano dandosi appuntamento al pomeriggio. Alle quindici, Emanuele suona alla porta.

Per tre ore affrontano i problemi della trigonometria. Più passano le ore e più Ubaldo capisce che il ragazzo è molto intelligente e volenteroso. Ho fatto proprio bene a credere in lui. Non solo troverà lavoro ma, se continua con questa volontà, farà anche strada. E' soddisfatto e lo da a vedere. Arrivano le diciotto ed è ora che Emanuele torni a casa.. I due si salutano e si danno appuntamento al giorno seguente.

Il mattino dopo, puntualissimo Emanuele arriva. E' di buonumore.

- Ciao Ubaldo, ti ho portato una bomba alla crema.

- Ma che sei stato a spendere i soldi.

- Tanto sono i tuoi.

- Si ma io te li do per il cibo tuo e di tua zia, non per farti comprare le cose a me.

- Mi piaceva farti assaggiare questi bomboloni, sono eccezionali.

Ubaldo gli passa la mano tra i capelli e gli sorride:

- Grazie.

E' proprio un caro ragazzo. sono sempre più convinto di fare bene ad aiutarlo.

Lo studio procede abbastanza velocemente. Emanuele apprende con rapidità. Oggi stanno facendo letteratura italiana. Ubaldo sta parlandogli di Dante e della Divina Commedia.

- Ubaldo, tu ci credi all'inferno?

- Certo che ci credo. Più inferno di quello che viviamo tutti i giorni.

- E al Paradiso? Ci credi? Non hai paura di andare all'inferno?

- Ti ho detto come la penso. Quello lassù è troppo impegnato per poter pensare ad un povero vecchio come me.

- Ma tra le tante cose che ha da fare potrebbe anche ricordarsi di te. Non bisogna disperare.

- Io non dispero affatto. Sono convinto che ognuno va per la sua strada. Lui non pensa a me ed io non penso a Lui.

Il ragazzo si intristisce. Lo guarda senza parlare. Il vecchio gli mette una mano sulla spalla e gli chiede:

- A te Lui ha mai pensato? Che vita ti ha dato?

- Mi ha dato una vita difficile ma qualche volta mi ha premiato.

- Che premi ti ha dato? La povertà? La morte dei tuoi genitori? Cosa?

- Mi ha fatto conoscere te.

Sono parole che vanno dritte al cuore di Ubaldo. Non devo competere con questo ragazzo su questi discorsi. Ha trovato il modo di andarmi dritto al cuore. Ci manca solo che mi commuovo! Si schiarisce la gola e:

- Non perdiamo altro tempo in chiacchiere. Dobbiamo andare avanti con il programma.

- Sissignore - il tono di Emanuele è scherzoso ma anche di profondo rispetto.

Finisce la giornata ed è ora di salutarsi.

- Quando ti rivedo? - chiede Ubaldo

- Il ventisette. Tra quattro giorni.

Ubaldo avrebbe voglia di chiedergli di nuovo di passare il Natale insieme ma, visto l'esito della volta scorsa, preferisce desistere. Il ragazzo prima di andare via lo abbraccia con slancio, gli da un bacio sulla guancia e:

- Auguri di Buon Natale e .......grazie.

- Auguri anche a te ed a tua zia.- poi gli dà uno spintone- e adesso vattene!

Il ragazzo sorride e scende di corsa le scale.

Il 24 dicembre è una giornata molto fredda. Il cielo è bianco e sembra carico di neve. Pur essendo libero, Ubaldo non ha voglia di uscire. Contrariamente alle sue abitudini rimane a letto più a lungo. Ripensa a come sta, per il momento, cambiando la sua vita. Fa il punto della situazione. In pochissimi giorni, gliene ho spiegate di cose. E' un ragazzo intelligentissimo. Ne avessi trovati tra tutti gli alunni che ho avuto, di così svegli. Sicuramente agli esami farà un figurone. Stranamente mi sento bene. Certo, se avessi potuto passare il Natale con,lui e la zia sarebbe stato meglio. Invece starò solo come sempre. Verso le dieci si alza e,dopo essersi preparato fa una breve ricognizione nel frigo per vedere cosa mangiare la sera. Un pezzo di pollo avanzato da ieri e patate al forno. Signore e signori venghino al cenone di Natale. Esce per comprare qualcosa che renda meno squallida la cena della Vigilia. Non trova nulla che sia di suo gradimento. Questa sera vado in qualche ristorante del centro. Almeno vedo gente. Si sorprende, lui che è stato sempre solitario, a desiderare di avere persone intorno a lui. Arriva a piazza San Silvestro alle venti e trenta. Risale per via della Mercede ed entra in un ristorante pizzeria. Il locale è abbastanza affollato. C'è allegria ai tavoli. Il profumo del cibo rende la gente più espansiva. Mentre mangia si diverte ad osservare i personaggi più curiosi. Pian piano che continua questo tipo di esame si rende conto che è l'unico, nel locale, ad essere solo. Sto raccogliendo quello che ho seminato. Sono stato per tutta la vita chiuso ed introverso ed ora mi ritrovo solo come un cane. Anzi peggio perché i cani girovagando trovano qualcuno con cui correre o giocare. Con la scuola ho avuto mille occasioni per socializzare ma non ne sono stato capace. Neanche i miei simili mi hanno considerato. Sente che la tristezza sta prendendo il sopravvento. Forse non è stata una buona idea venire qui a vedere gli altri che si divertono. Ha improvvisamente fretta di lasciare quel locale. Chiede il conto. Guarda l'ora sono le 23, 30. Tra meno di mezz'ora sarà Natale. L'aria è fredda. La gente si incammina verso la basilica di Sant'Andrea delle Fratte. Decide di fare ritorno a casa. Visto il freddo, prenderà un taxi per concludere la serata da signore. Sta cercando di fermarne uno che sta passando, quando vede in lontananza Emanuele. Che ci fa qui a quest'ora? Pensa tra il sorpreso e lo stizzito. Allora mi ha preso in giro. La storia della zia era una cazzata. Chissà quante altre me ne ha raccontate. Mentre pensa queste cose affretta il passo, nonostante la zoppia, per cercare di raggiungerlo. Emanuele ogni tanto si volta, lo guarda, e seguita a camminare. Arriva sul sagrato della chiesa ed entra. Finalmente, trafelato, arriva anche Ubaldo. Entra, la chiesa è stracolma. Emanuele è sparito. Con il piede, il vecchio urta un foglietto piegato. Lo raccoglie, lo apre e legge:

 

"Ho sognato che camminavo in riva al mare con il Signore e rivedevo sullo schermo del cielo tutti i giorni della mia vita passata. E per ogni giorno trascorso apparivano sulla sabbia due orme: le mie e quelle del Signore.

Ma in alcuni tratti ho visto una sola orma. Erano i giorni più difficili e tristi della mia vita. Allora ho detto "Signore io ho scelto di vivere con te e tu mi avevi promesso che saresti stato sempre al mio fianco. Perchè mi hai lasciato solo proprio nei momenti più difficili?"

E Lui mi ha risposto: " Figlio tu lo sai che io ti amo e non ti ho abbandonato mai. I giorni nei quali c'è una sola orma nella sabbia sono proprio quelli in cui ti ho preso in braccio...."

Finito di leggere alza il capo, vede in lontananza Emanuele che gli sorride con una dolcezza infinita mentre si diffonde un dolcissimo canto..........

 

 

Adeste fideles laeti triumphantes

Venite venite in Bethleem

Natum videte Regem angelorum

Venite adoremus venite adoremus

Venite adoremus Dominum

 

I fedeli cantano con grande entusiasmo. L' odore dell'incenso avvolge la Basilica, Ubaldo cade in ginocchio. Calde lacrime gli scendono sulle guance e finalmente dopo tantissimo tempo si sente felice e, soprattutto amato.

!

 


Ugo Coltellacci pubblicato il 04.01.2008 [Testo]


  questo scritto ha 8 preferenze


Commenti dei lettori
Per lasciare un commento Registrati | Accedi